Κυριακή 5 Μαΐου 2019

Lingue sotto il tetto d'Italia. Le minoranze alloglotte da Bolzano a Carloforte - 12. Le isole grecofone in Calabria e in Puglia


Il greco è una delle 12 lingue suscettibili di tutela alle quali è stato riconosciuto il carattere di «minoranze linguistiche storiche» della penisola 

di Domenica Minniti Gònias, Università Nazionale e Kapodistriaca di Atene

3 aprile 2019

Parlando di “minoranza linguistica”, se ne impone innanzitutto una distinzione dalla “lingua minoritaria”: la prima consiste nella lingua parlata da un gruppo migratorio presente sul territorio, la seconda è quella che viene usata da una determinata minorità di cittadini all’interno di un Paese (Tsitselikis 1996). Tuttavia, nell’uso le due definizioni ricorrono interscambiabili. La questione delle minoranze linguistiche, a quanto pare, rappresenta un’immediata precedenza della politica linguistica europea, vòlta alla protezione dei diritti umani e alla cura del libero esercizio di autodeterminazione dei cittadini attraverso la Carta delle lingue periferiche o delle lingue minoritarie del 2003 (Orioles 2003). L’Italia, così come altri Paesi europei, presenta numerose lingue minoritarie sul suo territorio, protette dall’art. 6 della Costituzione, per un numero complessivo di più di 2 milioni di alloglotti (Telmon 1992). Tale numero è presumibilmente maggiore, considerato che esso è determinato dal moltiplicarsi degli interventi degli enti regionali, statali e comunitari preposti e non dall’effettivo numero dei parlanti. Si osserva, infatti che, nonostante il decadimento, obiettivamente constatato, dell’uso linguistico presso certe comunità alloglotte, un numero sempre maggiore di persone nelle aree interessate dichiarano di essere parlanti di una determinata lingua minoritaria.

Effetti della legge n. 482/1999

Il greco è una delle 12 lingue suscettibili di tutela alle quali è stato riconosciuto il carattere di «minoranze linguistiche storiche» della penisola (Toso 2008). Le isole grecofone sono due, situate rispettivamente in Calabria, nella sub-regione della Bovesìa, e in Puglia, nella sub-regione del Salento.

È necessario sottolineare preliminarmente che le denominazioni grecanico e grico con cui sono noti i due dialetti non corrispondono a criteri linguistici (Minniti Gònias 20001): lat. grecanicus era un aggettivo con cui veniva designato nel mondo latino ciò che proveniva dalla Grecia o dalla Magna Grecia, mentre grico non è che la pronuncia pugliese di “greco” con cui gli otrantini definiscono la propria lingua. Considerato il carattere di bilinguismo che presentano queste parlate, le forme corrette da adottare sono dialetto calabro-greco (o greco calabro) e dialetto apulo-greco (o greco pugliese). Non esiste dunque l’etnonimo “grecano” applicato ai parlanti: la forma corretta è grecofono calabrese e, a seconda, grecofono pugliese.

