Il circuito dell’isola, sulle orme di quanto resta della splendida stagione veneziana, parte – e prosegue in senso orario – da Heraklion, sulla costa settentrionale.
In alto: Loggia di Candia (Heraklion)
Candia era il nome veneziano del capoluogo dell’isola, mutuato dall’arabo Chandax. Città portuale, fu animato centro commerciale dotato di arsenali, edifici pubblici, chiese, signorili dimore private e difeso da una imponente cinta muraria. L’impronta veneziana si può ancor oggi rintraccia re, pur nella confusionaria immagine d’insieme che viene offerta, in alcune citazioni sparse.
La chiesa di San Marco, nel centro della città, è originaria, nell’impianto, del 1239, ma fu più volte lesionata da eventi sismici (1303 e 1508). L’aspetto attuale è quello della ricostruzione del XVI secolo, con il portico, su colonne di marmo verde presumibilmente antiche e di spoglio, di disegno rinascimentale. Gli elementi gotici si ritrovano nelle strutture interne, sottolineate dai profili ogivati, risalenti alla fabbrica più antica.
La chiesa di S. Caterina è a pianta binata, come sovente accadeva in alcuni edifici religiosi di duplice culto, greco e latino (come a Valsamònero e Toploù). La facciata del corpo più antico, quello bizantino di sinistra, fu rimaneggiata nel Quattrocento ed è di tipo veneziano; mentre il prospetto e l’interno del corpo di destra, quello cattolico, di disegno italianizzante è del successivo XVI secolo. La chiesa è celebre per le splendide icone del Damaskinòs che ivi sono conservate.
Nel 1538 Michele Sanmicheli è a Candia e progetta la cinta difensiva della città, munita verso terra da poderosi bastioni. Il porto, a nord, su cui prospettano alcuni ambienti residui dell’Arsenale (magazzini e darsene voltati a sezione archiacuta) è montato di guardia dal Castello a Mare, sempre del XVI secolo, nella cui muratura, a dispetto del riutilizzo turco, è ancora incastonato il leone di S. Marco.
Al 1588 risale la Fontana Bembo, testimonianza delle opere di pubblica utilità volute dalle famiglie patrizie veneziane. Questa mostra d’acqua, classicheggiante, è impreziosita da un’antica statua acefala rinvenuta a Ierapetra.
Del 1628 è l’altra fontana monumentale di Francesco Morosini (o dei Leoni, dai rilievi che la decorano); liberata dalle sovrastrutture turche che la snaturavano, segna oggi il centro della piazza su cui prospettano San Marco e la vicina Loggia. Quest’ultima è del 1627 e fu anch’essa voluta dal veneziano Francesco Morosini e per il progetto fu, verosimilmente, incaricato quel Francesco Basilicata che giusto in quegli anni batteva l’isola rilevandone porti e fortilizi (del quale restano i bei disegni conservati alla biblioteca Marciana di Venezia).
Fu demolita, perchè in pessime condizioni strutturali, e ricostruita nel 1915 secondo i principi del restauro stilistico allora in voga, utilizzando la documentazione sulla preesistenza. Quella che se ne riceve oggi è l’immagine di una composizione architettonica di scuola palladiana, in ossequio alla maniera dominante, cui il Basilicata dovette – giocoforza – rapportarsi.
Il 6 settembre del 1669, dopo un assedio durato ventuno lunghissimi anni, la città finì con l’arrendersi ai turchi
Proseguendo verso est e verso il Golfo di Mirabello, si incontra l’isola di Spinalonga che, fortificata, fu ancora veneziana, (anche dopo la perdita di Candia) sino al 1715.
All’estremità orientale di Creta è il monastero di Toploù (toponimo turco della Madonna del Capo o Akrotirianì), dotato di mura come una fortezza. L’origine veneziana è del XIV secolo, con ricostruzioni ed espansioni nei secoli successivi sino al XVII secolo (la chiesa fu riadattata dopo un’incursione dei pirati nel 1460). Vi si entra attraverso un portale ad arco ogivale, che introduce alla corte attorno alla quale sono le celle monastiche. La chiesa conventuale è ad aula con volta a botte a sezione archiacuta.
