Originaria
di Bova Marina, cittadina della Calabria meridionale nell’area grecofona della
Bovesìa, la professoressa Minniti Gònias si è dedicata presto allo studio e la
salvaguardia del dialetto grecocalabro.
Intervista accordata a Stefanos Dimitriadis per PUNTO GRECIA
2 Maggio 2019
A questo suo
interesse principale di ricerca si aggiunsero in seguito altri temi e argomenti
riguardanti p. es. i rapporti tra la lingua italiana e i dialetti del neogreco,
la traduzione, la questione linguistica in Italia, nonché l’odierna presenza
della lingua italiana in Grecia e il prestito linguistico nella lingua orale
neoellenica.
Membro, tra
l’altro, della European Society of Translation e del comitato scientifico della
rivista Translatorica & Translata(Univ. di Łodz, Polonia), è autrice di
numerosi saggi monografici, articoli, e libri su questioni attinenti a entrambi
i campi della sua specializzazione, la linguistica e la traduttologia. Studi
che spesse volte sono tesi, esplicitamente o no, a evidenziare i legami e i
rapporti culturali tra le due penisole, la Grecia e l’Italia, sia a livello
personale e letterario (si ricordi per esempio il suo influente articolo
“Osservazioni sulla lingua delle poesie italiane di Dionisios Solomòs”), che a
quello collettivo e storico, esplorato ripetutamente nelle sue ricerche sul
contatto millenario e fertile tra le due lingue e i loro dialetti. Al di là
delle sue pubblicazioni scientifiche, Domenica Minniti Gònias è traduttrice di
testi italiani in greco, come i “Dieci tesi per l'educazione linguistica
democratica” di Tullio de Mauro ma anche di autori greci come, ad esempio, il
poeta Anagnostakis.
Noi
l’abbiamo incontrata in occasione del suo ultimo libro Italoellenica A': Studi
sul prestito lessicale, una raccolta di saggi sugli italianismi presenti nella
lingua neoellenica e nei suoi dialetti e gerghi, di recente pubblicato dalla
casa editrice ateniese Grigoris. In questa intervista* ci parla tra l’altro del
suo percorso formativo e della sua passione per le due lingue, l’italiano e il
greco, e i loro dialetti, come pure dei prestiti lessicali, quelle parole
parlanti degli stretti rapporti tra i due Paesi, che arricchiscono la potenza
espressiva delle nostre lingue, e che inconsapevoli della loro evoluzione
etimologica usiamo quotidianamente senza accorgerci del loro bagaglio secolare.
Qual è stato
il suo percorso formativo? Come mai si è interessata alla lingua e letteratura
neogreca?
Ho avuto fin
da piccola la vocazione per la lingua in genere e le lingue straniere in
particolare, ho imparato molto presto il francese e il tedesco; com’era fatale,
ho frequentato il liceo classico e poi mi sono iscritta all’Orientale di
Napoli, un’università tradizionalmente di grande prestigio per lo studio delle
lingue e all’avanguardia per quanto riguarda il greco; l’insegnamento della
lingua neogreca infatti vi fu introdotto già alla fine del ‘700. L’Orientale
era un osservatorio privilegiato: mi attirava in particolare tutto ciò che
aveva a che fare con i dialetti, la cultura popolare, le tradizioni; così
viaggiai un po’ dovunque a sud, in Sardegna in particolare, per dedicarmi ben
presto allo studio e alla diffusione del grecocalabro.
Ci vuol parlare
di questo dialetto?
