Il debito
greco è al 178% del prodotto interno lordo: altro che successo, se si
valutassero gli indici economico-finanziari si potrebbe azzardare che un nuovo
default è non solo possibile ma anche probabile per la Grecia. Se ne sta
accorgendo anche la stampa internazionale che il premier Alexis Tsipras, in
vista delle elezioni anticipate (possibili a maggio con le europee), sta
iniziando a distribuire prebende e bonus che però inficiano i conti pubblici
già azzoppati dalle ruberie ante 2010 e dall’austerità post crisi.
Il nodo è
sempre lo stesso: la politica non azzarda una mossa perché studiata,
programmata e finalizzata verso un obiettivo di crescita ma solo perché tarata
sulle prossime urne, contribuendo a peggiorare lo status quo e illudendo ancora
una volta cittadini e imprese. La Grecia è sì ufficialmente uscita dal
programma di prestiti della troika (Ue, Fmi e Bce) ma è attesa dalla prova del
nove: riuscirà ad autofinanziarsi per “mandare avanti la baracca”? Potrà venire
fuori dalla paralisi in cui versa la sua economia, asfittica, gravata oggi da
una pressione fiscale record e senza un euro investito in formazione e sviluppo
tecnologico?
I super
poveri hanno ricevuto un bonus natalizio, inoltre il governo offre contributi
per olio combustibile e carburante, per la tassa di proprietà, per il salario
minimo, per gli agricoltori. E i tagli alle pensioni previsti per il primo
gennaio, almeno fino a oggi non sono stati confermati. In sostanza il governo
di Atene fa vedere all’Europa un surplus che nella vita reale di cittadini e
imprese semplicemente non c’è, con il rischio di far scattare le clausole di
salvaguardia, che tradotto in soldoni vuol dire più tasse per il futuro senza
una ripresa vera (oggi altamente improbabile). Ma alla classe dirigente, sciatta
e senza visione, ciò non interessa, perché orientata sulla cosiddetta politica
dello specchietto retrovisore. Persino l’Albania ha accusato una crescita
doppia rispetto alla Grecia, figlia di una programmazione orientata
all’ingresso nell’Ue, a favorire l’ingresso di investitori stranieri,
all’internazionalizzazione degli atenei, a una nuova infrastrutturazione come
aeroporti da far realizzare ex novo a quei player che intendono affacciarsi sul
costone Balcanico con un determinato peso specifico.
Il dramma
ellenico è tutto in questo grottesco pertugio che si farà (di nuovo)
straordinaria voragine: e investe, quindi, la futura infrastrutturazione
dell’Ue. Non solo debiti alle stelle,
prestiti in rosso, sofferenze bancarie diversificate, tessuto imprenditoriale
ormai inesistente: ma buio pesto tanto sul presente quanto sul futuro. Certo,
alla Grecia resta il turismo. Ma quanto è stolto quel marinaio che, anziché
puntare al mare aperto in cerca di nuove terre, si accontenta del suo piccolo
ruscello. Che finisce per prosciugarsi.
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