Πέμπτη 16 Απριλίου 2020

Stou 'Othona ta hrónia (AI TEMPI DEL RE OTTONE)

Testo di Nikos Gatsos
Musica di Stavros Xarchakos
Prima esecuzione: Dimitris Papamichail (Film: «Διπλοπενιές», 1966)
Disco: «Ένα μεσημέρι / Un mezzogiorno», 1966

Ottone I, re di Grecia dal 1832 al 1862.
Ottone I, re di Grecia dal 1832 al 1862. 


Nel 1966 uscì nelle sale cinematografiche greche una commedia musicale, di quel tipo in voga durante quel decennio e in quello precedente negli U.S.A. - e pure in Italia - , dove un'esile trama post-neorealistica serviva, non senza intenti spiccatamente commerciali, a dar risonanza a un cantante o a un genere musicale. Un paio di anni prima, il film di Mihalis Kakoyannis, "Zorba il Greco", con Anthony Quinn e Irene Papas protagonisti, e con la musica di Mikis Theodorakis, aveva ottenuto un successo mondiale; e un vento propizio soffiava per chi produceva ed eseguiva canzoni ballabili, accompagnate dal buzuki, ormai trasformato da Manolis Chiotis da tricordo in tetracordo, e dunque, divenuto più agile e adatto a quello speciale virtuosismo che richiedono all'esecutore i velocissimi finali dei pezzi di "sirtaki". Il film, del regista Yorgos Skanelakis, con interpreti, appunto, una coppia di cantanti, Aliki Vouyouklaki e Dimitris Papamihaìl, era intitolato Διπλοπενιές e raccontava la storia di Grigoris, un giovane muratore del Pireo dotato di bella voce che raggiunge il successo come cantante popolare e per ciò si complica la vita con la giovane sposa Marina. Niente di speciale, dal punto di vista cinematografico: ma della musica fu incaricato Stavros Xarchakos, un compositore trentenne di ottimi studi, che sarebbe in breve andato ad affiancarsi a Manos Hatzidakis e a Mikis Theodorakis, i maggiori di quel tempo, per arrivare poi, nella sua più matura età, a dirigere l'Orchestra Sinfonica di Stato. In questo sito il nome di Xarchakos apparentemente non è rappresentato come merita: ma è sufficiente cercare anche le canzoni di Nikos Xylouris, per accorgersi di quale contributo quel musicista abbia dato alla migliore canzone greca e, di conseguenza, anche a noi. Come versificatore, Xarchakos ritrovò Nikos Gatsos, con cui aveva l'anno precedente scritto una canzone: Gatsos era stato un poeta colto e difficile, che, cresciuto nei circoli surrealisti al fianco di Embirikos e di Elytis, più di vent'anni prima aveva dato alla nuova poesia greca un testo fondamentale come Ἀμοργός, ma che, persuaso di non più possedere l'equilibrio tra raziocinio e immaginazione indispensabile al suo poetare, aveva, come paroliere di lusso, sposato la musica popolare, legandosi in quel periodo sia a Theodorakis, sia - e per il resto delle loro vite - a Hatzidakis. Grazie alla loro collaborazione, il film poté vantare sei canzoni destinate a durare nel tempo, ma che - secondo me - non si lasciano apprezzare a dovere nel contesto un po' falso e sciocchino del film, dove non solo si incontra l'irritante Vouyouklaki, ma dove anche una danza fluida e vitalistica, come il sirtaki, si cristallizza in una sequenza di figure robotizzate, pronte per essere vendute ai turisti di passaggio. Molto meglio ascoltarle, queste (e molte altre canzoni sue e dei maggiori compositori greci) nel disco "Ena messimeri/ Un mezzogiorno" o, ancor meglio, nelle riorchestrazioni fatte più tardi dallo stesso Xarhakos e affidate a voci molto più convincenti e mature di quelle con le quali si affermarono al loro apparire.

Il testo di una di queste canzoni è per me una specie di enigma: non ho mai capito bene perché lo si trovi in un filmetto di genere, e non invece - che so - in un'opera come "Il nostro grande circo" Το μεγάλο μας τσίρκο, quella sì di esplicito argomento storico e civile, composta negli anni Settanta da Xarchakos su testi di Iakovos Kambanellis. Si tratta della canzone "Ai tempi del re Ottone". Dal lato musicale è forse il sirtaki più noto ai Greci e ai turisti, dopo quello di Zorba il Greco (1964) e il "Σήκω, χόρεψε συρτάκι / Sveglia, balla il sirtaki" di Zambetas, portato al successo (e alla noia) dalla Vouyouklaki, sempre affiancata da Papamichail, nel film di Alekos Sakellarios "Mia figlia socialista"(1966). Chiaro segno che il "genere" macinava bene.

