Rinvenuta ad
Arezzo e subito trasferita a Firenze, dove si conserva ancora oggi, la Chimera
è un’opera in bronzo degli inizi del IV secolo a.C., importante dono votivo
collocato nel santuario che doveva sorgere poco fuori dalla città etrusca,
presso l’attuale Porta San Lorentino.
1 marzo 2018
Al grande
bronzo gli Aretini attribuiscono un forte valore identitario.
LA SCOPERTA
Il 15
novembre 1553 i documenti ufficiali del Comune di Arezzo registrano il
ritrovamento di una statua di bronzo presso Porta San Lorentino. La scoperta
avvenne alla profondità di quasi 6 metri, mentre si stavano scavando le
fondamenta del baluardo delle nuove mura volute da Cosimo de’ Medici.[san
lorentino]
La statua
destò subito grande meraviglia per la sua bellezza, per le dimensioni e per
l’aspetto: un leone ferito e furente, con una capra sul dorso anch’essa ferita
e morente, che i dotti dell’epoca – in seguito a ricerche e confronti –
identificarono con la Chimera uccisa da Bellerofonte nota dalle fonti greche e
latine e raffigurata in tanti oggetti antichi.
L’opera,
rinvenuta insieme a molte altre statuette di bronzo, non si presentava integra:
oltre agli occhi e alle fauci, mancava parte del corno destro della capra,
mentre le zampe del lato sinistro e la coda erano spezzate.
IL
TRASFERIMENTO A FIRENZE
Dopo il
ritrovamento, per volontà del Duca Cosimo de’ Medici, la statua fu subito
portata a Firenze, a Palazzo Vecchio.
Qui divenne
presto il simbolo dei nemici che Cosimo, nuovo Bellerofonte, era determinato a
sconfiggere per estendere il suo dominio a tutta la Toscana e oltre.
Dopo un
primo intervento di restauro di cui poco si conosce, l’opera fu sistemata su
progetto dell’aretino Giorgio Vasari in un ambiente pubblico del Palazzo, nella
sala di Leone X, ai piedi della scala che conduceva al soprastante Quartiere
degli Elementi. Le statuette rinvenute insieme alla Chimera, ripulite da Cosimo
stesso e restaurate da Benvenuto Cellini, trovarono invece posto nello Studiolo
di Calliope, dove Vasari volle collocare anche la statua bronzea della Minerva,
rinvenuta anch’essa ad Arezzo nel 1541.
Nel 1718 la
Chimera fu spostata nella Galleria degli Uffizi, nel corridoio esposto a sud,
dove già si trovavano l’Arringatore e l’Idolino di Pesaro e dove Luigi Lanzi
nel 1782, per completare la serie dei grandi bronzi antichi, pose anche la
Minerva di Arezzo.
Dagli Uffizi
la statua passò, sullo scorcio dell’Ottocento, al Regio Museo Archeologico di
Firenze, oggi Museo Archeologico Nazionale.
AREZZO E LA SUA “CHIMERA”
Probabilmente
nel dicembre 1553, quando lo spostamento a Firenze dell’opera doveva essere già
avvenuto, fu collocata nella sala del Consiglio comunale una tela dipinta oggi
dispersa che raffigurava la statua
Nonostante
il suo immediato trasferimento (o, forse, proprio per questo!), gli Aretini
hanno mantenuto un fortissimo legame con la Chimera, che compare, per esempio,
nello stemma del quartiere di Porta del Foro e che si vede riprodotta in
diverse parti della città.
La statua in
gesso qui esposta fu realizzata dallo scultore Primo Aglietti per ricavarne le
Chimere in bronzo sistemate nel 1933 sulle fontane dei giardini comunali di
fronte alla Stazione ferroviaria: modellata dal vero senza contatto con
l’antico bronzo, si differenzia dall’originale per le maggiori dimensioni, per la resa del muso del serpente e per altri
dettagli. Durante la seconda Guerra Mondiale le due riproduzioni furono fuse
per esigenze belliche. Quando nel 1949 il Comune di Arezzo decise di realizzare
nuovamente le Chimere, la vecchia statua in gesso, che allora si conservava nel
Palazzo Pretorio, fu spedita a Firenze alla Fonderia Marinelli, dove, dopo un
intervento di restauro e qualche modifica, fu utilizzata per le nuove fusioni.
Nonostante le
numerose richieste, la restituzione alla città di Arezzo della Chimera continua
ad essere una “chimera”.
