Oriana
Fallaci e Alekos Panagulis
Esce il 13
ottobre per Rizzoli una raccolta di saggi e testi di Oriana Fallaci dedicati a molti
aspetti privati, tra i quali l’amore per il poeta greco morto nel 1976
L’interrogatorio tardivo del giudice che indaga sulla morte di Alekos Panagulis. Gli avvoltoi
che usano il nome del poeta per vendere magliette. Ma anche la dolcezza con cui
Oriana Fallaci rivela che «Alekos e mia madre erano le due creature della mia
vita». Sono molti i disvelamenti e le verità scomode nel libro Solo io posso
scrivere la mia storia. Autoritratto di una donna scomoda (Rizzoli), che uscirà
il 13 ottobre e di cui pubblichiamo qui un brano inedito, Ritorno alla Grecia.
Il libro raccoglie molti scritti della Fallaci, alcuni mai pubblicati prima, da
cui emergono particolari poco noti, come la visita riservata alla tomba di
Panagulis, oppure i sospetti sul clima politico greco. Ma anche passaggi
sofferti, come quelli dedicati alla madre, o all’anellino infilato nella bara
del poeta. Con un saluto alla vita, nelle pagine finali del volume, che è
impetuoso e commovente. (I.Bo.)
Sulla tomba
di Alekos non ho mai portato un fiorellino. Ogni 1° maggio, cioè ogni
anniversario della sua morte, gli ho spedito trentasette rose rosse: sì. (Aveva
trentasette anni quando lo uccisero). Ma quel fiorellino non gliel’ho mai
portato. Nel cimitero della mia famiglia, a Firenze, ho posto una lapide in sua
memoria: sì. L’ho posta nell’angolo dove sarò sepolta. Ma la sua tomba non l’ho
mai vista e non la vedrò mai. Non voglio vederla. Del resto, che senso avrebbe
vederla? Lì ci sono soltanto le sue ossa spolpate dai cannibali (...) e dagli
avvoltoi che vendono le T-shirt col profilo dell’eroe-morto-a-Glyfada. La sua
anima sta nel mio cuore.
l libro
«Solo io posso scrivere la mia storia» (Rizzoli)
Sono tornata
in Grecia quando ho potuto: mia madre stava morendo. Peggiorò improvvisamente
il giorno in cui Alekos morì. Ne rimase straziata perché lo amava moltissimo:
tanto quanto lui amava lei. Infatti la chiamava Mamma, e Mamma Tosca: sapendo
quanto ciò le facesse piacere. Quel giorno la mamma si mise a letto e,
praticamente, non si rialzò più fino al giorno in cui morì. Poco prima di
morire, il giorno prima, mi disse: «Vado da Alekos».
E poi cosa
avevo da fare in Grecia ormai? Niente fuorché portare qualche fiore sulla tomba
e piangere a vederla così brutta, non fatta. (All’inizio mi era stato chiesto
di farla e io avevo ordinato anche la pietra per farla come sapevo che Alekos
l’avrebbe voluta: simile alla tomba di Garibaldi, senza croci. Ma poi, quando
la pietra fu pronta, mi si disse che potevo usarla per me... Credo per via
della croce, cioè del fatto che non volevo mettere croci. Alekos odiava
talmente le croci).
In compenso,
in Italia, avevo da fare qualcosa di importante: assistere mia madre durante la
sua agonia. E così, quando la sua situazione peggiorò ancora, e il cancro
invase tutto il corpo, non la lasciai più. I primi otto mesi di lutto per
Alekos li ho passati praticamente in camera di mia madre, ad aspettare la sua
morte. Quando la mamma è morta è stato terribile per me. Ho dovuto ripetere gli
stessi gesti: vestirne il corpo, metterla nella cassa, accompagnare quella
cassa al cimitero, vederla calare dentro un buco nero... E bisogna capire una cosa:
Alekos e mia madre erano le due creature della mia vita. Più mi guardo
indietro, più concludo che non ho mai amato niente e nessuno come Alekos e la
mia mamma. E ora tutti e due se ne sono andati. Uno dopo l’altro, a soli otto
mesi di distanza. Ma un’altra cosa ho da dire: quando la mamma è morta, nessuno
mi ha mandato una parola di cordoglio da Atene. Nessuno. Nessuno ha mandato un
fiore. Eppure il fratello e la madre di Alekos conoscevano la mia mamma. Erano
venuti a trovarla nella nostra casa di campagna nel 1975, ed erano stati
ricevuti dalla mia famiglia con molto affetto.
Pensavo
naturalmente di tornare in Grecia il 1° maggio. Ma poi ho saputo che la
cerimonia sarebbe stata gestita dall’Unione di Centro e dal partito di
Papandreu. E me ne sono scandalizzata. Dall’Unione di Centro Alekos era uscito,
carico di delusioni e di dispiaceri: in Parlamento era rimasto come
indipendente di sinistra. Verso Papandreu si era sempre comportato con sdegno:
lo riteneva uno degli uomini più pericolosi di Grecia. Non lo stimava. Non lo
aveva stimato mai. So che ora si cerca di cambiare le carte in tavola e di dire
il contrario. È una cosa infame verso Alekos che dalla tomba non può
rispondere. La sua avversione verso Papandreu era tale che nemmeno in
Parlamento, passandogli davanti, gli rivolgeva la parola. E questa avversione
durava fin dal giorno in cui era uscito di prigione. (...)
