Τετάρτη 2 Σεπτεμβρίου 2020

Venti di guerra sul gasdotto «pugliese»

 Venti di guerra sul gasdotto «pugliese»

Il nuovo gasdotto “pugliese” è la scintilla che può far scoppiare la guerra nel Mediterraneo, tra Grecia e Turchia.

La situazione è così compromessa che Atene ha appena mandato i soldati ellenici a difendere Kastellorizo da un’ipotetica invasione turca («Violando gli accordi di Losanna che prevedono che l’isola sia demilitarizzata», s’infervora Ankara). Intanto il mare lì attorno pullula pericolosamente di assetti militari delle due potenze Nato. Mentre i turchi salpano «alla ricerca di gas per salvaguardare l’indipendenza energetica» con navi da guerra ad aprire la strada, arrivano in Grecia due caccia Rafale, un aereo C130 e la fregata «Lafayette» dalla Francia («La situazione nel Mediterraneo orientale è preoccupante. Le decisioni unilaterali della Turchia sulle attività di esplorazione petrolifera stanno provocando tensioni. Queste azioni devono terminare per consentire un dialogo pacifico tra Paesi vicini e alleati all’interno della Nato», spiega il presidente Emmanuel Macron). A Creta, intanto, piombano di supporto ad Atene quattro caccia F16E Block 60 dell’Aeronautica degli Emirati Arabi Uniti (neo-amici giurati di Israele). E, per dirla tutta, seppur più “defilata”, lì c’è pure l’Italia che prima partecipa a un’esercitazione militare con la Turchia (Mediterranean Shield) e poi manda il cacciatorpediniere lanciamissili «Durand de la Penne» all’esercitazione Eunomia (con Grecia, Cipro e Francia), varata dopo lo scontro tra una nave da guerra greca e una turca che era di scorta al vascello «Oruc Reis» per l’esplorazione di gas e petrolio. Nella logica del colpo su colpo, all’esercitazione militare greca Eunomia finita venerdì, Ankara ne contrappone ora una propria che, annuncia, durerà fino all’11 settembre (data sperabilmente casuale), e che prevede anche «esercitazioni di tiro».

La pipeline «pugliese» - Ma partiamo dall’inizio. Zohr, Leviathan, Aphrodite, Tamar, sono alcuni degli affascinanti nomi dei giacimenti del Mediterraneo che attirano come il miele gli interessi di potenze da micro a super, sia rivierasche (come Egitto, Israele, Cipro, Grecia, Turchia, Siria, Libano, Gaza) e spesso in atavico conflitto tra loro, sia forse solo apparentemente distanti (Russia e Usa) e sia forse solo apparentemente alleate, come Italia e Francia. Ed è proprio qui, su questo orizzonte tagliente, che si incastona il progetto Eastern Mediterranean (EastMed), il gasdotto voluto da Israele, Cipro, Grecia, Italia e benedetto (anche a suon di euro) dall’Ue. Dal 2025 in poi, potrebbe trasportare dai 10 ai 20 miliardi di metri cubi all’anno del gas naturale estratto dai giacimenti israeliani e ciprioti (il punto di partenza è a 170 chilometri dalla costa meridionale di Cipro, nell’offshore di Tel Aviv) e dovrebbe sbucare in Europa, via Otranto, in Puglia, tramite il gasdotto italo-greco Poseidon (la Igi Poseidon è una joint venture 50/50 tra la Public Gas Corporation della Grecia e la Edison International Holding). L’opera, che coinvolge così da vicino i nostri interessi (benché sulla sostenibilità economica si siano alzate voci critiche), punta a unire in un “abbraccio” di pipeline Israele e Unione Europea, saltando però a piè pari il campione regionale turco. Ovvia la contrarietà del governo turbo-islamista del presidente Recep Tayyp Erdogan che, dopo aver tentato l’approccio diplomatico, ha avviato una più che evidente escalation industrial-militare.