Doppiata la punta est dell’isola e procedendo lungo la costa meridionale si incontra Ierapetra, la cui spiaggia è dominata (a suo tempo difesa) dalla fortezza veneziana del XIII secolo, tra le più antiche costruzioni difensive della Serenissima
La pianta del castello è rettangolare – con torri ai vertici, di sezione quadrata – secondo un disegno che l’accomuna ai più antichi castelli crociati quali si ritrovano nella costa meridionale dell’Anatolia (come, ad esempio, i castelli dell’Armenia Minore, di matrice bizantina) o a Cipro.
Nell’entroterra della costa centro-meridionale si dirotta per il monastero di Valsamònero. La costruzione ecclesiale, dedicata a San Fanourios, è a due navate, per i due culti (cristiano-orientale e cristiano-occidentale) di diversa datazione: la nave sinistra è del Trecento; l’altra, ad essa geminata, è del secolo successivo. L’impronta stilistica riconduce piuttosto alle esperienze formali italiane, stemperate nei contorni dal .segno bizantino d’insieme. Gli interni vantano pregevoli affreschi che, come tradizione vuole, lasciarono un forte segno emozionale nel giovane Greco, quando il pittore di Fodele vi si ritirò per un soggiorno spirituale.
Si prosegue sino a Sfakià e da qui, a circa 15 chilometri, si raggiunge Castelfranco o, secondo la dizione locale Francocastello, impiantato dai Veneziani nel 1371 per far fronte alle scorribande dei pirati. Come a Ierapetra la planimetria è impostata su uno schema rettilineo, con torri (anch’esse squadrate) agli angoli. La merlatura del castello è di disegno guelfo e la severità del complesso rimanda alle costruzioni del medioevo crociato, formatesi sulle esperienze del castro romano rivisitato in chiave bizantina (ben diverse quindi dalle esuberanti e immaginifiche soluzioni progettuali che connoteranno le fortificazioni del Cinquecento ed oltre).
Di fronte all’ultimo lembo nord-occidentale di Creta è l’isolotto di Gramvousa, che fu fortificato possedimento veneziano sino al 1699.
E’ quindi la volta del monastero di Gonià, iniziato nel 1618 dal beato Blasios da Cipro e terminato nel 1634 dal monaco veneziano Zancaroli. In posizione sovrastante il mare, ma pertanto da esso accessibile, dovette essere munito di solide mura fortificate. E’ detto anche della Signora Odigitria di Gonià. dalla sacra icona che nella chiesa conventuale si conserva.
Segue ancora, sulla dirimpettaia penisola di Akrotiri, il monastero di Agia Triada (della Santa Trinità) fondato nel 1612 dai veneziani Lorenzo e Geremia Zancaroli, religiosi ivi ritiratisi in romitaggio. La costruzione durò sino al 1645, quando il precipitare della situazione storica compromise la permanenza dei veneziani nell’isola.
A pochi chilometri è ubicato il monastero di Gouverneto, ricostruito nel 1548 dai veneziani e dotato di solide mura di difesa.
Il giro dell’isola tocca la città di Chanià, la seconda – per importanza – a Creta. I veneziani ne promossero lo sviluppo sin dal 1252, quando la ribattezzarono (dall’arabo Al Chanià) La Canea e ne fecero un porto popoloso e trafficato, difeso da una cinta muraria (1336/1356) che fu ridisegnata e ammodernata nel XVI secolo. La città vecchia è raccolta attorno al pittoresco porticciolo veneziano, su cui affaccia il bell’Arsenale – di cui sussistono nove campate – ove avveniva il carenaggio delle navi. Nel quartiere di “Kastelli” ferveva, all’epoca, la vita civile e commerciale veneziana. Infatti qui si trovavano il Governatorato, la Dogana, gli Archivi e gli eleganti palazzetti signorili di cui restano – nell’intricato dedalo di stradine – portali, stemmi, qualche aggraziato balcone in pietra da taglio.
La Canea era anche sede di cattedra episcopale romano-cattolica. Al XIV secolo risale la chiesa di San Francesco, con interno a tre navate, coperte da volte a profilo archiacuto, facente parte di un convento francescano,poi trasformata in moschea ed oggi sede di una ricca esposizione archeologica museale.
