C’è un termine oggi che va tanto di moda fra gli storici: si
tratta di «glocale». La parola vuole esprimere le profonde connessioni che si
possono instaurare tra le piccole vicende locali e la storia internazionale. E
quella dell’Anesone Triduo di Orzinuovi è, a pieno titolo, una storia
«glocale».
L’ Anesone è un liquore piuttosto alcolico e dal retrogusto dolce,
che – come suggerisce il nome – ha l’anice per protagonista. I ricettari di
inizio Novecento riportano tra gli ingredienti l’anice stellato e di Romagna
(qualcuno fu più preciso e specificò «di Forlì»), cannella, semi di coriandolo,
finocchio, acqua di rose, carrube. «Triduo» sta invece a significare una
triplice distillazione, che carica la bevanda di note alcoliche e aromi. Per
questo oggi va per la maggiore diluirlo in acqua o nel caffè.
Le radici dell’Anesone affondano molto lontano dalle sponde dell’Oglio: nel Peloponneso del 1687, tra le brecce delle mura di Mistrà. Fu 332 anni or sono che la Repubblica di Venezia sottrasse questa città agli Ottomani: la conquista più duratura, però, fu l’importazione nel porto adriatico di alcolici a base di uve e anice, tanto che tuttora la parola «mistrà» indica liquori con questi ingredienti di base. Queste ricette si diffusero presto sul territorio veneziano, quindi fino a Brescia e nella remota Orzinuovi.
E se nel 1797 si abbassarono le ali del Leone della Serenissima, i
gomiti dei sudditi bresciani rimasero evidentemente alzati. Infatti, nei
territori della (ormai ex) Repubblica marciana sopravvisse la tradizione del
liquore d’anice: è nel 1824 che per la prima volta l’orceano Cristoforo Reboldi
distillò il suo Anesone.
Della nascita del prodotto e del suo inventore si sa ben poco,
tanto che il suo stesso cognome fu spesso storpiato in Ruboldi, Riboldi o altre
varianti. La maggior parte delle notizie sull’Anesone sono state raccolte in un
recente saggio a firma di Giorgio Ferrari: dalle indagini dell’autore presso
l’archivio parrocchiale orceano risulta la morte di Reboldi in Orzinuovi
all’anno 1844. Soprattutto, però, di Reboldi è descritta la professione: già a
metà Ottocento era un «rinomato» e «celebre» distillatore, sintomo del successo
immediato che ebbe il suo prodotto. Tutto il resto per ora aleggia nel mistero:
una leggenda vuole che la stessa ricetta originale dell’Anesone sia nascosta in
una delle colonne dei porticati di Orzinuovi, che a lungo sotto la loro ombra
hanno ospitato esercenti di spiriti e bar.
Alla morte
di Reboldi, gli succedette un altro orceano, Giovanni Rossi: nelle etichette
dei suoi prodotti Rossi aveva buon gioco a definirsi «unico allievo» del padre
dell’Anesone. La ditta Rossi è citata nella storia bresciana tracciata da Carlo
Cocchetti nel 1859: «È giustamente rinomato – scrisse Cocchetti – l’Anesone
Triduo della ditta Rossi, succeduta al Reboldi degli Orzinuovi che ne fu
l’inventore».
Tanto
«giustamente rinomato» che nel giro di qualche decennio il liquore apparve
nelle opere letterarie. Le Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo – edite
nel 1867, ma scritte un decennio prima – accennano a soldati alle prese con la
bevanda bresciana, che andava «giù a piena gola che [pare] un’anima nuova che
entrasse». Anche tra le pagine del Piccolo mondo antico di Antonio Fogazzaro –
e siamo nel 1895, anche se il romanzo è ambientato in epoca risorgimentale – si
leggono descrizioni dell’Anesone «di Brescia».
«Di
Brescia», è da notare: perché è in questi anni che Orzinuovi perse la
«paternità» dell’Anesone, a tutto vantaggio del capoluogo.
Infatti, se
nella cultura popolare e nella poesia dialettale, il liquore sarà sempre
orceano, con l’avvento della produzione di massa e l’aumento dell’importanza
della pubblicità – soprattutto in vista dell’Esposizione Industriale Bresciana
del 1904 – sarà la Leonessa d’Italia a intestarsi più genericamente l’origine
del prodotto.
Non a caso,
la definitiva consacrazione arrivò proprio con l’Expo del 1904, fortemente
voluta da Giuseppe Zanardelli. Giovanni Rossi andò in prima fila a
sponsorizzare il suo Anesone Triduo: voleva dare l’immagine di una ditta all’avanguardia,
celebrata fin nell’aspetto dello stand, con una raffinata bancarella in stile
Liberty dotata di illuminazione elettrica. Se nei decenni passati il liquore
aveva ottenuto riconoscimenti in varie esposizioni veronesi, milanesi, romane e
torinesi, dal 1904 le etichette riportano le virtù e i pregi dell’Anesone in
francese – per l’esportazione in Europa – e in inglese, per l’esportazione
negli Stati Uniti. Insomma, si trattò fondamentalmente di cambiare una lettera:
da prodotto «orceano», l’Anesone sbarcò oltre «oceano».
E quali le
virtù decantate in questa storica etichetta! Accanto alle più verosimili
potenzialità digestive, conosciute anche dal consumatore odierno, era
presentata anche la capacità di neutralizzare qualunque miasma «rendendo potabile
ogni acqua di fosso e di palude».
A fine
Ottocento la ricetta dell’Anesone fu rilevata dai Mancabelli: Giuseppe (il
padre) e Eugenio (il figlio), di origine tirolese. Nel 1913, sotto la
successiva proprietà Coppi&Galli, fu rilasciato il brevetto. Nell’epoca del
suo massimo splendore si contavano sul Bresciano ventidue fabbriche di liquori
che potevano commercializzare nelle loro distillerie qualcosa come 1.200
ettolitri di Anesone Triduo all’anno.
Poi qualcosa
andò storto e si registrarono le prime battute d’arresto di una storia così
folgorante: un cronista dell’epoca ebbe a scrivere che già nel primo dopoguerra
«anticamente il Mistrà di Orzinuovi (ora Anesone Triduo) ebbe a godere fama
mondiale […] però per la mancanza di una necessaria e indovinata réclame e per
la concorrenza di una infinità di altri liquori la sua fama si limitò negli
ultimi tempi a Orzinuovi e ai suoi dintorni». Insomma, quella che veniva
disegnata era la parabola di un brand che, dopo un secolo di successo, stava
cominciando a ripiegarsi su se stesso.
La produzione è poi passata anche tra le mani della rinomata –
salodiana, ma di fama internazionale – Tassoni, per approdare negli ultimi anni
ai Fratelli Gozio di Gussago. Il tentativo ora è quello di recuperare una
tradizione secolare di successo, per riportarla agli antichi splendori. E
soprattutto riportarla dalla dimensione locale a quella globale: ovvero,
ridarle una sorsata dell’originario sapore «glocale».
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