Il cambio di passo turco risale all’inizio del 2018, con Erdogan che viene a Roma e spiega al presidente Sergio Mattarella e al premier Paolo Gentiloni che le mire energetiche italiane al largo di Cipro destano «preoccupazione». Dopodiché, a febbraio, getta via i guanti bianchi e sferra un cazzotto alla pancia economica del nostro Paese: piazza una esercitazione militare sulla rotta della Saipem 12000 e manda la marina militare turca, armata fino ai denti, a fermare la piattaforma Eni, diretta nell’altra storica isola contesa di Cipro (invasa al Nord proprio dai turchi, il 20 luglio del 1974, in risposta al golpe greco-cipriota; ndr) per le trivellazioni autorizzate dal governo di Nicosia. La nave, spiega Eni, puntava al «blocco 3 nelle acque della Zona Economica Esclusiva della Repubblica di Cipro», esercitando il suo diritto in virtù di una delle sei licenze della Repubblica (blocchi 2, 3, 6, 8, 9 e 11) e già leccandosi i baffi per la interessante scoperta di gas nel blocco 6, sempre al largo di Cipro, attraverso il pozzo Calypso 1. Sotto la minaccia turca, il cane a sei zampe fa dietrofront.

Nei mesi seguenti la partita, per la verità assai più complessa di come qui è possibile illustrare, segna una serie di colpi, anche bassi. Ankara, per esempio, dichiara guerra “per interposta persona” all’Egitto in Libia e, sempre nell’ex colonia, asfalta pure l’Italia firmando un accordo per la delimitazione delle rispettive Zone Economiche Esclusive con il governo di Tripoli che, guarda caso, finirebbe per intercettare proprio un lembo di mare in cui dovrebbe passare EastMed. Ancora, come si diceva all’inizio, appronta lo sfruttamento energetico nell’isola contesa con la Grecia di Kastellorizo e non soltanto vi manda la nave per le prospezioni «Oruc Reis», ma, per chiarire il “messaggio”, la fa scortare da una nave da guerra (quella che si è poi scontrata con la nave da guerra greca). Inoltre, sfruttando l’occupazione di Cipro Nord, avvia la costruzione di un gasdotto turco-cipriota suppostamente “alternativo” a un pezzo di tracciato di EastMed.

Anche la Grecia, nel suo piccolo, gioca le sue carte e tenta il rilancio: annuncia di voler espandere le proprie acque territoriali da 6 a 12 miglia marine (nel mar Ionio, non in acque contese) e, pochi giorni fa, firma un’intesa storica con l’Egitto per la creazione di una Zona Economica Esclusiva comune. Puro fumo negli occhi per Erdogan.

La sfida all’Occidente - Concludendo, è prevedibile che la Turchia non mollerà dal rivendicare per sé il ruolo di hub energetico nell’area. In mano ha molti assi. La sua leadership, per esempio, gode di tutti i vantaggi delle “democrature” e ragiona sul lungo periodo, in termini di lustri. L’opposizione interna? Quel che resta, muore in sciopero della fame, in carcere (come l’avvocata Ebru Timtik, martire dei diritti umani). L’Europa stessa è un asso in mano al “sultano”. Vittima delle sue ormai strutturali fragilità democratiche, l’Unione appare schiacciata sul breve periodo delle 27 legislature. Erdogan lo sa bene (anche su questo ha costruito le sue fortune) e addirittura se ne fa beffe: sabato scorso, in un discorso pubblico, chiamando in causa Allah, ha rimarcato come milioni di turchi siano pronti a morire nel Mediterraneo, mentre greci, francesi e i popoli dell’Occidente (cioè noi tutti) non sarebbero pronti a seguire i loro governanti e a combattere, fino alla morte.
La sfida alla guerra santa per il gas è servita.

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1246061/venti-di-guerra-sul-gasdotto-pugliese.html

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