La comunità grecofona di Calabria

Le comunità grecofone, il cui bilinguismo veniva rilevato fin dal 1880 (Minniti Gònias 1983), corrispondono oggi a quattro comuni della provincia di Reggio Calabria2. Situate sul versante meridionale dell’Aspromonte e dislocate in tre sub-aree geograficamente contigue, esse formano la “Bovesìa”, così chiamata dal centro più importante, Bova (perciò detta Chòra, la capitale). La prima delle tre aree comprende le comunità Roccaforte del Greco (gr.cal. Vunì “piccola montagna”) e Rochùdi (< gr. a. ριχώδης “aspro, impervio”) con le rispettive contrade Chorìo3. Nella stessa area, Mèlito di Porto Salvo è comune aggregato, in quanto, dopo le disastrose alluvioni degli anni ’70, vi si sono stanziati numerosissimi grecofoni di Rochùdi, i quali dagli anni ’90 in poi si sono trasferiti nel moderno abitato di Rochùdi Nuovo (vicino a Pentidàttilo, sempre nel territorio di Mèlito). La seconda area grecofona interessa la vallata del torrente Amendolea e comprende Condofuri, con le contrade Condofuri Marina (gr.cal. Limmàra), Gallicianò e l’antica città di Amendolea (gr.cal. Amiddalìa “mandorlo”). La terza area, infine, si estende nei comuni di Bova (gr.cal. Vùa) e Bova Marina (gr.cal. Fùndaca); quest’ultima cittadina, pur essendo sorta soltanto alla fine dell'Ottocento, viene considerata grecofona perché fondata da abitanti provenienti da Bova; inoltre, la sua popolazione conta oggi parecchie famiglie grecofone provenienti da Rochùdi e da Chorìo di Rochùdi. Infine, area grecofona aggregata risulta anche Reggio Calabria, per il gran numero di rochùdesi e gallicianesi che ci vivono stabilmente.

La comunità grecofona di Puglia

La cosiddetta Grecìa Salentina è situata al centro della penisola salentina, una regione della Puglia meridionale che comprende anche città storiche come Otranto – da cui le deriva la denominazione anche di Terra d’Otranto –, Santa Maria di Leuca e Gallipoli, la cui Abbazia di San Nicola di Càsole in epoca medievale fu il centro del monachesimo basiliano nel Salento e, grazie alla produzione poetica e ai suoi codici in lingua greca, apprezzati nell’Europa dei primi decenni dell’anno mille, fu con molta probabilità il monastero più ricco d’Europa di quei tempi (Gigante 1985). Della Grecìa Salentina fanno parte i seguenti comuni della provincia di Lecce: Martano, Calimera, Martignano, Sternatìa (la Chòra), Zollino, Corigliano d’Otranto (in gr.pugl. Choriàna), Soleto, Melpignano e Castrignano de’ Greci; secondo dati riportati dallo European Bureau for Lesser-Used Languages (EBLUL), la grecofonia sembra in forte ribasso a Martignano, Soleto e Melpignano. I comuni di Carpignano Salentino, Cutrofiano e Sogliano Cavour non sono grecofoni, ma nel 1990 sono stati inclusi nel cosiddetto consorzio della Grecìa salentina, patrocinato anche dall’Unione europea e presieduto da Calimera. Come si vedrà in un paragrafo successivo, la comunità grecofona salentina è linguisticamente più omogenea rispetto a quella calabrese.

Situazione sociolinguistica e cause della conservazione del greco

Le stime sul numero dei parlanti grecofoni in Calabria e Puglia variano da alcune migliaia a decine di migliaia. Secondo il World Directory of Minorities and Indigenous Peoples – Minority Rights Group International, ad esempio, recentemente il greco era parlato in entrambe le regioni da 2.500 a 20.000 persone. Un’altra ricerca del 1999 riporta che in Calabria i parlanti sono solamente 500 all’incirca, mentre nel recente sondaggio dell’ISTAT delle 24.000 famiglie di italiani alloglotte intervistate, il greco è presente in percentuale di 1,2% e limitatamente alla Puglia. In ogni caso, tutte le fonti concordano sul fatto che i parlanti sono bilingui, usano il dialetto o l’italiano standard come prima lingua e il greco come seconda lingua ma nell’ambito strettamente familiare. Una ricerca realizzata dall’UNESCO nel 1993 (Salminen 2007) sul greco nelle due regioni ne ha decretato lo stato di lingua in via di estinzione.

Per quanto riguarda le cause della conservazione del greco nelle due aree, sono state espresse diverse opinioni. Appare tuttavia inverosimile che essa sia dovuta, ad esempio, alla celebrazione in greco delle funzioni religiose, sebbene molti studiosi abbiano espresso tale convinzione (Minniti Gònias 1983), giustificata certamente dalla larga diffusione del rito orientale e dei monasteri basiliani nel sud Italia bizantino. Un’esatta valutazione deve invece poggiare sull’analisi delle condizioni geografiche, storiche, economiche e sociali dei territori interessati dall’allofonia.