È noto che
si tratta di un dialetto che un tempo era parlato in alcuni paesi della
Calabria Ultra, sia del versante settentrionale che di quello meridionale
dell’Aspromonte, per poi venire circoscritto a questa seconda area, la
cosiddetta Bovesìa. Comprende Bova o Vùa in grecocal., Condofuri, Roccaforte
del Greco o Vunì, Rochùdi e Chorìo di Rochùdi; Gallicianò è il centro montano
dove la parlata presenta un migliore stato di conservazione, mentre Bova Marina
o Fùndaca, la mia cittadina di origine, è considerata area aggregata, cioè i
grecofoni qui sono arrivati dai paesi circostanti. Il dialetto purtroppo è in
via di estinzione e fa parte delle endangered languages, ma l’attività di
rivitalizzazione è fervente da qualche decennio e sta dando alcuni risultati,
sempre molto poco rispetto a quello che si sarebbe potuto fare molto tempo
prima. Ma in passato non si era ancora sviluppata la coscienza della
salvaguardia di queste lingue che oggi in Italia sono considerate “minoranze linguistiche
storiche” e vengono tutelate dalla legge 482 del 1999. Comunque, negli anni
’80, quando avviammo le attività di recupero e studio del grecocalabro, eravamo
considerati un po’ dei pionieri... Personalmente, in qualità di presidente del
circolo culturale “Jalò tu Vùa” di Bova Marina mi sono attivata, insieme con
altri membri, per iniziative importanti come la registrazione dell’ LP I Riza
La radice con brani tradizionali in lingua e la fondazione di una cooperativa
artigianale To Sparto La ginestra; considero specialmente un risultato
personale quello di aver sottoposto alla Confèrence Permanente des Pouvoirs
Locaux et Régionaux del Consiglio d’Europa la necessità della creazione di un
Istituto di Studi Grecofoni, successivamente istituito a Bova Marina dalla
Regione. Tuttavia l’“attivismo” è una categoria nella quale non mi riconosco,
il mio interesse è sempre stato di natura scientifica per la lingua in sé: ho
studiato le strutture sintattiche e semantiche del calabrogreco sia in
relazione al dialetto romanzo giacché si tratta di una situazione di
bilinguismo italogreco, sia in relazione al neogreco e specialmente ai suoi
dialetti meridionali. E certamente un tema molto affascinante è la cultura
calabrogreca, la dimensione storica e sociale di questo linguaggio viste
attraverso i suoi parlanti, le testimonianze orali, i loro canti... Tutti
argomenti ai quali ho dedicato la tesi di laurea (1983) e numerosi altri
lavori, come la Proposta per l’avviamento di un’indagine sociolinguistica nella
grecità calabrese(1990), che però non fu mai realizzata per mancanza di
fondi...
Parallelamente
alla dedizione per il calabrogreco, il mio interesse per la politica
linguistica europea è stato sempre costante e ho avuto modo di affinare le mie
conoscenze in più occasioni a Bruxelles e Strasburgo, anche partecipando a vari
stages come traduttrice e interprete. Conoscenze che mi sono tornate utili in
quest’ultimo decennio, in cui gli Italianisti ci siamo attivati prima perché
venisse introdotto l’italiano come lingua straniera nella scuola pubblica in
Grecia (sono stata firmataria del curricolo d’insegnamento per i Licei nel
2008) e ora perché venga ripristinato, giacché nel 2011 è stato abolito.
Ma per
tornare alla sua prima domanda: dall’Europa ad Atene il passo è breve. È stato
ben presto chiaro che la ricerca scientifica per me era più importante di ogni
altra attività; così, dopo un master in Linguistica a Roma con Tullio De Mauro,
ho compiuto il dottorato di ricerca in Studi comparati all’Università di Atene,
la quale poi mi ha onorato assumendomi nel 1997 come docente di Linguistica
italiana e Traduzione. Ricerca a parte, adoro la lingua e la letteratura
neogreca e in tutti questi anni ho cercato di rendermi utile per la loro
diffusione in Italia, specialmente con le traduzioni (per es. di poeti come
Anagnostakis e Engonòpulos). Tra l’altro, mi fa piacere segnalare qui il
funzionamento di un laboratorio di Traduzione nel Dipartimento di Lingua e
Letteratura Italiana sotto la mia direzione, nel cui ambito organizziamo degli
incontri biennali di studio dal titolo Italoellenica; credo che sia abbastanza
eloquente delle tematiche trattate (traduzione, linguistica contrastiva,
dialettologia italogreca ecc.).
Quali i
rapporti tra l’italiano e il greco? Quanto ha influenzato la lingua italiana
quella greca e viceversa? Quali le ragioni e i fattori (storici o no) di questi
influssi?
