Παρασκευή 2 Μαρτίου 2018

LA CHIMERA DI AREZZO TRA STORIA E MITO


Rinvenuta ad Arezzo e subito trasferita a Firenze, dove si conserva ancora oggi, la Chimera è un’opera in bronzo degli inizi del IV secolo a.C., importante dono votivo collocato nel santuario che doveva sorgere poco fuori dalla città etrusca, presso l’attuale Porta San Lorentino.

1 marzo 2018 

Al grande bronzo gli Aretini attribuiscono un forte valore identitario.

LA SCOPERTA

Il 15 novembre 1553 i documenti ufficiali del Comune di Arezzo registrano il ritrovamento di una statua di bronzo presso Porta San Lorentino. La scoperta avvenne alla profondità di quasi 6 metri, mentre si stavano scavando le fondamenta del baluardo delle nuove mura volute da Cosimo de’ Medici.[san lorentino]

La statua destò subito grande meraviglia per la sua bellezza, per le dimensioni e per l’aspetto: un leone ferito e furente, con una capra sul dorso anch’essa ferita e morente, che i dotti dell’epoca – in seguito a ricerche e confronti – identificarono con la Chimera uccisa da Bellerofonte nota dalle fonti greche e latine e raffigurata in tanti oggetti antichi.

L’opera, rinvenuta insieme a molte altre statuette di bronzo, non si presentava integra: oltre agli occhi e alle fauci, mancava parte del corno destro della capra, mentre le zampe del lato sinistro e la coda erano spezzate.

IL TRASFERIMENTO A FIRENZE

Dopo il ritrovamento, per volontà del Duca Cosimo de’ Medici, la statua fu subito portata a Firenze, a Palazzo Vecchio.

Qui divenne presto il simbolo dei nemici che Cosimo, nuovo Bellerofonte, era determinato a sconfiggere per estendere il suo dominio a tutta la Toscana e oltre.

Dopo un primo intervento di restauro di cui poco si conosce, l’opera fu sistemata su progetto dell’aretino Giorgio Vasari in un ambiente pubblico del Palazzo, nella sala di Leone X, ai piedi della scala che conduceva al soprastante Quartiere degli Elementi. Le statuette rinvenute insieme alla Chimera, ripulite da Cosimo stesso e restaurate da Benvenuto Cellini, trovarono invece posto nello Studiolo di Calliope, dove Vasari volle collocare anche la statua bronzea della Minerva, rinvenuta anch’essa ad Arezzo nel 1541.

Nel 1718 la Chimera fu spostata nella Galleria degli Uffizi, nel corridoio esposto a sud, dove già si trovavano l’Arringatore e l’Idolino di Pesaro e dove Luigi Lanzi nel 1782, per completare la serie dei grandi bronzi antichi, pose anche la Minerva di Arezzo.

Dagli Uffizi la statua passò, sullo scorcio dell’Ottocento, al Regio Museo Archeologico di Firenze, oggi Museo Archeologico Nazionale.


AREZZO E LA SUA “CHIMERA”

Probabilmente nel dicembre 1553, quando lo spostamento a Firenze dell’opera doveva essere già avvenuto, fu collocata nella sala del Consiglio comunale una tela dipinta oggi dispersa  che raffigurava la statua

Nonostante il suo immediato trasferimento (o, forse, proprio per questo!), gli Aretini hanno mantenuto un fortissimo legame con la Chimera, che compare, per esempio, nello stemma del quartiere di Porta del Foro e che si vede riprodotta in diverse parti della città.

La statua in gesso qui esposta fu realizzata dallo scultore Primo Aglietti per ricavarne le Chimere in bronzo sistemate nel 1933 sulle fontane dei giardini comunali di fronte alla Stazione ferroviaria: modellata dal vero senza contatto con l’antico bronzo, si differenzia dall’originale per le maggiori dimensioni,  per la resa del muso del serpente e per altri dettagli. Durante la seconda Guerra Mondiale le due riproduzioni furono fuse per esigenze belliche. Quando nel 1949 il Comune di Arezzo decise di realizzare nuovamente le Chimere, la vecchia statua in gesso, che allora si conservava nel Palazzo Pretorio, fu spedita a Firenze alla Fonderia Marinelli, dove, dopo un intervento di restauro e qualche modifica, fu utilizzata per le nuove fusioni.

Nonostante le numerose richieste, la restituzione alla città di Arezzo della Chimera continua ad essere una “chimera”.