Le due aree, pur differenziandosi dal punto di vista territoriale – montuosa la Calabria aspromontana, pianeggiante e arido il Salento –, a livello macroscopico condividono tuttavia la situazione storica dell’Italia meridionale, caratterizzata da decadenza politica ed economica di centri che furono amministrativamente importanti, come Bova e Soleto dal 16o-17o sec. in poi. Tale condizione si riflette nelle attività economiche e nel modo di vita degli abitanti, dediti principalmente per quanto riguarda gli aspromontani alla pastorizia e i salentini all’agricoltura. In definitiva, il concetto di “inerzia storica”, proposto da Tullio De Mauro, è traducibile in termini di isolamento storico e geografico, di ostilità dell’ambiente e primitività dell’economia: tutti elementi non disgiungibili fra loro, che hanno concorso alla conservazione della lingua greca (ivi).

Origini storiche della grecofonia in Calabria e in Puglia

La “scoperta” dei dialetti greci dell’Italia meridionale risale al lontano 1821 (Minniti Gònias 1983, cit.). Da allora essi sono stati studiati intensamente, anche se non in maniera esaustiva, nella seconda metà del ‘900. Com’è noto, esistono due teorie sulle origini storiche di queste parlate: la teoria “romaica” e la teoria “arcaica”. La prima, enunciata da Giuseppe Morosi e poi sostenuta specialmente dal linguista salentino Oronzo Parlangeli, asserisce che il greco fu introdotto nell’Italia meridionale nel 10o-11o sec., durante il flusso migratorio che fece seguito alle vicende storiche in Oriente. La seconda teoria, formulata dal glottologo tedesco Gerhard Rohlfs e sostenuta da studiosi greci fra cui Stam. Karatzàs e Styl. Kapsomènos, afferma invece che l’uso del greco in Calabria e Puglia costituisce una sopravvivenza del greco fin dall’epoca delle prime colonizzazioni (8o sec. a.C.); sopraffatto dalla diffusione del latino dominante, esso si sarebbe stato poi rinvigorito dai nuovi apporti in epoca medievale e si sarebbe conservato specialmente a causa delle particolari condizioni di vita delle popolazioni. Di seguito si dà una sommaria descrizione dei fenomeni linguistici su cui si basa tanto la prima quanto la seconda teoria.

Secondo i sostenitori della teoria “romaica”, il greco dell’Italia meridionale non si differisce sostanzialmente dal greco comune, il quale si andò formando fino al X secolo, epoca in cui, a parer loro, fu importata in Italia. In effetti, si può agevolmente constatare che vige nei sistemi linguistici di questi dialetti lo stesso modo del neogreco, ad es. di semplificare la sintassi (per es. la proposizione finale resa da na + congiuntivo aoristo), di formare i sostantivi (per es. plurali in -de: i leddade “le sorelle”), verbi e avverbi per mezzo di prefissi e suffissi derivazionali (es. para-calò “pregare”, apo-tònima “riposo”, pu-tten “da dove”); uguali, infine, sono le congiunzioni e le preposizioni (ce “e”, is “verso”, jà “per”, methé “con”, ambró “davanti”, cato “sotto”) (ivi)..