Le relazioni
tra l’italiano e il greco sono di lunghissima data, come si sa: dal Graecia
capta dei Romani ad oggi, le due lingue non hanno mai cessato di influenzarsi
reciprocamente: prima gli influssi del greco nel latino, poi dal 1453 la
presenza in Italia degli intellettuali greci fuggiti da Costantinopoli alla sua
caduta, i quali essenzialmente si resero artefici dell’Umanesimo e del
Rinascimento, traducendo gli auctores greci e diffondendo la propria lingua. Il
foltissimo contingente di grecismi che ha portato Tullio De Mauro a dire che
una parola su tre è di origine greca, è entrato nel lessico dell’italiano
proprio in questi secoli; ma numerosi sono anche i neologismi moderni di conio
greco, specie i termini scientifici (della medicina ecc.). D’altronde, dire che
l’italiano ha influenzato il neogreco è quasi fare una tautologia, considerati
gli otto secoli di presenza di Genovesi e Veneziani nel Mediterraneo orientale.
Come ho avuto modo di dire all’Accademia della Crusca in occasione del recente
convegno dell’Osservatorio dell’Italiano nel Mondo (OIM), nel quale rappresento
il greco, il greco, sebbene tipologicamente diverso, è in assoluto la lingua
più vicina all’italiano dal punto di vista culturale e geografico. Secondo mie
valutazioni basate sul corpus del Dizionario greco dell’uso pubblicato
dall’Accademia di Atene nel 2014 e curato da Christòforos Charalambàkis, più del
17% del lessico del greco comune è di origine italiana; ma ovviamente la
percentuale aumenterebbe di molto se comprendessimo nel calcolo anche gli
italianismi che ricorrono nei dialetti neogreci. Spero di poter prima o poi
compilare un dizionario di tutte queste parole, e approfitto di una sede così
importante per rivolgere un appello a enti o personalità interessate affinché
sostengano questo sforzo di catalogazione.
Il suo
ultimo libro Italoellenica A’: Studi sul prestito lessicale tratta l’argomento
dei prestiti italiani nella lingua greca. Perché studiare i prestiti lessicali?
Di cosa parlano queste “parole migranti”?
È un volume
nel quale ho raccolto saggi scritti negli ultimi dieci anni durante i quali mi
occupo sistematicamente di questi studi. Vi si tratta degli italianismi nelle
Commedie cretesi del 16°-17° sec., in atti notarili di Naxos dello stesso
periodo, negli scritti del Generale Makrijànnis, dove ricorrono molti termini
del lessico militare, nelle diverse varietà linguistiche a Corfù, nei testi
dialettali dell’Eptaneso e del Dodecaneso, in gerghi metropolitani come la
kaliardà e così via: l’influsso dell’italiano è evidentissimo ovunque,
studiarlo è d’obbligo. Queste parole ci restituiscono in maniera tangibile la
storia della presenza degli italiani sul territorio, ci parlano delle
molteplici attività commerciali (specie la marineria) e tecniche da loro
importate, delle influenze esercitate dalla cultura e dalla letteratura...
Esempi se ne potrebbero fare a migliaia. “Parole migranti”, in tedesco
Wanderwörter: questa definizione poco scientifica è presumibilmente più idonea
a descrivere questo fenomeno che non il termine “prestito” comunemente usato in
Linguistica; giacché un prestito presuppone un ritorno mentre niente è più
stabile di queste parole quando entrano in un’altra lingua, dove si assestano
producendone altre, che non sempre hanno una stretta relazione con la lingua di
partenza. Tanto per fare un esempio molto noto: πίτσα, pizza, è parola italiana
ma πιτσαδόρος, cioè il fattorino che consegna le pizze, è una parola
completamente greca. Inoltre, è possibile che le parole nella nuova lingua
assumano anche significato diverso (per es. καπάτσος rispetto a capace), spesso
con risultati alquanto curiosi: si pensi al divario semantico fra visita e
βίζιτα…
In
occasione, appunto, della presentazione del suo libro all’Istituto Italiano di
Atene, il professore Charalambàkis, nella sua relazione, ha enfatizzato la
ricca presenza di prestiti italiani nel neogreco accennando anche ad alcuni
settori lessicali nei quali questi ultimi si concentrano, e dichiarando che
“senza l’italiano resteremmo nudi e digiuni”. In quali ambiti lessicali di
ciascuna delle due lingue si manifesta una forte presenza di prestiti
provenienti dall’altra e perché?