Dal lato testuale è invece una divagazione nella storia, il cui senso può, di epoca in epoca, attualizzarsi. Siamo al tempo del re Ottone (1815 - 1867), che regnò sui Greci per trent'anni, dal 1832 al 1862. In cambio del riconoscimento di un neonato Stato greco, e dei crediti che già da lquello vantavano in abbondanza, le grandi potenze vollero una grande fetta della sua indipendenza, e lo fornirono pure di un sovrano straniero, il tedesco cattolico bavarese Ottone di Wittelsbach, spacciato, grazie a qualche gocciolina di remoto sangue di famiglia, come un discendente dei Comneni (d'altra parte, anche Totò si diceva imperatore di Bisanzio, e i Savoja si vantano tuttora di essere i re di Cipro e di Gerusalemme). Il giovane Ottoncino sbarcò ad Anapli, la prima capitale della nuova Grecia, oggi Nafplion, accompagnato da un codazzo di ministri, a fargli da reggenti, e da uno stuolo di guardie bavaresi. Non riuscì mai a sembrare un greco, per quanto si sforzasse con vari mascheramenti di colore locale. Viveva nel sospetto della chiesa ortodossa, dei vecchi combattenti dell'indipendenza e dei partiti politici che funzionavano come propaggini della Francia, dell'Inghilterra e della Russia. Il paese era povero, e il popolo più tartassato dalle tasse che sotto i Turchi; mancava di una vera amministrazione e la periferia pullulava di briganti, i quali spesso erano gli stessi "pallikari" che avevano combattuto per l'indipendenza, ma che i Bavaresi non avevano voluto inquadrare nell'esercito nazionale; infine, il debito con i prestatori stranieri era impressionante.

Per mantenersi in sella puntò sulla forza armata bavarese portata con sé e su una linea di assolutismo, che dovette abbandonare nel settembre del 1843, per la rivolta costituzionale di Kalergi e Makrygiannis. Questo gli diede un altro ventennio di corona, che, non più difesa da un contingente bavarese, perse finalmente nel 1862, dopo avere sperperato altri quattrini - ma non quelli che si era portato dalla patria e che là riportò intatti, quando gli inglesi gli offrirono un passaggio su una delle loro navi perché sparisse dalla circolazione - nel tentativo di ampliare il suo regno con l'isola di Creta.

Gatsos, che spesso amava riandare nei suoi testi alla storia dei Greci, ironizza su questo re che si atteggia a greco (le guardie bavaresi che eseguono il sirtaki in suo onore), mentre dei Greci in realtà se ne fotte. Il paese è in disordine; i briganti hanno fatto il covo perfino sull'Acropoli. Solo i Greci possono risolvere i problema dei Greci: e quando finalmente il re si decide a chiamarne i più combattivi come "polismani/policemen" dall'aspra Mani e dall'irredenta Creta, allora si vede che qualcosa si può sperare di combinare.

Non ho tradotto il titolo del film, "Diplopeniès", che mi sembra intraducibile, ma del quale cercherò di spiegare il senso. Alla lettera, "diplopenià" significa doppio colpo di plettro (sulle corde del buzuki), dicendosi il plettro "penna" e significando "diplos" doppio. Al corrispondente lemma il mio Babiniotis spiega: "modo di eseguire un pezzo musicale al buzuki, che combina note primo-secondo": e qui mi fermo per mia ignoranza della tecnica musicale. Con la stessa parola si indica però anche il virtuosismo con cui si suona il buzuki. (gpt)

Versione italiana di Gian Piero Testa


AI TEMPI DEL RE OTTONE

Una volta a mezzogiorno
dalle parti dell'Acropoli
dei briganti spietati
facevano di quelle calde pietre
un covo

A Monastiraki 1
guardie Bavaresi
sotto la vampa ballano un sirtaki 2
al cospetto del re

A Creta e nella Maina
manderemo un firmano 3
alle città e ai villaggi
manderemo un firmano
che vengano i poliziotti
a dar la caccia alle belve.

Giù al porto
cantano i poliziotti
sono arrivati i ragazzi
ma hanno ancora il cuore
nella Maina

Sono arrivati martedì
i ragazzi dello Psiloriti 4
bevono grappini 5 ma hanno ancora il cuore
a Creta

A Creta e nella Maina
mandammo un firmano
alle città e ai villaggi
mandammo un firmano
giunsero i poliziotti
e scacciarono tutte le belve.


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