Nella sua intervista al Sussidiario, il generale Marco Bertolini così definisce la Turchia: “una nazione ricca, potente e spregiudicata”.
Si può forse discutere sul primo aggettivo, soprattutto in questo periodo di crisi per l’economia turca, ma non si può che essere d’accordo con gli altri due. Che la Turchia sia potente è dimostrato dal suo esercito, il secondo della Nato dopo quello statunitense; che sia spregiudicata, basta considerare le attuali operazioni belliche in Siria o come ha utilizzato, e tuttora utilizza, il dramma dei migranti e profughi. In Siria non si tratta solo dell’invasione di un altro Stato, ma di una precisa volontà di allontanamento dei curdi dal loro territorio per sostituirli con profughi siriani, un qualcosa che ricorda la pulizia etnica. Senza contare che per molti dei siriani coinvolti non sarebbe un ritorno alle proprie case, ma un’altra operazione di sradicamento.
Accanto all’annosa questione curda, è riapparsa in questi ultimi tempi un’altra questione, anch’essa decennale: quella cipriota. Dal 1974, l’isola di Cipro è divisa in due parti: la Repubblica di Cipro, abitata dalla maggioranza di lingua greca e membro dell’Unione Europea, e la Repubblica Turca di Cipro Nord, in cui vive la minoranza turca e dalla quale sono stati praticamente espulsi i greci. La Repubblica del Nord, costituita con l’occupazione da parte dell’esercito turco, è riconosciuta dalla sola Turchia, mentre la comunità internazionale pone l’intera isola sotto l’autorità della Repubblica di Cipro. Accanto al rifiuto di riconoscere l’eccidio degli armeni da parte dei Giovani Turchi, la questione di Cipro è stata la ragione principale della mancata associazione della Turchia all’Ue.
La vicenda sta vivendo una fase di recrudescenza dopo la scoperta di importanti giacimenti di petrolio e gas intorno all’isola, poiché la Turchia pretende di sfruttare queste risorse nelle zone adiacenti alla Repubblica del Nord. La Repubblica di Cipro, sostenuta dall’Ue, contesta questa pretesa in quanto ritiene anche queste aree sotto la propria autorità.
L’anno scorso, la marina militare turca ha costretto ad allontanarsi dalle acque cipriote la piattaforma galleggiante Saipem 12000, del gruppo Eni, con la giustificazione che le acque in cui operava erano della Repubblica del Nord. Negli scorsi giorni, sotto scorta militare, una nave turca ha cominciato operazioni di trivellazione in un settore dato in concessione a Eni e alla francese Total dalla Repubblica di Cipro. La motivazione è stata la solita: quell’area di mare non fa parte della Zee (Zona economica esclusiva) della Repubblica di Cipro, ma di quella dell’autoproclamata Repubblica del Nord.
Bruxelles ha minacciato sanzioni economiche contro Ankara, la Francia ha mandato un paio di fregate a Cipro, anche in vista di esercitazioni congiunte con la marina militare cipriota, e gli Stati Uniti hanno condannato l’iniziativa turca. Naturali le forti critiche pervenute dalla Grecia, cui si è aggiunto Israele, che ha notevoli interessi nello sfruttamento dei giacimenti nel Mediterraneo orientale.
Le reazioni del governo italiano sono per il momento improntate a cautela, giustificata dai non trascurabili rapporti economici con la Turchia, a partire dalle consistenti vendite di armamenti. Tuttavia, anche Roma non potrà non prendere una posizione netta e altrettanto si può dire della Nato, che deve prendere coscienza della trasformazione della Turchia da bastione dell’Occidente contro l’Unione Sovietica a grosso problema geopolitico. I problemi della Nato non si limitano ai contributi finanziari, come rinfacciato recentemente da Trump a Mattarella, perché l’Organizzazione Atlantica necessita di una profonda revisione della sua struttura e dei suoi compiti, e in tempi brevi.
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