Processo ad Ancona, maxi sequestro della finanza
SULLA BUSTA c'era stampato il marchio «Made in Italy», ma la pasta Barilla
era stata prodotta in uno stabilimento della Grecia.
Una contraffazione per
ingannare i consumatori, secondo gli uomini della Guardia di Finanza e
dell'Agenzia delle Dogane di Ancona, che nel luglio 2010 avevano fermato al
porto dorico un carico di 1.980 scatoloni di pasta appena sbarcati dalla
Grecia. Su tutte le confezioni, oltre al marchio che evocava una produzione
tutta italiana, c'era anche un codice a barre identificativo dell'Italia. Dai
documenti di viaggio, invece, si capiva chiaramente che la pasta era stata
prodotta in uno stabilimento ellenico.
Il blitz delle autorità di frontiera è
costato un processo per contraffazione a Gian Luca Tagliavini, rappresentante
tributario della Barilla, già condannato con un decreto penale a una multa di
34mila euro. Il manager, rappresentato dall'avvocato Alessandro Scaloni, legale
della Barilla, ha impugnato il decreto e ieri è stato assolto in dibattimento.
«C'è stato un errore di persona - spiega l'avvocato Scaloni - perché non era
Tagliavini il responsabile dell'etichettatura.
Il procedimento penale si è
chiuso prima di entrare nel merito, altrimenti avremmo dimostrato che non c'è
stata alcuna contraffazione. Si è trattato di un mero errore di etichettatura,
perché la lettera identificativa dello stabilimento di produzione era corretta
e indicava appunto la fabbrica greca».
La vicenda è finita in tribunale ieri,
proprio mentre la Barilla diceva no alle novità introdotte dal Governo Renzi
sull'etichettatura della pasta, che ora deve indicare anche l'origine del
grano. Il decreto per l'origine delle materie prime, secondo Luca Virgilio,
responsabile delle relazioni esterne del gruppo, «nella sua versione attuale
confonderebbe i consumatori e indebolirebbe la competitività della filiera
della pasta.
L'origine da sola non è sinonimo di qualità. Il decreto non
incentiva gli agricoltori italiani a investire per produrre grano con gli
standard richiesti dai pastai. A rimetterci sono il consumatore, che potrebbe
pagare di più una pasta meno buona, e l'industria della pasta, che con un
prodotto meno buono perderebbe quote di mercato».
Alessandra Pascucci
notizie tratte da La Nazione www.lanazione.it
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