Yannis Eleftheriou Ritsos, Γιάννης Ελευθερίου Ρίτσος.
(Monemvassìa, 1° Maggio 1909 - Atene, 11 Novembre 1990)
a cura di Gian Piero Testa, marzo 2010
Nel 2009 è ricorso il centenario della nascita del grande poeta neogreco Yannis Ritsos.
Per l’occasione il quotidiano ellenico «Ελευθεροτυπία» (Eleftherotypìa) aveva pubblicato per i suoi lettori una brochure di circa duecento pagine illustrate, molto ben fatta, a cura di Hristos Siafkos, Vassilis K. Kalamaras, Ekaterini Makrynikola, Grigoris Yoannidis e Yorgos Papadakis.
Uno dei contributi di Kalamaras è basato sui ricordi dell’unica figlia di Ritsos, Eri (Eleftherìa)..
Il secondo contributo di Vassilis Kalamaràs, centrato sul paradosso di un Ritsos "γνωστός άγνωστος", cioè di un autore fin troppo noto ma in realtà sconosciuto, mette in guardia dal voler perpetuare il "cliché" del "poeta del popolo". Se la persistente freschezza della sua opera collide con la transeunte storicità dei contesti nei quali si è prodotta, allora è altrove che va ricercato il suo intrinseco valore, come è accaduto anche per il "predecessore" Palamàs. Il suo essere sempre e comunque dalla parte dei deboli, il Kalamaràs lo riconduce, piuttosto che alla scelta "di classe", ad una precoce e diuturna "cognizione del dolore", così come la sua ansia di una felicità da cui nessuno resti escluso, più che a un disegno politico, va a dar forma a un' illusione che è bisogno primario e costante di una nativa innocenza. "Io non porto la pistola nella tasca posteriore dei calzoni, io non alzo il pugno chiuso", cita il Kalamaràs. Simile, aggiungo io, al piccolo popolo greco, al "μικρός λαός" delle "18 λιανοτράγουδα" , che combatte senza spada né pallottole per il pane di tutti e fende le pietre con il suo canto. Quello di Kalamaràs non sembra un rozzo tentativo di revisionismo, di quelli oggi di moda: ma certo presuppone che si sia digerito tutto il catalogo immenso di Ritsos. Non avendola io ancora compiuta, questa digestione, mi limito a segnalare l'inedita prospettiva dalla quale osservare il poeta. Ma il discorso con il quale riorganizzo il materiale di "Eleftherotypìa" non esce, come si vedrà, dal "cliché" consolidato.
La Makrynikola, che da tempo cura le carte di Ritsos e provvede alla pubblicazione degli inediti, fornisce l'elenco sino ad oggi più completo della sterminata produzione del poeta, elenco che non trascrivo per non consumare troppo spazio, ma che posso inviare ad AWS, se gli amministratori lo ritengano utile, o a chiunque me lo domandasse (scrivere a: gianpiero.testa@fastwebnet.it) .
Hristos Siafkos, oltre che tracciare le linee della tormentata biografia del poeta, si sofferma sulle lettere dai luoghi di confino, di recente pubblicate.
Grigoris Yoannidis si occupa del Ritsos autore e attore di teatro e della sua terza "passione" artistica, la pittura. Yorgos Papadakis ripercorre i rapporti di Ritsos con i compositori che hanno musicato i suoi versi.
Da questa brochure, e soprattutto dal contributo di Siafkos, ho attinto i dati per una nota biografica su Ritsos ad uso dei visitatori di AWS, nota che non ha alcun merito particolare, non essendo che una diligente compilazione, al massimo un po’ viziata da quello, forse troppo, che ci ho messo di mio.
Ma qualcosa pur dovevamo a Ritsos nel suo centenario, e in tal modo ci sdebitiamo con lui, mentre ci indebitiamo con i veri autori, cui va il nostro più sincero riconoscimento.
