Non si può ignorare la conoscenza della meravigliosa civiltà apportata dai coloni greci che fecero della Calabria attivissimo e massimo centro d’arte, di idee e di pensiero.
Il Natale cristiano, che festeggiamo oggi, ha origini remote che risalgono alle feste delle stagioni dei popoli dell’Asia nel ciclo mitico, e che i Greci, e poi i Latini, assorbirono e celebrarono in riconoscenza dei benefici avuti dagli dei.
Dall’analisi storica della Magna Grecia, ovvero, di quella parte meridionale della penisola italiana che fu costellata di colonie greche, dallo Jonio al Tirreno tra l’VIII e il VII secolo a.C., si ricava la matrice più importante della popolazione calabrese. Non si può ignorare la conoscenza della meravigliosa civiltà apportata dai coloni greci che fecero della Calabria attivissimo e massimo centro d’arte, di idee e di pensiero. Essa raggiunse uno splendore mai conosciuto e giustamente fu chiamata Magna Grecia, quasi a significare il maggior livello di civiltà raggiunto rispetto alla madre patria, nel campo dell’arte e del sapere. La riscoperta delle nostre origini e con essa la cultura, le tradizioni, i costumi, che si sono tramandati nel tempo mediante le diverse dominazioni che si sono succedute, l’individuazione dei percorsi culturali, sociali ed economici, politici ed istituzionali, sono utili per comprendere la nostra identità, per cogliere le differenze tra ieri ed oggi, la diversa consapevolezza del nostro essere.
Riscopriamo, attraverso un breve itinerario, ciò che rimane della cultura magno-greca nelle principali feste religiose e vedremo così in maniera sorprendente, quanto, nonostante i secoli trascorsi, vi sia rimasto di quella cultura, segno indelebile di un passato ancora vivo in ognuno di noi.
Il Natale cristiano, che festeggiamo oggi, ha origini remote che risalgono alle feste delle stagioni dei popoli dell’Asia nel ciclo mitico, e che i Greci, e poi i Latini, assorbirono e celebrarono in riconoscenza dei benefici avuti dagli dei. Si credeva che gli dei un tempo fossero discesi dal cielo fra gli uomini per meglio soccorrerli e proteggerli con la loro presenza, così unirono le feste delle stagioni a quelle delle apparizioni divine, le quali, rapportate alla religione della natura, non erano altro che le apparizioni del sole nell’epoca dei solstizi. Nell’Oriente pagano si festeggiava la nascita del dio Mitha o sole dei Persiani; fino al 354 questa ricorrenza si festeggiava il 25 marzo e in seguito, quando la potenza romana si estese all’Oriente, Mithras fu onorato anche dai romani. Quando il Cristianesimo fu ufficialmente riconosciuto dai Romani, furono proprio loro che trasferirono nel loro calendario la data del Natale al 25 dicembre. E’ così che si spiega la provenienza dei re Magi dalla Persia e dalla Cappadocia per onorare la nascita di Gesù, portandogli in dono oro, incenso e mirra.
La festa del Natale ricorda, inoltre, gli antichi “Saturnalia” (in commemorazione dell’apparizione di Saturno), feste pagane di cui certe usanze si sono trasferite nel mistero natalizio cristiano. A queste feste si legarono le “Sigillaria” o feste dei doni, quelle del primo gennaio sacre a Giano, il vecchio dio italico del sole, e le “Agonalia”, il cui termine è al nove dello stesso mese. Si avevano così nei primi secoli cristiani circa quindici giorni di feste allegre ed orgiastiche, conosciute col nome di “Calendae Januari”, condannate dalla Chiesa che ne ha tollerato solamente gli auguri, lo scambio dei doni, le danze, gli allegri banchetti. Queste usanze erano così radicate nel popolo che l’imperatore Teodosio, nella riforma del calendario pagano, fu costretto a conservarle almeno come ferie. Tra i doni d’uso vi erano pasticci e focacciuole di figure speciali (uccelli, puttini, cavallucci), raffiguranti le diverse vittime offerte una volta agli dei e che si davano per giocattoli ai bambini, così come oggi si danno ai bimbi in forma un po’diversa come doni della Befana.
E’ interessante soffermarsi sull’identità delle tradizioni natalizie con quelle ancora vive nella Grecia contemporanea: i bambini si preparano al Natale imparando dei canti tradizionali, inparticolarei bambini delle isole Egee cantano accompagnandosi con il triangolo (trigono) e passando per le case a portare la novena (calende).