Le mura cinquecentesche hanno la paternità di Michele Sanmicheli (a Creta nel 1538/39) il quale ne disegnò lo schema con i quattro baluardi ai vertici dell’impianto grossolanamente quadrilatero. Gli ampliamenti durarono sino al 1551 ed ulteriori opere di difesa furono condotte dal 1563 al 1568, in vista dell’accentuarsi degli appetiti ottomani. Finché nel 1645, il giorno 22 di agosto, la città dovette capitolare.
Nella baia di Suda, una profonda rientranza ad est della Canea, rimasero veneziani ancora per oltre mezzo secolo, sino al 1715, i due isolotti (Suda, appunto, e Paleosuda) posti proprio all’estremità dei due promontori che la racchiudono. Questi, fortificati, continuarono a costituire punti d’approdo nelle rotte commerciali dell’ormai languente repubblica marinara.
Il periplo dell’isola ci porta infine a Rethymnon, la veneziana Rettimo, terza città dell’isola, con il porto dominato da un’imponente fortezza. La cittadella si stendeva sul mare protetta – verso l’interno – da un giro di mura, rinforzate nel XVI secolo (tra il 1540 e il 1570) su disegno e indicazioni di Michele Sanmicheli. Delle mura non resta che, in malconce condizioni, la cosiddetta Megalē Porta (o porta Guora, dal governatore che la fece costruire nel 1566) ormai inglobata nel tessuto viario, completamente occupato da moderni edifici.
Tra il 1573 e il 1580 il governatore Alvise Lando fece costruire sul Paleokastro, il promontorio che sovrasta l’abitato, la grandiosa, massiccia fortezza, con bastioni, baluardi, barbacani, torri di vedetta a spiare all’orizzonte i movimenti delle temute vele turche. Il disegno del castello fu commissionato all’ingegnere militare veneziano Sforza Pallavicini, mentre i lavori furono condotti dall’ingegner Giovanni Paolo Ferrari, di cui resta una planimetria del forte, datata 1574 e conservata alla biblioteca Marciana di Venezia.
In alto: la fortezza di Rethymnon
All’interno della fortezza, cui si accede da un portale sormontato, come d’uso, dallo stemma leonino della Serenissima, oltre a ruderi di caserme, magazzini, polveriere e cisterne, è interessante una costruzione cubica, adattata dai turchi a moschea, con tanto di cupola emisferica, che in origine era l’antica chiesa cattolica di S. Maria degli Angeli.
Nel tessuto viario della città vecchia, si incontrano in ordine sparso pregevoli ingressi in pietra,,inquadrati fra colonnine e timpani, residui del passato splendore cinquecentesco.
Più antica è la chiesa di San Francesco, presso la via dell’Agorà, medioevale ma riutilizzata dai turchi come scuola (oggi sala d’esposizioni).
Presso il porto è la Loggia dei mercanti, sobrio esempio di architettura manierista, costruita fra il 1580 e il 1610, restaurata e riportata alle forme originali, con eliminazione delle superfetazioni turche.
Non lontano prospetta la fontana Rimondi del 1629, cosiddetta dal nome del governatore che la fece costruire, a pubblica utilità, di elegante disegno, anche se fortemente guastato dal tempo, con bocche d’acqua inserite tra snelle colonne corinzie.
In alto: monastero di Arkadi
Il viaggio si chiude ad Arkadi, nelle alture dell’entroterra di Rethymnon, con la visita al celebre convento (caro ai greci per il martirio eroico consumato nel 1866 dalle circa novecento persone qui assediate dai turchi, che preferirono saltare in aria dando fuoco alla polveriera, piuttosto che arrendersi all’occupante). L’impronta veneziana è qui, mai come altrove, evidente ed esemplificativa: la chiesa che sorge al centro del severo recinto conventuale è una scenografica quinta di una maniera architettonica che già inclina al barocco. La facciata, in tenera pietra di calda tinta ambrata, è del 1578 ed è armoniosamente ritmata da coppie di colonne corinzie, archi, oculi, pinnacoli, ed uno svettante, curvilineare campanile di coronamento. E’ un prospetto che emblematicamente riassume e suggella, nel modo più fastosamente esibito, la ricchezza dell’apporto culturale di Venezia che, per ben oltre quattro secoli, fu signora dell’isola.
arch. Renato Santoro, Roma
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