Forse conviene iniziare con un consuntivo delle disgrazie di Yannis Ritsos, che formano una delle chiavi della sua vita e sono costituite dal cumulo di quelle occorse al suo Paese, alla sua famiglia e alla sua persona. Ciò senza dimenticare l’altra chiave, che è quella di una inesauribile energia, con la quale si aggrappa alla vita, agli affetti, alla speranza di un futuro per tutti più degno, e con la quale si esprime in tutte quelle arti, la poesia, la musica, la recitazione, la pittura, nelle quali la sua penna la sua mano e la sua voce sono state maestre. E una terza chiave è quella della sua, davvero indomabile, passione politica e civile e della sua strabiliante capacità di lavoro.
Nell’arco della vita di Ritsos, dal 1909 al 1990, la Grecia attraversa la rivolta di Creta e la sua unione con il regno nel 1911, la due guerre balcaniche, la prima guerra mondiale con la spaccatura del Paese, i deludenti trattati di pace e lo sciagurato tentativo militare contro Mustafà Kemal, la cacciata dei Greci dall’Asia Minore, lo scambio delle popolazioni tra Turchia e Grecia, il fascismo di Metaxàs, l’aggressione italiana, l’occupazione tedesca, l’oppressione e la fame, la guerra civile, il “protettorato” inglese e quindi americano, la complessa e spesso torbida lotta per l’indipendenza cipriota, la prepotenza monarchica, la Giunta dei Colonnelli, la cacciata dei Greci dalla parte settentrionale di Cipro. Dal 1974 la Grecia esce dalla sua fase tragica, ma entra a passi decisi in quella dell’ Unione Europea e del dilagare del consumismo, della speculazione, della corruzione e dell’affarismo, delle visigotiche offese al suo sacro paesaggio, che ne sono la più visibile conseguenza.
Durante la prima guerra mondiale la famiglia di Ritsos, che è tra le principali di Monemvassìa (Laconia), uno dei posti più affascinanti del creato, perde le cospicue ricchezze avite e si riduce quasi alla miseria, a causa dello smembramento dei latifondi attuato dal governo del liberale cretese Eleuterio Venizelos nelle regioni che controllava in fiero contrasto con il Re filogermanico.
Del suo nucleo familiare, composto dai genitori e da tre fratelli di lui maggiori, Ritsos perde via via: il fratello Dimitris, allievo ufficiale della marina da guerra, ucciso a 22 anni dalla tisi; la madre, Eleftheria Vouzounarà, che subisce pochi giorni dopo la stessa sorte a 42 anni; la sorella Nina, tarpata e sequestrata da un matrimonio infelice con un poliziotto geloso; il padre, Eleftherios, ucciso dalla follia che subentra alla rovina del patrimonio e della famiglia; la sorella Lula (Stavroula) – protettrice amorosissima e amatissima di Yannis – che, sopraffatta dapprima da un trasferimento matrimoniale negli USA e, accorsa poi in patria richiamata dalle disgrazie di casa, perde frequentemente la lucidità mentale.
Personalmente Yannis, ancora sedicenne, contrae a sua volta il male di famiglia, la tisi, e a più riprese conosce tra il 1927 e il 1930 i sanatori di mezza Grecia, compreso quelli dei più poveri e disperati. Vive affamato e nascosto in casa di amici ad Atene durante l’occupazione, ma riesce a scrivere per la stampa clandestina e a riferire i fatti che di persona va allo scoperto a constatare. Viene internato durante la guerra civile a Limnos, a Makronissos, ad Agios Efstratios/Ai Stratis per quattro anni dal 1948 al 1952. Ripercorre un simile calvario sin dal primo giorno del colpo di stato dei Colonnelli, il 21 Aprile 1967. Dal concentramento nell’ ippodromo del Vecchio Falero, agli internamenti nell’isoletta-lager di Yaros e a Partheni di Leros, al semi-confino di Karlovassi di Samos , patisce altri tre anni di reclusione prima e di isolamento poi, cui paradossalmente riescono a dare sollievo le precarie condizioni di salute – dalle quali lucra qualche “visita parenti” e qualche “licenza” per le cure; l’amore che riceve dalla moglie, Faliò (Falitsa) Georghiadou, e quello tenerissimo che nutre per figlia adolescente Eri; l’ostinazione con cui scrive, finanche sui pacchetti delle sigarette, e quella con cui dipinge, finanche sui ciottoli, le radici e le ossa dilavate della spiaggia; le amicizie antiche e recenti che non gli vengono meno e anzi si irrobustiscono attraverso le peripezie; la coscienza di essere il poeta nuovo cui il sommo Kostis Palamas aveva metaforicamente ceduto il passo; i riconoscimenti internazionali che in quei frangenti gli giungono, insieme con la eco delle campagne che nel mondo si rinnovano per lui e per la sua salvezza.