Gli
italianismi sono largamente diffusi in tutti i settori e le attività della vita
pubblica. L’apporto dell’italiano è di assoluta importanza in alcuni ambiti,
come quello marinaresco e finanziario, ma anche quello della tecnica, delle
scienze, in particolare della medicina, dei vari mestieri, dei giochi. La frase
scherzosa coniata da Charalambàkis è giustificata dalla straordinaria
diffusione degli italianismi nel settore della gastronomia e
dell’abbigliamento: dall’insalata (> σαλάτα) alla frutta (> φρούτα)
passando per la pasta (oggi sulla tavola greca ne vengono serviti molti tipi,
non più solo i maccheroni > μακαρόνια e gli spaghetti> σπαγγέτι come una
volta: le λαζάνια < lasagne, i τορτελίνια < tortellini, il παστίτσιο <
pasticcio ecc.) e il dolce (τούρτα < torta), buona parte degli ingredienti
(per es. σάλτσα < salsa, μαντζουράνα < maggiorana, κοτολέτα <
cotoletta, μπρόκολο < broccolo) e degli accessori di cucina (πιάτο <
piatto, μπουκάλι < ven. bocal o it. boccale, νταμιτζάνα < damigiana) sono
italianismi. Nei dialetti dello Ionio, per esempio, c’è tutta una serie di
parole per designare i vari tipi di κατσαρόλα < casseruola… Lo stesso
avviene per quanti riguarda i capi di abbiglimento: dal cappello > καπέλο
alle calze > κάλτσες passando per i pantaloni > παντελόνια, la maggior
parte sono di origine italiana.
Comunque,
noi linguisti distinguiamo innanzitutto i prestiti dal punto di vista
maggiormente attinente al fenomeno in sé. Ci sono dunque i cosiddetti “prestiti
di lusso”, cioè le parole della cultura, e sono per lo più termini dell’arte,
della musica, della letteratura, della moda ecc.: καμαρίνι < camerino, κάδρο
< quadro, καβαλέτο < cavalletto, ντεμπούτο < debutto, πινέλο <
pennello, σενάριο < scenario, ταλέντο < talento, φινάλε < finale, φούγκα
< fuga, βιμπράτο < vibrato, λότζα < loggia, πόρτεγο < ven. portego,
σονέττο < sonetto, ρίμα < rima, Νεορεαλισμός < Neorealismo. Questi
termini, nel neogreco come in altre lingue, furono introdotti dal Rinascimento
in poi, quando l’Italia divenne il modello culturale d’Europa. Tuttavia,
abbiamo soprattuto “prestiti di necessità”, cioè migliaia di parole che
riguardano, oltre la gastronomia e il guardaroba, anche la vita quotidiana,
l’abitazione e l’arredamento. Faccio alcuni esempi a caso: αβαρία < avaria,
γάντζος < gancio, κομοδίνο < comodino, κουβέρτα < coperta, μπαλκόνι
< balcone, μπάνιο < bagno, πέργκολα < pergola, ταπετσαρία <
tappezzeria, τιμόνι < timone… E ancora, le parole che rimandano ad attività
artistiche e artigianali (ταλιαδόρος < intagliatore, μπαρμπέρης <
barbiere), persino al corpo umano e agli stati d’animo (γκρίνια <
digrignare). E infine i saluti (τσάο < ciao, αντίο < addio). Ovviamente
sterminato è il contingente che riguarda la marineria, perlopiù venezianismi. I
prestiti scientifici, infine, sono entrati in circolazione attraverso canali
come il commercio e la navigazione e riguardano medicina, geologia,
meteorologia e botanica: μαργαρίτα < margherita, βιολέτα < violetta,
μπιγκόνια < begonia... I nomi dei fiori sono quasi tutti degli italianismi.
