Le Messe celebrate nelle due chiese hanno lo stesso significato?
Nereo Liverani
È «valida» per un cattolico l’Eucaristia in una chiesa ortodossa?
La Messa
celebrata in una chiesa cattolica ha lo stesso significato di una celebrata in
una chiesa ortodossa? Non dico «validità» perché comunque il valore di una
Messa è sempre incommensurabile. Personalmente risponderei di sì perché mi
sembra che mi sia stato suggerito: dove non c’è una chiesa cattolica vai in
quella ortodossa. La differenza sta solo, oggi, nei riti che per gli ortodossi
sono assai più complessi e anche lunghi. Ho sentito una ragazza romena meravigliarsi
del breve tempo e semplicità della
nostra celebrazione.
La lettera
pone una domanda sul valore della celebrazione eucaristica presso le Chiese
ortodosse. La riprendo alla luce della recente festa del Corpus Domini, festa
tipica della tradizione cattolica, che ha invitato tutti a riflettere sul
mistero dell’Eucaristia. In primo luogo, riprendo l’affermazione del lettore,
mostrando come rispecchi la visione cattolica. Il Concilio così si esprime
sulla Tradizione liturgica delle Chiese sorelle d’Oriente: «È pure noto a tutti
con quanto amore i cristiani d’Oriente celebrino la sacra liturgia,
specialmente quella eucaristica, fonte della vita della Chiesa e pegno della
gloria futura; … con la celebrazione dell’eucaristia del Signore in queste
singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce, e con la concelebrazione
si manifesta la comunione tra di esse. Siccome poi quelle Chiese hanno veri
sacramenti – e soprattutto, in virtù della successione apostolica, il
sacerdozio e l’eucaristia – che li uniscono ancora a noi con strettissimi
vincoli, una certa communicatio in sacris, presentandosi opportune circostanze
e con l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, non solo è possibile, ma
anche consigliabile». (Concilio ecumenico Vaticano II, Decreto sull’ecumenismo
Unitatis redintegratio, n. 15). Non è messo in questione, quindi, il valore
della celebrazione eucaristica presso le Chiese orientali che non sono in
comunione con la sede romana. Si tratta, invece, di mettere a fuoco la diversità
dei modi di manifestare il mistero, secondo le antiche tradizioni liturgiche.
L’oriente
cristiano ha sviluppato liturgie proprie, che in forme particolari accentuano
aspetti specifici del mistero eucaristico. Certamente le liturgie orientali,
non solo ortodosse, hanno riti più complessi della semplicità latina. Ma in
questa sede preferisco soffermarmi in breve su alcuni aspetti della teologia
eucaristica, che risultano più propri della tradizione orientale, che resta
fortemente ancorata alla teologia dei Padri della Chiesa e alla loro lettura
della Scrittura.
In primo
luogo l’Eucaristia non è uno dei sacramenti o «misteri» (termine tipico della
teologia orientale) che sono celebrati nella Chiesa. L’Eucaristia è il
sacramento/mistero della Chiesa: la costituisce in quanto «mistero dei misteri»
o, come dice Ireneo di Lione la «coppa dei misteri». L’Eucaristia costituisce
la Chiesa come comunione che invoca la presenza del suo Signore, nell’attesa
del compimento definitivo. Nel rito bizantino secondo la liturgia di san
Giovanni Crisostomo, dopo la comunione dei fedeli, il sacerdote prega con
queste parole: «O nostra santissima Pasqua, Cristo, Sapienza, Verbo e Potenza
di Dio, fa’ che possiamo partecipare a te in un modo ancora più perfetto, nella
luce inesauribile del tuo Regno a venire». Questa tensione verso il compimento
definitivo del cosmo intero anima l’intera liturgia, attraverso la quale
l’assemblea diventa partecipe della liturgia del cielo. L’invocazione che
troviamo al termine dell’Apocalisse (Maranà tha) esprime benissimo questa
tensione. L’eucaristia è l’anticipazione, la presenza velata della «parusia»
del Signore Gesù.