Il fatto è che il figlio del latifondista espropriato non si è avvoltolato nel rimpianto dell’agiatezza perduta e nell’astio verso chi, di espropriazioni, se ne ripromette di nuove e di assai più radicali: ma fin dal 1934 si è affiliato al Partito Comunista Greco (KKE), rigorosamente illegale e (allora come ahimé ancora) piuttosto coriaceo nelle sue certezze ideologiche. Non si può dire, per questo, che Ritsos sia in ogni circostanza propenso ad accoglierne la linea “perinde ac cadaver”. In più episodi ricusa i tentativi di rettifica, se non di censura, delle sue opere e, in un momento particolarmente difficile, arriva addirittura a sfidarla, la linea, con l’elogio di quell’Aris Velouhiotis, il comandante leggendario dell’ELAS durante la Resistenza, che era stato espulso dal Partito il giorno stesso in cui, braccato dalla Gendarmeria nazionalista, si suicidava per sfuggire alla cattura.
Ma, tirate le somme, Yannis Ritsos è un “compagno” di stampo terzinternazionalista, fedele nella buona e nella cattiva sorte al suo “Parti des fusillés”, come ovviamente è stato anche quello greco, purché non si esageri con le grancasse e la retorica dei grandi discorsi. Centinaia sono i versi che gli dedica. Ne dedica addirittura alcuni al suo segretario generale, a Nikos Zahariadis, un rivoluzionario indurito dalla prigionia di Dachau e ben deciso a rovesciare con il ferro ed il fuoco l’intesa di Yalta e a mettere anche il riluttante Stalin di fronte al fatto compiuto. Un Ritsos che ci può ricordare Pablo Neruda, il quale all’incirca in quei tempi dedicava versi ispirati a Stalin, a Molotov, a Voroscilov. «En tres habitaciones del viejo Kremlìn / vive un hombre llamado José Stalìn...», c’è ancora chi ricorda questi versi ? Che sia nato, nei grandi territori tenuti dalla grande Russia, un grande paese socialista, è per Ritsos, come per molti altri della sua e della seguente generazione, un fatto nuovo e carico di speranze per tutti i proletari e gli oppressi del mondo; che il campo socialista si sia allargato verso l’Europa affogando, nell’oceano di sangue che ha «derramado en su lucha», i mostri del fascismo e del nazismo è, per lui, come per Neruda e molti della loro generazione, un’ulteriore avanzata della storia umana, la cui levatrice, come si soleva dire e ancora si suole fare, non si veste di gala. Non troviamo che abbia mai dubitato di ciò. Guardando il mondo, come si era assuefatto a fare, con gli stessi occhi degli ultimi del suo popolo, quelli che egli chiama «i nostri Cristi, i nostri Santi»: i braccianti degli ex tsiflik - i latifondi dei Turchi che, riconquistati col sangue degli umili, divennero grasso colante per i ricchi; gli operai dei cantieri e dei porti, delle fabbriche tessili e del tabacco; i miserabili pescatori del suo Peloponneso; gli sradicati profughi dell’Asia Minore che avevano