La festa di San Giuseppe che ricorre il 19 marzo con la caratteristica fiera, non è altro che una reminiscenza del saluto alla primavera e al ritorno delle rondini dei fanciulli ateniesi, l’invito alla festa dei bei giorni di sole, eco delle strepitose feste pagane.
Il saluto della bella stagione primaverile riappare nella festività delle Palme con altre usanze: la chiesa adorna i suoi altari di rami di ulivo, mentre i devoti vi accorrono portandone con essi un ramoscello per benedirlo, essi sono semplici o legati a fascio e ornati di nastri e di fiori, ai quali appendono pure offelle (focacce dolci), fichi secchi, mele, arance ed altro; questa usanza richiama quella greca in cui il ramo d’ulivo carico di frutti veniva offerto dai Greci ad Apollo nelle Pianepsie (festa religiosa ateniese in onore ad Apollo). L’iresione si sospendeva alle porte delle case e si toglieva dopo l’anno bruciandola, per rinnovarla con l’altra della festa nuova. Lo stesso avviene dei rami d’ulivo benedetti in Calabria. L’iresione era simbolo della primavera e dell’abbondanza.
Varie sono le usanze per la festa di santa Lucia che si originano dalla cultura magno-greca che differiscono ed assumono caratteristiche diverse da luogo a luogo, ma quella più diffusa è la distribuzione del grano o granturco bollito, detto con nome antico “cuccìa” (voce rimasta dai greci bizantini, presso i quali coucia rispondeva alla voce classica cuamos (fava), e che riguardava le civaje cotte delle Pianepsie ateniesi in onore d’Apollo, dio che portava a maturità i prodotti della terra). La cuccìa è considerato cibo benedetto e la contadina spesso, nell’entusiasmo della sua fede, sulla pentola dove è stata riposta la cuccìa, ci vede le tracce del passaggio della santa.
L’origine della Pasqua e con essa le sue tradizioni, sono da ricercarsi nel simbolismo della cosmogonia indiana, dell’origine del mondo e della vita, tramandataci dall’orfica teologia. Il principio formatore, emanando dalla propria sostanza corporea le diverse creature, produsse prima le acque e vi depose un germe. Questo germe divenne un uovo lucente come oro, splendente come l’astro dai mille raggi, e in quello nacque l’ente supremo sotto forma di Brama, primogenito di tutti i mondi. L’acqua e l’uovo con il sole di primavera, nella occasione della Pasqua ricordano l’origine del mondo che si rinnova mercè l’opera riparatrice di Cristo.
Cristo, nel linguaggio simbolico cristiano fu detto “il sole della vita dell’anima” che era in contrapposizione al sole fisico, di cui i pagani celebravano il ritorno primaverile. Cristo risorse in tempo, appunto, di primavera, è comprensibile che le genti di allora nel solennizzare la memoria di quel grande avvenimento cristiano, gli avessero applicato le tradizioni dei loro costumi, confondendo così in un simbolo la quaresima e la stagione invernale, la risurrezione di Cristo e quella del sole sepolto nel cielo nuvoloso dell’inverno. Per questo motivo ancora oggi si usa offrire come ornamento dei sacri sepolcri dei piattellini di grano fresco seminato ed appena germogliato, sono i cosiddetti “orti di Adone” che le donne fenicie e greche offrivano come simbolo della vita che rinasce, nella festa commemorativa della morte e resurrezione del dio Adone, mito solare.
L’uso di preparare i pani pasquali, “cuddure o muccellati o ancora cullacci o cucùli, cannilieri”, rattorti a spire o lunghi o a corona, con un uovo o più, ma in numero dispari e in qualche luogo colorate di rosso, risale probabilmente alla memoria dell’uovo d’oro di Brama o della creazione.
L’usanza degli animali che si offrono in voto, ha antiche reminiscenze nel naturalismo, la religione dei pastori e degli agricoltori. Caratteristica di questa religione sono le offerte agli dei, fatte dei prodotti delle greggi e dei campi, queste offerte vennero poi trasposte con il Cristianesimo alla Madonna o ai santi in occasione della festività, e durante le processioni, a volte, al corteo della Madonna o dei santi, ne facevano parte anche gli animali che venivano offerti in voto: vitelli, pecore, capre ornati di nastri; in alcune occasioni, ad essi si aggiungevano i “tortani o buccellati”, pani a forma di ciambella appesi a pali legati a croce.
Questo breve e parziale itinerario sulle tradizioni magno-greche integratesi all’interno delle feste religiose cristiane è solo un esempio per evidenziare come in maniera stupefacente ancora oggi questa cultura sia così presente e faccia parte della nostra identità.
di Anna Chiara Greco
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