Altra
dimensione caratteristica della liturgia orientale è il suo carattere
d’invocazione o epicletico. Lo Spirito Santo trasforma sia i doni del pane e
del vino nel Corpo sacramentale di Cristo sia coloro che vi partecipano,
inserendoli profondamente nel Corpo ecclesiale di Cristo. L’azione dello
Spirito è un dono del Padre che suscita e manifesta la richiesta da parte della
comunità ecclesiale. La Chiesa implora il Padre fin dall’inizio della
celebrazione. Con un’immagine eloquente, il teologo russo Paul Evdokimov parla
di onde sempre più alte di epiclesi preliminari, fino al momento in cui la
liturgia si estende nell’epiclesi della preghiera eucaristica, come per esempio
nella liturgia di san Basilio: «Ti preghiamo e ti invochiamo, o santo dei
santi, per il beneplacito della tua bontà venga il tuo santo Spirito su noi e sui
doni qui presenti. Li benedica e li consacri e renda questo pane il corpo
stesso prezioso del Signore, Dio e salvatore nostro Gesù Cristo, e renda questo
calice il sangue stesso prezioso del Signore, Dio e salvatore nostro Gesù
Cristo, versato per la vita del mondo».
Il valore
profondo dato all’epiclesi da parte della tradizione orientale ha un risvolto
importante nella visione della Chiesa. La Chiesa è posta dalla liturgia in una
posizione di umiltà e invocazione nei confronti di Cristo, suo Signore e Sposo.
La sua relazione con Cristo è sul versante dell’umile invocazione, cominciando
dal riconoscimento delle proprie colpe fino all’attesa fiduciosa della sua
venuta. Inoltre, la preghiera eucaristica viene sigillata dal triplice Amen del
popolo, significando la sua partecipazione attiva alla stessa epiclesi.
Infine, come
accennato all’inizio, l’Eucaristia costituisce la Chiesa nella comunione. I
fedeli che partecipano al corpo eucaristico diventano consanguinei, concorporei
di Cristo. San Massimo il confessore scrive che «l’eucaristia trasforma i
fedeli in se stessa, per cui essi possono essere chiamati “dèi” perché tutto
Dio li riempie interamente. … Così tutti sono uniti in modo veramente
cattolico, tutti si fondono per così dire gli uni negli altri». La comunione
con Cristo si apre alla comunione tra i fratelli, che travalica ogni
distinzione, nello spazio e nel tempo. E si allarga anche ad una comunione
mistica con il creato stesso.
Quanto detto
sopra non è estraneo alla visione cattolica. Un solo esempio lo prendo dagli
scritti di Francesco d’Assisi, dove troviamo un’espressione molto simile a
quella di san Massimo il confessore. Francesco scrive ai suoi frati sacerdoti:
«Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare,
nella mano del sacerdote, si rende presente Cristo, il Figlio del Dio vivo. O
ammirabile altezza e degnazione stupenda! O umiltà sublime! O sublimità umile,
che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da
nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane! Guardate,
fratelli, l’umiltà di Dio, ed aprite davanti a lui i vostri cuori; umiliatevi
anche voi, perché siate da lui esaltati. Nulla, dunque, di voi trattenete per
voi, affinché totalmente vi accolga colui che totalmente a voi si offre. Amen».
Mi piace
concludere, infine, con alcune parole del patriarca Atenagora, che ricordiamo
ancora per lo storico abbraccio fraterno con Paolo VI: «L’eucaristia protegge
il mondo e giàsegretamente
lo illumina. L’uomo vi trova la sua filiazione perduta, attinge la sua vita in
quella di Cristo, l’amico segreto, che condivide con lui il pane della
necessità e il vino della festa. E il pane è il suo corpo e il vino e il suo
sangue e in questa unità più nulla ci separa da nulla né da nessuno. … Esiste
qui in terra un luogo nel quale non c’è più separazione, nel quale c’è solo il
grande amore, la grande gioia. E questo luogo è il santo calice, il Graal nel
cuore della Chiesa. E, di conseguenza, nel tuo cuore».
(In dialogo con il patriarca Atenagora, Parigi)
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