riempito delle loro baracche l’immenso e rovente cratere di Atene; le minoranze reiette dei Pomachi della Tracia; gli emigranti, dispersi in ogni angolo del mondo dalla fame dal disprezzo e dalla sopraffazione di qualsivoglia diritto che regnano nella sua Grecia per incontrare altrove, se non più la fame nera, altro disprezzo e altra sopraffazione: guardato con gli occhi di costoro, il mondo d’oltrecortina gli appare come una costellazione di oasi in cui si seminano gli alberi del futuro...E quelle “oasi” lo attraggono, non solo perché da quelle si riversano su di lui riconoscimenti e decorazioni, ma perché gli pare che là il futuro mantenga e coltivi quel cuore antico, l’anima popolare, che anche il nostro Carlo Levi intravedeva, forse stravedendo, durante il suo viaggio nell’ Unione Sovietica. Spesso, nei periodi in cui non ha da rendere conti, salatissimi, ai tiranni di casa sua, troviamo Ritsos in viaggio nei paesi “socialisti”, neppure sfiorato dall’idea che anche di là siano allignate altre e tremende forme di tirannide. Lo vediamo mandare pagine e pagine di rapporti al suo giornale, “Avghì” che era ed è ancora un organo della coalizione di sinistra, lo vediamo intento a studiare le lingue slave, a tradurre i poeti cechi, slovacchi, rumeni...
E poi vorrei annotare un aspetto di Ritsos – che solo in apparenza contraddice con quanto qui ho scritto e che balza evidente dalla bella e ricca galleria di immagini che ci regala «Eleftherotypia». Se, tralasciando quelle scattate durante i viaggi nei paradisi socialisti, si scelgono le fotografie che dovrebbero documentare i periodi peggiori della vita del poeta quando, pur sofferente di tisi, si ostina a ballare e a recitare sulle scene, oppure quando i tiranni di turno lo custodiscono dietro i fili spinati di Makronisso o di Leros, ci si aspetterebbe, anche “propagandae gratia”, che il Nostro vi appaia misero ed emaciato, simbolo di tutte le sofferenze patite dai poveri e dai ribelli. Niente di tutto ciò.
In quelle fotografie non si può fare a meno di cogliere un’ostentazione di sanità fisica e di ottimistica determinazione; e quando il suo sguardo non si fissa con decisione a guardare un futuro pur lontano ma certo, ecco che allora si apre in un sorriso aperto e orgoglioso che contagia chi viene ritratto con lui.
E si intuisce che, prima di farsi ritrarre, Ritsos ha cavato dalla sacca il meglio del suo “guardaroba”, e che non gli importa di avere talora l’aspetto di un villeggiante o di un Picasso a Vallauris piuttosto che di un prigioniero la cui vita sia sempre appesa a un filo. Sembrerebbe ansioso – lui che ha fatto anche l’attore - di mostrare di sé un ritratto, fisico e morale, di salute e di vigore: non gli interessa di lasciare il documento delle sue miserie. Anche se tra i bacchettoni del Partito si mormorava per queste sue stranezze.
