Ma non era
il governo di "prima gli italiani"?
di Veronica De Romanis, 19 Gennaio 2019
"Se ci
fossimo stati noi, con la Grecia saremmo stati solidali". Così ha risposto
il premier Conte alla giornalista che, in occasione della presentazione del
decreto del reddito di cittadinanza e di quota cento, gli chiedeva un commento
alle parole del presidente Juncker circa l’austerità inflitta alla Grecia. “Noi
avremmo imposto un cambiamento. Ci lasci essere un po’ presuntuosi”, ha
concluso.
Conte ha tutto il diritto di essere presuntuoso nell’analisi della
peggiore crisi che ha colpito l’Europa dalla creazione della moneta unica. E’
fondamentale, però, attenersi ai dati che, del resto, parlano chiaro. La crisi
greca comincia quando nell’autunno del 2009 l’allora premier Papandreou va in
televisione e annuncia che il precedente governo ha truccato i conti: il
rapporto deficit/pil non è vicino al 3 per cento, come dichiarato nei documenti
ufficiali, bensì superiore al 15 per cento. In quell’occasione, Papandreou
rappresenta per la prima volta il drammatico stato in cui versa il paese. Dopo
anni di crescita, ottenuta attraverso un modello di sviluppo basato sulla
domanda interna e un forte disavanzo con l’estero (ossia molte importazioni,
poche esportazioni, molto debito e un settore pubblico che occupa oltre il 10
per cento della popolazione), il paese ha perso l’accesso ai mercati
finanziari: nessuno è più disposto a prestare fondi a Atene, nemmeno in cambio
di tassi di interesse elevati come avvenuto in passato. Senza più
finanziamenti, la Grecia non ha risorse per pagare le pensioni, gli stipendi
dei maestri e dei dottori: il fallimento è alle porte. Papandreou chiede,
quindi, aiuto ai partner europei. All’inizio, tra i diversi leader prevale un
senso di indignazione: come fidarsi di un paese che ha truccato i conti e,
sopratutto, come condividere una moneta a quelle condizioni? Non è chiaro, poi,
in che modo aiutare la Grecia: prestiti bilaterali, creazione di fondi ad hoc,
ristrutturazione del debito? La decisione di intervenire non è facile (bisogna
mettere d’accordo politici con mandati diversi) e ciò richiede tempo
(prezioso). Dopo circa sei mesi dall’appello di Papandreou parte il primo
programma di salvataggio: 130 miliardi di aiuti erogati attraverso prestiti
bilaterali. Nel 2012 c’è l’accordo per un secondo programma (110 miliardi) che
prevede anche una ristrutturazione del debito pubblico in mano al settore
pubblico della metà del valore nominale. Il terzo pacchetto di aiuti è
concordato nell’estate del 2015. In totale, la Grecia ottiene oltre 250
miliardi finanziati per la gran parte dai cittadini europei e per una parte
minoritaria dal Fondo monetario internazionale. Interventi simili sono
predisposti per l’Irlanda (oltre 80 miliardi), il Portogallo (circa 78
miliardi), la Spagna (40 miliardi) e Cipro (10 miliardi). Il conto pagato
dall’Italia per venire in soccorso ai suddetti paesi è pari a circa 60 miliardi
di euro (di cui la metà destinati alla Grecia). Si tratta di soldi che vanno a
aumentare il nostro debito pubblico.
Il ministero
dell’Economia e delle Finanze nelle tavole della Nota di aggiornamento al
Documento di economia e finanza pubblicato nel settembre scorso evidenzia come
nel 2017 il rapporto debito/Pil al lordo degli aiuti si attesti al 131,2 per
cento mentre al netto degli aiuti scenda al 127,8. Cosa significa? In assenza
dei soccorsi alle economie in crisi, il nostro debito sarebbe stato più
contenuto e, di conseguenza, la spesa per interessi sarebbe stata più bassa. Questa
voce di spesa, come è noto, sottrae risorse che potrebbero essere utilizzate ad
esempio per scuole, ospedali, aiuti alle famiglie: in sostanza, risorse in meno
soprattutto per le fasce più deboli della società.
In
conclusione, non c’è alcun dubbio sul fatto che l’Italia sia stata solidale. Il
premier Conte sembra, forse, voler suggerire che il governo gialloverde sarebbe
stato “più solidale”, ossia che avrebbe messo a disposizione della Grecia una
cifra superiore ai 30 miliardi erogati. In questo caso, il premier dovrebbe
indicare dove avrebbe reperito i fondi. In presenza di risorse che, purtroppo,
non sono infinite e di un debito pubblico tra i più elevati della zona euro,
più risorse per la Grecia significa meno risorse per il reddito di cittadinanza
o quota cento. In altre parole, più ai greci e meno agli italiani. Ma il
governo presieduto da Conte non era il governo di “prima gli italiani”?
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