La teoria arcaica e l’ipotesi del sostrato dorico si basa su elementi che Rohlfs riteneva paleo-greci (appartenenti alla koiné dorica della Magna Grecia o alla koiné ellenistica) e generalmente pre-bizantini (cioè, non attestati nel lessico del greco antico o del greco moderno, quindi di formazione autoctona e pertanto non introdotti in epoca bizantina). Tali elementi riguardano il lessico, la fonetica e la sintassi; in particolare lo studioso annota la conservazione di -α dorico (lanò < λανός “tino per il vino”, nasida < νασίς “striscia fertile lungo il torrente”), la pronuncia doppia delle consonanti geminate, scomparsa nel greco continentale, ma viva a Cipro e a Rodi (kanno < κάμνω “fare”, ennèa “nove”), l’accentazione ossitona del genitivo singolare e plurale dei pronomi dimostrativi maschili e femminili (cinù “di quegli”, addù “d’altri”) di contro al greco comune εκείνου (/e'kinu/), άλλου (/'allou/) e, infine, determinati diminutivi al posto della voce semplice (sklupì “assiolo”, invece di ngr. σκλόπα) e così via (ivi).

Caratteristiche linguistiche

Indipendentemente dall’una o dall’altra teoria, si rilevano in entrambi i dialetti alcune forme il cui uso nella koiné era stato già rilevato dal linguista storico Antoine Meillet (1930); fra queste si segnalano: l’imperf. dell’aus. isso, ngr. ήσον “tu eri”; il pres. ind. steko “stare”, ngr. στέκω; l’aor. in -α ipa “dissi” ngr. εἶπα; lo iotacismo di ει, η, υ, per es. in liko “lupo”, ngr. λύκος (/'lykos/); la pronuncia /av/ del dittongo αυ come in avri “domani”, ngr. αὗριο ecc. (ivi).

Tuttavia i due dialetti si differenziano notevolmente fra loro, com’è naturale, a causa delle influenze esercitate dal dialetto di sostrato. La caratteristica forse più evidente del pugliese otrantino rispetto al calabrese meridionale è la desonorizzazione delle nasali: ad es. πέντε /'pende/ “cinque” diventa pende in gr.cal. ma pente in gr.pugl. (Rohlfs 1976).

Rispetto al neogreco, altre caratteristiche fonetiche rilevanti sono le seguenti:

- la caduta in Puglia (feo) e l’assimilazione e conseguente metafonesi in Calabria (fegguo) del gamma intervocalico γ come in φέυγω /'fevgho/ “parto”;

- la dentalizzazione della velare κ /k/ che diventa affricata, per es. και “e” > ce, εκείνη “lei” > ecini, ο κύριός μου “mio padre” > o ciùri mu;

- la perdita di aspirazione della θ /th/ che diviene dentale (es. θάλασσα /'thalassa/ “mare” > tàlassa e θέλω /'thelo/ “voglio” > thelo in Calabria (che però in Puglia spesso si evolve in alveolare: es. ήθελα /'ithela/ “volevo” > isela);

- l’evoluzione dell’occlusiva aspirata χ in dentale spirante in Puglia (ανοιχτός /ani'htò/ “aperto” > niftò e in fricativa dentale sorda o solo dentale in Calabria (anithtò, anittò);

- il passaggio di μ da bilabiale a labiodentale fricativa prima della dentale sorda come nel caso di Πέμπτη /'pempti/ “giovedi” > pèfti (ma pesthi in gr.cal.).

Differenziazione diatopica del greco calabro

Il greco parlato dalla comunità calabrese presenta notevoli differenziazioni fonetiche e alcune anche lessicali al suo interno fra l’area bovese e l’area amendolese; di quest’ultima vanno sottolineati alcuni sviluppi particolare a Gallicianò, oggi considerato l’ultimo baluardo del greco cal. Val la pena di illustrare i fenomeni principali (Minniti Gònias 1983, cit.):

- le duplici soluzioni delle consonanti doppie del greco ξ /ks/ e ψ /ps/: nell’area bovese sono rese entrambe con /ts/ a cui corrisponde ‘zz’ nella grafia (zzaderfò < ἐξάδελφος “cugino”, zzichì < ψυχή “anima”) mentre nell’area amendolese presentano metatesi di /x/ in -sc e di /ps/ in -sp (quindi sciaderfò, spichì),