Yannis nasce, ultimo di quattro fratelli, nella casa contigua alla chiesa della Panaghìa Hrissofìtissa che la famiglia possiede a Monemvassìa e che è in procinto di scambiare con un’altra, ancora visibile appena superate le mura. La prima infanzia si svolge serena, anche se propriamente serena la sua famiglia non è. Non solo perché il nonno Dimitris finisce ammazzato; ma soprattutto perché tra il padre e la madre regna una notevole incomprensione. Il padre è un notabile ricco sfondato, ultraconservatore e semianalfabeta, attratto dai propri piaceri e poco attento alla famiglia. La moglie, donna intelligente e attraente che l’ha sposato a solo 13 anni, coltiva invece interessi artistici e letterari, anche vagamente venati di politica, e spera, a dispetto del marito, che i suoi figli possano condividerli. Il bimbo ha a disposizione spazi ampi e belli nelle proprietà paterne, nelle quali soggiornando con la sorella Lula sviluppa una curiosità per la natura, una buona attitudine all’esercizio fisico, un interesse per i racconti della nonna Anna e per quelli di una domestica che lo abitua alla parlata popolare. A casa, la madre lo inizia precocemente alla musica e alle lingue straniere, e lo abbona alla rivistina infantile «La formazione del fanciullo», attraverso la quale scopre i rudimenti del poetare. La scuola elementare, che ovviamente deve frequentare, gli sembra il rovescio di questa amabile educazione familiare: la detesta, ne viola le regole «quasi che gli piaccia venire punito». Nutrirà sempre disgusto per la violenza delle punizioni, ma anche disprezzo per chi evita di sfidarle e di farne prova. Ma alla figlia Eri non imporrà alcuna educazione artistica o letteraria e la lascerà liberissima di cercare le sue strade. E, infatti, pur laureata in letteratura inglese e pur avendo scritto quattro libri per l'infanzia, Eri è mamma e lavora presso la Banca Nazionale.
Nel 1917, mentre è in corso la guerra che spacca i Greci fino al conflitto civile, avvengono i primi rovesci nell’ordine familiare. La riforma agraria di Venizelos e le costose cure e i soggiorni all’estero richiesti dalla malattia del fratello Dimitris riducono al lumicino le risorse, nonostante gli aiuti di un ricco zio materno, Leonìdas, che risiede a Londra. Poco prima della morte della madre, è affidato con Lula a parenti materni delle parti di Gythio, dove i fratelli frequentano il Ginnasio, e poi al guardiano del faro di Kranai, che li tiene a pensione. Fratello e sorella si legano profondamente l’uno all’altra.
Yannis, che continua a detestare la scuola, dove oltretutto trova insegnanti “puristi” che invano cercano di reprimere la sua istintiva e ostinata preferenza per la lingua demotica, pubblica la sua prima fatica sulla rivista «La formazione del fanciullo» cui l’aveva abbonato la madre, e che rimarrà a lungo il suo unico lusso. Il titolo è «Ιδανικό Όραμα» (Visione ideale): è il 1924-25.
Nel 1925 i due fratelli sono diplomati e grazie a un mensile dello zio Leonida si trasferiscono ad Atene per continuare gli studi.
Prendono alloggio in una stanza d’albergo in via Benaki. Lula, più anziana, si impiega come ragioniera in un grande magazzino e si prepara intanto per essere ammessa alla Φιλοσοφική Σχολή, la Facoltà di Lettere e Filosofia, che a Yannis non interessa affatto. Anche lui cerca un impiego e lo trova come copista presso un notaio, si appassiona alle opere letterarie (Porfiras, Sikelianos, Palamas) che scopre nella biblioteca dell’ufficio e nel tempo libero scrive. Per non mancare dal canto suo ai propri doveri, il padre, che è incapace di reagire psicologicamente al disastro economico, vende l’ultimo podere, quello - carissimo a Yannis - di Veliès, consegna il ricavato a Lula come riserva per le emergenze, e cerca di adattarsi alla solitudine di un’orgogliosa miseria.
Già nel 1925 cominciano le emottisi di Yannis, che per questo fa ritorno alla casa paterna. Lì riordina e integra i suoi scritti, riunendoli in due raccolte: «Στο παλιό μου σπίτι» (Nella mia vecchia casa) e «Δάκρυα και χαμόγελα» (Lacrime e sorrisi). Poi, apparentemente rimesso, rientra ad Atene, trova un nuovo impiego di vicebibliotecario presso l’Ordine degli Avvocati e si iscrive a Giurisprudenza al solo scopo di disporre del tesserino per mangiare con poche dracme alla mensa studentesca.
Nel 1927 la malattia si ripresenta e lo costringe a un triennio di degenza nel sanatorio Σωτηρια (Salvezza). E’ nel periodo del sanatorio che la formazione di Yannis compie i passi fondamentali.
