Τρίτη 1 Ιανουαρίου 2019

La “guerra santa” di Alexis Tsipras. Una sfida al cuore della Grecia

 Foto  Federico Bernini/LaPresse
16-04-2016, Lesbo
vaticano
Papa Francesco visita l'isola di Lesbo
nella foto: Papa Francesco, Alexis Tsipras, Ieronymos II di Atene

Photo Federico Bernini/LaPresse
16-04-2016, Lesvos
vatican
Pope Francis visit the isle of Lesvos
in the pic: Papa Francesco, Alexis Tsipras, Ieronymos II of Athens

Alexis Tsipras ha un nuovo obiettivo di governo: la Chiesa ortodossa. Obiettivo difficile, specialmente in un periodo in cui il governo della sinistra greca non appare affatto sulla cresta dell’onda (gli ultimi sondaggi lo danno parecchi punti sotto il blocco di centrodestra). Ma che non sembra essere così distante dall’agenda politica dell’esecutivo guidato da Syriza.

01 01 2019 

Il primo segnale è arrivato a novembre, quando il capo del governo e l’arcivescovo Ieronymos, capo della Chiesa ortodossa greca, hanno annunciato la decisione di eliminare la tradizionale definizione dei religiosi come dipendenti dello Stato. Un annuncio che riguarda 9mila fra preti e vescovi, e che ha radice nella volontà di Tsipras di secolarizzare la Grecia togliendo il cristianesimo come religione di Stato. Il tutto prevedendo un accordo che faccia comunque arrivare il denaro attraverso delle sovvenzioni e a patto che lo Stato entri nella gestione del ricchissimo patrimonio della Chiesa ellenica: il più grande proprietario terriero in Grecia.

Un do ut des che spacca il Paese. Per i sostenitori del piano di Tsipras, l’idea è che questo sia il primo passo verso un processo di laicizzazione della Grecia. Un obiettivo a lungo agognato dalla sinistra radicale ellenica, di cui il primo ministro doveva essere il garante e rappresentante, che da sempre spera in una rimozione del forte connotato religioso che impernia la Grecia profonda e anche la politica del Paese, soprattutto nell’area conservatrice.

Ma per i critici del governo, questo piano trova un attacco a tenaglia sia da destra che da sinistra. Da sinistra, considerano la riforma di Tsipras uno specchietto per le allodole. I soldi entreranno comunque nelle casse della Chiesa di Grecia non più tramite elargizione diretta al clero come dipendenti pubblici, ma tramite sovvenzioni. E l’idea è che dietro ci sia solo un tornaconto elettorale per ingraziarsi il bacino della sinistra estrema, deluso dagli ultimi accordi con l’Europa e la Troika.

Ma, a destra, per la parte più conservatrice del Paese, questo accordo rappresenta un colpo a un vero e proprio pilastro della Grecia: l’assoluta unità fra fede e popolo, ma anche fra Chiesa e Stato.

Un’unità rappresentata già nella costituzione del Paese, che all’articolo 3 definisce il cristianesimo ortodosso come “la religione predominante in Grecia”. E anche il fatto che la seconda sezione della norma fondamentale di Grecia parli apertamente di religione, di rapporti fra Stato e Chiesa e di autocefalia della Chiesa di Atene, è un segnale chiarissimo del radicamento dei due poteri.

Del resto, che questa unità fra Chiesa e Stato sia indice anche di un profondo legame fra popolo e fede, è dato anche dall’analisi dei sondaggi sulla spiritualità della popolazione greca. Ad oggi, la Grecia rappresenta uno dei Paesi europei dove è più sentita non solo l’appartenenza a una confessione religiosa, ma anche la stessa fede in Dio. Un’analisi del Pew Reasearch Institute del 2017 spiega in maniera molto netta la forte connotazione religiosa della Grecia. Il 92% degli adulti intervistati in Grecia ha affermato di credere nell’esistenza di Dio, una media simile a quella di tutta l’Europa orientale, ma nettamente superiore rispetto all’Europa occidentale. E il 76% degli intervistati ha affermato di considerare molto importante l’appartenenza alla Chiesa ortodossa per la propria identità nazionale.

Partendo da questi numeri, è evidente che Tsipras non possa muovere guerra alla Chiesa, perché oltre a rappresentare un potere estremamente importante nella costruzione della stessa Grecia, è anche un pilastro della vita di milioni di cittadini: e quindi di elettori. Tanto è vero che lo stesso primo ministro, pur non ritenendosi religioso e provenendo dai ranghi del comunismo ellenico, ha sempre tenuto un profilo di profondo rispetto verso la Chiesa greca, consapevole che essa rappresenta un elemento imprescindibile della cultura e anche della stessa ideologia che permea il Paese.

Un elemento che negli ultimi tempi appare però sempre più inserito in una sfida politica che ha anche una prospettiva internazionale. La dimostrazione è arrivata anche dallo scontro sull’accordo fra Macedonia e Grecia per il nome della Repubblica macedone. In quell’occasione, la Chiesa di Grecia aveva espresso la propria contrarietà al patto con Skopje e la comunità monastica del Monte Athos era stata individuata come una sorta di centrale nazionalista che si opponeva all’accordo. E anche in quell’occasione, in molti videro un collegamento fra l’ostilità della Chiesa al negoziato, l’unità fra nazionalisti e clero e la contemporanea opposizione della Russia.

Anche in quel caso, come spesso accade in questi ultimi anni, la Chiesa ortodossa venne accusata di essere una sorta di longa manus culturale del Cremlino. E la sfida fra Oriente e Occidente in Europa orientale passa anche per la Chiesa ortodossa: Ucraina docet.


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