Roma – Come in Oriente il supremo oggetto dell’attività spirituale era costituito dalla religione, in Grecia l’epicentro era dato dalla filosofia, ed a Roma dal diritto.
Il più grande rappresentante dell’osmosi tra la cultura greca e quella romana fu Cicerone, fautore degli ideali di libertà e di concordia tra le varie classi sociali del suo tempo. Nel campo delle norme in particolare, Cicerone chiarì inequivocabilmente che non vi poteva essere diritto se non in conformità alla legge naturale, che era la diritta ragione, in accordo con la natura, estesa a tutti gli uomini, immutabile ed eterna.
In lui è definito scultoreamente il principio che la salvezza della repubblica dovesse essere la legge suprema, al di là di ogni regola ordinaria. Pertanto i Consoli, nel caso che lo Stato fosse stato in grave pericolo per la sua stessa sopravvivenza, dovevano avere la facoltà di prendere con somma urgenza anche provvedimenti formalmente illegali, cioè in contrasto sia con le leggi scritte che con le consuetudini, ma aderenti alla richiamata legge suprema ed al consenso di tutti i cittadini.
Seneca rifacendosi all’etica dello stoicismo, teorizzò un bonus princeps, un rex justus che governasse lo Stato e che fosse, quindi , continuamente sollecito a promuovere il benessere e la felicità dei propri sudditi, tanto da assumere siffatto obiettivo come un preciso impegno di vita, un obbligo morale che si sarebbe altresì posto come argine al suo potere, altrimenti sconfinato, e che avrebbe costituito un parametro di riferimento circa la sua capacità di governare.
Dopo il passaggio dalla Repubblica al Principato con Augusto, nelle mani dell’Imperatore era stato accentrato il potere legislativo, con processo di immedesimazione fra lo Stato e chi ne reggeva le sorti, che giunse al massimo livello con l’assolutismo, inaugurato dal pagano Diocleziano e trasmigrato negli Imperatori cristiani, da Costantino a Giustiniano.
Le leges (Costituzioni imperiali) presero decisamente il sopravvento sugli iura (norme di origine giurisprudenziale), con la correlata concezione che l’Imperatore fosse egli stesso legibus solutus (esonerato dall’osservanza delle norme), nonché lex animata in terris (legge vivente in terra).
Il maggior sistema normativo di tutti i tempi venne realizzato ad opera di Giustiniano, con lo scopo di dare certezza al diritto: il Corpus juris civilis, che costituisce ancora oggi il substrato culturale dell’Europa contemporanea, unitamente alla religione cristiana, cui si sarebbero gradualmente convertite tutte le popolazioni barbariche.
E non solo: il Corpus Juris civilis nel 1979, allorché dopo Mao venne posto il problema dell’edificazione di un sistema giuridico tecnicamente coerente, ha visto la sua nuova giovinezza addirittura in Cina!
Nell’ex Celeste Impero infatti ha ripreso vigore la ricerca e l’insegnamento di quella che nel Medioevo era considerata la naturalis ratio per eccellenza: il citato diritto romano giustinianeo, mirando ad abbeverarsi direttamente alle fonti della scienza romanistica. Tale diritto si sarebbe provvidamente rivelato funzionale all’avvio del programma di riforme politico– legislative promosse da Deng Xiaoping, a cominciare dal campo del diritto civile
Tornando al Medioevo, nella parte occidentale dell’Impero Romano, le c.d. “invasioni barbariche” furono in realtà delle ribellioni di legioni romane formate da milites foederati (soldati alleati) reclutati fra i barbari stessi.
L’opera giuridica più importante nell’ambito della civiltà barbarica, fu l’Editto di Rotari. Caduto il regno longobardo ad opera dei Franchi di Carlo Magno, innanzi alla proliferazione di leggi co-vigenti, si affermò il principio della “personalità della legge”, per cui ognuno poteva seguire quella della propria gente nei rapporti di diritto privato (matrimonio, contratti, etc…), mentre nel diritto pubblico era ovunque e per tutti cogente quella franca.
La disgregazione dell’Impero franco portò allo sviluppo del Feudo. In esso vennero a confluire 3 elementi: 1) il rapporto personale di vassallaggio; 2) il godimento del beneficio reale della terra; 3) le immunità.
Il Feudo, consisteva originariamente nell’assegnazione in godimento temporaneo di una terra, in cambio dell’assolvimento di una funzione, come quella del servizio in armi nell’interesse ed in difesa del Signore.
Nei Feudi lo Stato centrale venne progressivamente esautorato, e tra l’Imperatore ed i suoi sudditi si creò inesorabilmente il diaframma del Feudatario, che richiedeva ai suoi sottoposti l’osservanza di obblighi, non come titolare dei correlati poteri pubblici, ma per il sol fatto di essere possessore del territorio assegnatogli.
Dopo l’Editto costantiniano, grazie a papa Gelasio ed a S. Agostino, si affermò il principio che l’universitas christianorum doveva essere guidata dal Papa e dall’Imperatore nei rispettivi campi, e che avrebbe dovuto corrispondere alla figura di Cristo stesso, nel quale coesistevano natura divina ed umana: concezione questa, evidentemente, non soltanto politica, ma etica.
La Chiesa oltre che istituzione religiosa, fu fonte di norme giuridiche, mutuando principi ed ordine sistematico dal diritto romano.
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