E’ lì che incontra il suo maestro politico, Vassilis Yeranghelos (Βασίλης Γεράγγελος ), un comunista che finirà fucilato dai Tedeschi durante l’ Occupazione. E’ lì che incomincia a leggere i classici del marxismo. E’ lì che scopre i poeti Kostas Vàrnalis (1883-1974) e Anghelos Sikelianòs (1884-1951). E’ lì che fa la conoscenza personale della sensibilissima poetessa Maria Polidouri (1902-1930), la malinconica “amante” del crepuscolare Kostas Kariotakis (1896-1928): due personaggi che guadagneranno fama e legioni di imitatori nel panorama letterario greco solo dopo i rispettivi, precoci suicidi. Maria, anche lei degente, dedica versi suoi al giovane poeta malato. E’ lì che gli capita per la prima volta (e non saranno poi molte, le volte) di innamorarsi: lei si chiama Rubini ed è la figlia della direttrice del sanatorio. Questo amore ispira a Yannis i primi versi della «Εαρινή Συμφωνία» (Sinfonia di Primavera), un testo concluso e pubblicato anni dopo e ancor oggi amato dai lettori. Da lì riesce a pubblicare versi su alcuni periodici (come il «Supplemento filologico della Grande Enciclopedia Greca», il settimanale «Evdomàs» e «La Bandiera dei Tisici») e alcune raccolte come «Τροπάρια του ειδωλάτρη ασκητή» (Cantici di un asceta idolatra) e «Φθινοπωρινές Εσπέρες» (Serate d’Autunno): attività che comincia a metterlo in qualche luce nell’ambiente letterario.
Trascorrono tre anni senza che la malattia dia segni di remissione; e la cosa è tremenda nella poverissima Grecia di quegli anni e di quei regimi, il cui rudimentale “welfare” può elargire ai tisici terapie per non più di un triennio, dopo il quale per chi non ha mezzi non resta che un ricovero tra i terminali del famigerato “Asilo dei Tisici di Kapsàlona”, alla periferia di Hanià (Creta). Lì si va solamente per “tirare gli ultimi” (πνέω τα λοΐσθια) in condizioni ambientali scandalose. E tali condizioni Yannis denuncia, stilando una lettera collettiva di questi abbandonati alla morte, che viene pubblicata su «Efedrikòs Agòn», in seguito alla quale viene dirottato al preventorio di Ayios Ioannis di Hanià, affinché la smetta di turbare la pace del collegio elettorale di Venizelos.
Già dall’anno successivo (1931) la salute comincia a migliorare; ma un altro disagio si abbatte su Yannis. L’amatissima sorella Lula consente a un matrimonio con un emigrato negli Usa, Dimitris Stavropoulos, assai più anziano di lei, e parte per la nuova patria. Non senza, tuttavia, un intreccio di gesti amorosi: il padre dà in dote alla figlia un preziosissimo anello, ultimo avanzo dei “tesori” della moglie, e Lula senza esitare lo vende per aiutare il fratello ancora inabile per un lavoro.
Nel periodo che segue Yannis, discretamente ristabilito, non solo continua a scrivere, ma cede al fascino della musica e del teatro. Suona in un’orchestra di “mandolinades” (complesso di strumenti a plettro), intrattiene per ore al pianoforte i frequentatori del Circolo degli Impiegati Pubblici, accetta piccole parti in pièce teatrali e recita pubblicamente anche poesie sue. Intreccia nell’ambiente degli artisti una rete di conoscenze destinate a durare anche nelle imminenti ulteriori avversità.
L’anno dopo, però, il padre – che orgogliosamente si è ridotto a vivere, nella superstite casa di Monemvassìa, di pane e di acqua del pozzo - esce di senno e finisce ricoverato nel manicomio di Dafnì. Lula ritorna a precipizio dagli Stati Uniti per dare una mano: sa che la terza classe del manicomio è l’inferno, e lo fa spostare in seconda. Ma lei stessa comincia a dare segni di squilibrio.