LA CHIMERA
NEL MITO
La statua
riproduce la Chimera, mitica creatura composta da leone, capra e serpente, che,
secondo alcuni autori antichi, spiravano tutti e tre fuoco.
Il mostro
sputa-fuoco è un tema ampiamente diffuso nel mondo medio-orientale, che fece
ingresso nell’ambito greco verosimilmente per il tramite dei commercianti
Fenici, nella cui lingua il termine “chmär” significa “fuoco naturale, prodotto
dalla terra”. Dall’assonanza fra questa parola e il termine greco chìmaira
“capra”, sarebbe nata l’iconografia tipicamente ellenica della Chimera, mostro
con la capra sputa-fuoco.
Secondo il
mito greco la terribile Chimera viveva in Licia e fu uccisa da Bellerofonte,
eroe greco simbolo di virtù e di valore.
Il giovane,
costretto a lasciare la città natale di Corinto e a rifugiarsi a Tirinto alla
corte del re Preto per essersi macchiato involontariamente di un delitto, subì
un tentativo di seduzione da parte della moglie di Preto: l’eroe, virtuoso, non
cedette alle lusinghe della donna, che, vistasi rifiutata, lo accusò di averla
offesa. Il re, per i sacri vincoli di ospitalità, non poté punirlo, ma lo
condannò a morte certa inviandolo in Licia dal suocero Iobate insieme con uno
scritto in cui rimetteva al re licio la sua uccisione. Iobate affidò dunque a
Bellerofonte un’impresa impossibile, dalla quale non sarebbe potuto uscire
vivo: affrontare Chimera, mostro generato dalla terribile Echidna al pari di
altre spaventose creature. L’eroe corinzio ebbe degli aiuti divini che gli
garantirono la vittoria: Atena gli assicurò il soccorso di Pegaso, cavallo
alato, balzato fuori dal collo di Medusa, la Gorgone decapitata da Perseo. Sul
dorso di Pegaso, Bellerofonte armato di una lunga asta poté mantenersi lontano
dalle lingue di fuoco della Chimera e sferrare dall’alto una serie di colpi,
l’ultimo dei quali, mortale, fu inferto nelle fauci del leone. Con l’inattesa
vittoria l’eroe si guadagnò in sposa la figlia di Iobate e una fama eterna.
CARATTERISTICHE
DELLA CHIMERA DI AREZZO
Fra le tante
raffigurazioni della mitica Chimera restituiteci dall’antichità, quella di
Arezzo è indubbiamente la più grandiosa e importante.
Forse
originariamente parte di un gruppo bronzeo, la grande statua presenta il mostro
tricorpore tutto contratto e nervoso per il dolore prodotto dalle ferite
infertegli da Bellerofonte: dalla coscia destra e dal collo della capra
stillano gocce di sangue rese con verosimiglianza plastica e cromatica. Il muso
del leone, rivolto verso l’eroe che dall’alto incombe a cavallo di Pegaso, ha i
muscoli e la criniera irrigiditi come in una maschera di tensione e spasimo, in
un ruggito quasi amplificato dall’assenza delle fauci un tempo presenti, mentre
la capra già si abbandona alla morte.
L’unico
elemento che si differenzia dalla composizione antica è la coda, che Francesco
Carradori, nel suo intervento di restauro del 1785, ha realizzato appoggiata al
corno destro della capra per esigenze statiche.
LA CHIMERA,
DONO VOTIVO NELLA CITTA’ ETRUSCA DI AREZZO
Secondo
l’ipotesi oggi più accreditata, il grande bronzo sarebbe stato prodotto agli
inizi del IV secolo a.C. da un’equipe in cui operavano maestranze etrusche e
magno-greche o greche (all’Attica riconduce anche il piombo delle miniere del
Laurion, di cui si è trovata traccia nella lega del bronzo).
Etrusco è il
contesto in cui la statua fu collocata, donario offerto in un santuario
suburbano della città di Arezzo insieme ad altri bronzetti, ed etrusche sono la
lingua e la scrittura usate nell’iscrizione che corre sulla zampa anteriore
destra della statua: l’epigrafe, che recita “Tinścvil”, viene oggi
prevalentemente interpretata nel senso generico di “offerta”.
Il modello
iconografico greco è invece operante sia nell’impostazione generale della
figura, sia in alcuni particolari, come la testa leonina, con confronti
stringenti con i gocciolatoi in terracotta delle città magno-greche di
Metaponto e Caulonia e con le teste di terracotta da Olimpia.
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