- l’uso del pronome relativo indefinito pu (amend.) e ti (bov.) rispetto a ngr. που,

- la straordinaria presenza di indefinito ullo(s) “tutto” a Gallicianò rispetto a olo(s) della restante comunità,

- la palatalizzazione della velare /γ/ intervocalica: ngr. λειτουργία “messa” > lutrujìa (bov.), lutrughjìa (Gallicianò),

- il vario comportamento di -s finale quando la parola successiva comincia per consonante (escluse le combinazioni tra occlusive p, t, k e laterali r, l): in area amendolese presenta anaptissi della -i, in area bov. della -e: Es. pis isperri, pis esperri, “chi semina”.

Lingua e cultura delle comunità grecofone

Oltre che dal punto di vista strettamente linguistico, il calabro-greco e l’apulo-greco risultano essere dei dialetti dal lessico molto ricco, complesso e interessante anche dal punto di vista culturale in quanto espressioni di una società improntata a molteplici attività produttive, amministrative e religiose. Lo storico greco Fèdon Koukoulès vi ritrova reminiscenze della cultura e degli usi bizantini in termini come zzukkàli “pentola” < τσουκάλι, bùmbulu “vaso a collo stretto” < βουμβούλιον, koràtora “massaio” < κοράτωρ, stari “stoffa” < ἱστάριον, codespina “massaia” < οικοδέσποινα, akklì “baule” < αρκλίον (ivi). Altri termini si potrebbero aggiungere (Rohlfs 1964), ad esempio quelli una volta designanti professioni e mestieri, oggi rimasti nell’onomastica (Falcomatà < χαλκωματάς “calderaio”, Spatafora < σπαθοφόρος “chi porta la spada”, Cannatà < κανατάς “bottigliaio”) e nella toponomastica (Pezò < πεζός “fante”, Calojéro < καλόγερος “frate”, Cannistrà < κανιστράς “panieraio” in Calabria e Strudà < στρειδάς “ostricaio”, Zuccalà < τσουκαλάς “pentolaio”, Cirifalco < κυρ Φάλκος “ser Falco”, Parabita < παραβάτης “violatore” ecc., in Puglia).

Note

1 Una più ampia trattazione delle questione si v. in Rohlfs 1966.

2 Sant’Agata, Cardeto e Mosorrofa, a nord di Reggio; Pedavoli, Scido, San Giorgio, Lubrichi, Sitizzano e Sinopoli,

3 Chorìo (χωρίον) era la denominazione data dai Bizantini agli insediamenti appena fuori dalla cittadella, la chòra (χώρα).

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La prima puntata: Il bel paese là dove 'l “sì” suona. E anche l’“ô”, lo “ja”, lo “scì”…(Fiorenzo Toso, curatore del ciclo)

La seconda puntata: Il francese e il francoprovenzale (Matteo Rivoira)

La terza puntata: Alto Adige – Südtirol (Sudtirolo) (Marco Caria)

La quarta puntata: Lo sloveno (Franco Finco)

La quinta puntata: L’occitano cisalpino (Matteo Rivoira)

La sesta puntata: Il friulano (Franco Finco)

La settima puntata: I Ladini delle Dolomiti (Marco Forni)

L’ottava puntata: Il sardo (Fiorenzo Toso)

La nona puntata: Il catalano di Alghero (Marco Caria)

La decima puntata: Le isole linguistiche germanofone minori (Marco Caria)

L’undicesima puntata: La minoranza linguistica italo-albanese (arbëreshe) (Monica Genesin e Joachim Matzinger)

Immagine: Veduta di Bova, comune appartenente alla città metropolitana di Reggio Calabria, vista da Pelizzi. Bova è uno dei centri più importanti in cui è rappresentato il greco di Calabria

Crediti immagini: 
Filippo Parisi from Reggio Calabria, Italy [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)

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