Sul versante
degli influssi del greco sull’italiano, ora: il Grande dizionario dell’uso di
Tullio De Mauro registra, sui circa 250.000 lemmi complessivi, circa 8000
grecismi, di cui quasi la metà arrivati senza l’intermediazione latina. Ciò
significa che ogni trenta parole una è di origine greca: si tratta dunque del
contingente esogeno più numeroso. Le parole greche che sono affluite in
italiano occupano perlopiù i vari campi del vocabolario intellettuale, delle
terminologie delle scienze e della tecnica. Certo, si tratta di parole non
sempre immediatamente riconoscibili perché hanno subito adattamenti di forma e
di significato; così come per le cause che hanno provocato il trasporto da una
lingua all’altra, anche gli adattamenti sono strettamente dipendenti da fattori
extralinguistici e culturali. Va subito detto che la penetrazione dell’elemento
in Italia è più complessa perché comprende il periodo in cui il trasporto
linguistico avveniva grazie al latino, e quindi più antica.
A quali
altri periodi appartengono i grecismi dell’italiano?
A causa
della vastità dell’argomento, propongo il seguente schema: 1) voci greche nel
latino d’età classica e postclassica, poi passate nell’italiano; si tratta di
nomi di oggetti quotidiani e domestici (ampolla, borsa, canestro), di
terminologia ittica (balena, delfino, cefalo), di termini della filosofia e
delle scienze dell’antichità (filosofia, retorica, aritmetica, geometria,
geografia), del lessico speciale dei cenacoli cristiani (apostolo, battesimo,
martirio ecc.); 2) elementi lessicali greci di epoca altomedievale; risalgono
al greco bizantino voci comuni come anguria, basilico, indivia, lastrico, voci
marinaresche (per tramite veneziano) relative a imbarcazioni (galera, gondola)
o ad attrezzi e operazioni marittime (argano, molo, ormeggiare); 3) voci
entrate nel volgare italiano nel periodo umanistico-rinascimentale;
costituiscono l’incremento più cospicuo di grecismi direttamente attinti da
fonti classiche e interessano tutti i campi, dalla storiografia alla politica,
dall’architettura alla retorica e alla filosofia. Segnalo, fra tutte, le
seguenti voci del lessico intellettuale che terminano in -i: tesi, ipotesi,
catarsi, eclissi, diuresi, ipofisi, necrosi, sclerosi, parentesi, prostesi.
Infine, in questo periodo nascono gli “europeismi”, termini a diffusione
europea e non solo italiana, grazie alla intermediazione del latino umanistico
(per es., catastrofe, clinica, dialetto, ecatombe, entusiasmo, eutanasia,
omonimo, ottica, parafrasi, peripezia, scenografia); 4) terminologia
scientifica del Sei-Settecento formata in base al modello greco e non più a
quello latino, ad es. la terminologia clinica: nefrite, spondilite, epatite
ecc.; questa tendenza credo arrivi fino alla seconda metà del Novecento, quando
ai grecismi si affiancano nuovi termini angloamericani; 5) infine, abbiamo i
composti neoclassici odierni, ovvero parole scientifiche che vengono ancora
oggi modellate sul greco classico e contenenti prefissi o suffissi estratti
greci (auto-, demo-, filo-, idro-, -fobia, -logia, -mania, -patia ecc.); in
alcuni casi si tratta di termini caratterizzati perfino da alta frequenza nel
lessico dell’italiano: si pensi ad automobile, simpatia, megalomania,
demografico, claustrofobia. Insomma, possiamo ben dire che l’influsso greco sull’italiano
non ha certo una fine...
Se lei
dovesse individuare una parola, un prestito linguistico, per simboleggiare e
raffigurare i fitti scambi, intrecci e rapporti fra le due lingue e culture,
quale sceglierebbe?
Senz’altro
νταραβέρι < dare e avere, una parola greca appartenente al linguaggio per
così dire popolare, che a suo tempo era diffusa nei commerci e oggi rimanda
appunto a un fitto intercorrere di relazioni, di faccende fra persone.
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