LA CHIMERA NEL MITO

La statua riproduce la Chimera, mitica creatura composta da leone, capra e serpente, che, secondo alcuni autori antichi, spiravano tutti e tre fuoco.

Il mostro sputa-fuoco è un tema ampiamente diffuso nel mondo medio-orientale, che fece ingresso nell’ambito greco verosimilmente per il tramite dei commercianti Fenici, nella cui lingua il termine “chmär” significa “fuoco naturale, prodotto dalla terra”. Dall’assonanza fra questa parola e il termine greco chìmaira “capra”, sarebbe nata l’iconografia tipicamente ellenica della Chimera, mostro con la capra sputa-fuoco.

Secondo il mito greco la terribile Chimera viveva in Licia e fu uccisa da Bellerofonte, eroe greco simbolo di virtù e di valore.

Il giovane, costretto a lasciare la città natale di Corinto e a rifugiarsi a Tirinto alla corte del re Preto per essersi macchiato involontariamente di un delitto, subì un tentativo di seduzione da parte della moglie di Preto: l’eroe, virtuoso, non cedette alle lusinghe della donna, che, vistasi rifiutata, lo accusò di averla offesa. Il re, per i sacri vincoli di ospitalità, non poté punirlo, ma lo condannò a morte certa inviandolo in Licia dal suocero Iobate insieme con uno scritto in cui rimetteva al re licio la sua uccisione. Iobate affidò dunque a Bellerofonte un’impresa impossibile, dalla quale non sarebbe potuto uscire vivo: affrontare Chimera, mostro generato dalla terribile Echidna al pari di altre spaventose creature. L’eroe corinzio ebbe degli aiuti divini che gli garantirono la vittoria: Atena gli assicurò il soccorso di Pegaso, cavallo alato, balzato fuori dal collo di Medusa, la Gorgone decapitata da Perseo. Sul dorso di Pegaso, Bellerofonte armato di una lunga asta poté mantenersi lontano dalle lingue di fuoco della Chimera e sferrare dall’alto una serie di colpi, l’ultimo dei quali, mortale, fu inferto nelle fauci del leone. Con l’inattesa vittoria l’eroe si guadagnò in sposa la figlia di Iobate e una fama eterna.

CARATTERISTICHE DELLA CHIMERA DI AREZZO

Fra le tante raffigurazioni della mitica Chimera restituiteci dall’antichità, quella di Arezzo è indubbiamente la più grandiosa e importante.

Forse originariamente parte di un gruppo bronzeo, la grande statua presenta il mostro tricorpore tutto contratto e nervoso per il dolore prodotto dalle ferite infertegli da Bellerofonte: dalla coscia destra e dal collo della capra stillano gocce di sangue rese con verosimiglianza plastica e cromatica. Il muso del leone, rivolto verso l’eroe che dall’alto incombe a cavallo di Pegaso, ha i muscoli e la criniera irrigiditi come in una maschera di tensione e spasimo, in un ruggito quasi amplificato dall’assenza delle fauci un tempo presenti, mentre la capra già si abbandona alla morte.

L’unico elemento che si differenzia dalla composizione antica è la coda, che Francesco Carradori, nel suo intervento di restauro del 1785, ha realizzato appoggiata al corno destro della capra per esigenze statiche.

LA CHIMERA, DONO VOTIVO NELLA CITTA’ ETRUSCA DI AREZZO

Secondo l’ipotesi oggi più accreditata, il grande bronzo sarebbe stato prodotto agli inizi del IV secolo a.C. da un’equipe in cui operavano maestranze etrusche e magno-greche o greche (all’Attica riconduce anche il piombo delle miniere del Laurion, di cui si è trovata traccia nella lega del bronzo).

Etrusco è il contesto in cui la statua fu collocata, donario offerto in un santuario suburbano della città di Arezzo insieme ad altri bronzetti, ed etrusche sono la lingua e la scrittura usate nell’iscrizione che corre sulla zampa anteriore destra della statua: l’epigrafe, che recita “Tinścvil”, viene oggi prevalentemente interpretata nel senso generico di “offerta”.

Il modello iconografico greco è invece operante sia nell’impostazione generale della figura, sia in alcuni particolari, come la testa leonina, con confronti stringenti con i gocciolatoi in terracotta delle città magno-greche di Metaponto e Caulonia e con le teste di terracotta da Olimpia.


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