Si potrebbe
scrivere un lunghissimo articolo solo su questo. Io so tutto perché ho visto
tutto e perché sul passato Alekos mi ha raccontato tutto.
Dovrei
quindi lasciar sfruttare il mio nome dall’Unione di Centro e dal partito di
Papandreu? Dovrei quindi farmi strumentalizzare da loro partecipando alle loro
funebri cerimonie elettorali? No, grazie. Non lo farò. Per la mia dignità e per
la dignità di Alekos. Mi sembrerebbe di tradirle. Quando vorrò portare un fiore
sulla tomba di Alekos, ci andrò zitta zitta come ho fatto sempre: senza che
nessuno lo sappia. Non il 1° maggio. Il 1° maggio commemorerò Alekos a modo
mio. E i fiori glieli porterò nella cappella della mia casa di campagna. Oppure
nella nostra stanza della mia casa di campagna, dove ancora dormo e dove tutto
è come quando lui partì. Le sue ciabatte, la sua biancheria. Le poesie che
scriveva per me quando veniva Natale o Pasqua o il mio compleanno. Tutti i
Natali e le feste Alekos le passava qui in campagna, insieme a me e alla mia
famiglia. Tutti dal 1973. Qui ha vissuto per mesi. E qui è più presente che al
cimitero di Atene. Al cimitero di Atene vi sono soltanto le sue ossa, col mio
anello al suo mignolo sinistro. Ad Atene non c’è più nemmeno la nostra stanza,
in via Kolokotroni. È stata disfatta senza dirmi nulla. Non so chi abita in
quell’appartamento, ora. Meglio così.
E poi le
cerimonie non servono ai morti: servono ai vivi. O meglio agli sciacalli. Non è
facendo una cerimonia sfruttabile politicamente che si racconta al mondo chi
era Alekos e perché morì. È facendo ciò che faccio io. Cosa faccio? Vedrete.
Sulla mia
testimonianza a Gavunelis
Per mesi
chiesi agli avvocati di essere interrogata dal magistrato che conduceva
l’inchiesta. Ma soltanto verso agosto o settembre fui finalmente chiamata.
Parlai a Gavunelis per undici ore e mezzo ininterrotte. E alla fine lui sbottò:
«Ma perché lei non è venuta prima, da me?!?». Risposi: «E perché lei non mi ha
chiamato prima?!? Da mesi aspettavo che mi chiamasse e lo dicevo agli avvocati
della famiglia». Rispose Gavunelis: «Soltanto ieri gli avvocati mi hanno
informato che lei sarebbe venuta ad Atene e che, in tale occasione, sarebbe
stata a mia disposizione se volevo interrogarla». Rimasi allibita. Chiesi
ancora: «Ma perché non ci ha pensato prima, da sé?». Rispose Gavunelis: «Io
volevo, fin da principio. Ma i familiari mi dissero che non dovevo chiamarla
perché non sapeva nulla. Non conosceva Alekos, o lo conosceva appena». Risposi
a Gavunelis: «Tutta la Grecia sa che io ero la donna di Alekos. Partimmo
insieme nell’ottobre del 1973, vivevamo insieme durante l’esilio. Eravamo
sempre insieme, dopo. Qualsiasi giornale lo sapeva. Non legge i giornali?». E
Gavunelis: «La famiglia mi disse che lei non sapeva nulla perché Alekos la
conosceva appena». Quanto alla mia testimonianza credo che sia stata data ai
giornali incompleta. Perché non credo che i tagli siano stati fatti dai
giornali. Sono tagli che riguardano i punti più interessanti della mia
deposizione. Se i giornali li avessero avuti, non se li sarebbero lasciati
sfuggire. Devo anche dire che, alla fine della mia deposizione, Gavunelis mi
disse: «La sua testimonianza è forse la più importante che abbia ascoltato. Lei
sa molto di più, molto (più, ndr) di quanto sa la famiglia. E ora sono convinto
che Alekos non sia morto per un banale incidente automobilistico. Sono convinto
che sia stato ammazzato. Ma perché andava solo, di sera, senza una guardia del
corpo?!?».
In quella
occasione rividi il fratello di Alekos. Venne a prendermi all’aeroporto e fu
sempre accanto a me. I fotografi lo sanno bene. Quando ritornai ad Atene lo
incontrai allo stadio dove si teneva una cerimonia commemorativa per la
resistenza contro i nazifascisti. Ero lì per incontrare un antico amico di
Alekos. Ma lui si mise a gridare insulti contro questo signore, non so perché,
e anche a dire che io ero l’amica di Averoff e di Andreotti. Non mi parve molto
normale, diciamo. Provai una gran pena. Così mi alzai e me ne andai a sedere
accanto a Elias Eliu che è un brav’uomo. Da quel giorno non ho più voluto
vedere nessuno.
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