Yannis, però, persegue nella strada intrapresa ed esordisce sulle scene come regista e ballerino. L’ambiente è abbastanza caratterizzato a sinistra e nel 1934 il regista Reno Vrettàkos, un solido e attivo comunista, lo introduce nel KKE.
E subito appare, per le edizioni Govosti, l’opera che suggella il nuovo e mai più tradito impegno: «Τρακτέρ» (Trattore) seguito da «Πυραμίδες» (Piramidi). La stessa casa Govosti nel 1935 lo prende con sé a lavorare.
Il 9 Maggio 1936, un sabato, a Salonicco gli operai scendono in sciopero generale e il governo fascista del generale Metaxas reagisce con lo stato d’assedio. Durante la manifestazione, ovviamente vietata, un giovane, di mestiere conducente e di nome Tassos Toussis, viene ucciso dalla polizia a cavallo. Qualcuno scatta delle fotografie: l’immagine della nerovestita madre di Tassos, china sul corpo del figlio steso sul selciato tra le rotaie del tram, è pubblicata il giorno seguente da «Rizospastis», il giornale del Partito. Subito Yannis Ritsos scrive le prime poesie di «Επιτάφιος» , che Rizospastis pubblica il 12 Maggio con il titolo «Μοιρολόι» (Mirologio). Sono tre: «Γιέ μου, σπλάχνο των σπλάχνων μου» (Figlio mio, viscere delle mie viscere), «Τι έκανες, γιέ μου;» (Che hai fatto, figlio mio ?) e «Βασίλεψες αστέρι μου» (Sei tramontata, stella mia), in decapentasillabi, il metro dei cantari popolari. Ha preso corpo la nuova fisionomia poetica di Yannis Ritsos, che, nonostante una nuova emottisi, compone altri 14 brani sullo stesso tema. I brani vengono stampati in 10.000 copie dal Λαικό Βιβλιοπολείο (Libreria Popolare). La polizia si scatena per sequestrarle, ma ne acquisisce solo 250: le altre sono già sparite, acquistate in un lampo dalla gente. E così sono solamente 250 le copie di «Επιτάφιος» che finiscono nel rogo che Metaxàs ordina di accendere, il 4 Agosto 1936, sotto le colonne ateniesi del tempio di Zeus Olimpio per distruggere i libri da lui proibiti.
Ormai le strade artistiche e politiche di Ritsos sono chiare; e in molti incomiciano ad accorgersi di lui. Si concede però ancora alla vocazione teatrale, che in lui è irresistibile, per quanto nociva alla sua instabile salute. Anche sul piano formale diventa artista di scena, con l’iscrizione alla Corporazione degli Artisti Greci nell’ Ottobre del 1936: ma le fatiche lo costringono a trascorrere l’inverno in un sanatorio, quello sul monte Parnitha.
E proprio mentre è lì degente, di nuovo si abbatte su di lui una doppia sciagura familiare dai caratteri particolarmente patetici. I disturbi mentali della sorella Lula la costringono a un ricovero nel manicomio di Dafnì, dove già si trova il padre; e il poveraccio non sopravvive alla disgrazia della figlia. L’episodio, penosissimo, prelude e quasi concorre al definitivo accoglimento di Yannis nel Parnaso greco. Su di quello, infatti, il poeta compone quel «Τραγούδι της Αδελφής» (Canzone della Sorella), che, letto dal Palamas, il vate indiscusso dell’epoca, gli fa pronunciare la frase che consacra Ritsos come suo autentico successore: “Facciamo largo al Poeta”. L’ elitaria Unione degli Scrittori Greci lo accoglie a larga maggioranza tra i suoi membri. E’ il Novembre 1937.
Ma il poeta continua a coltivare la passione per le scene e lavora al Βασιλικό Θέατρο (Teatro Regio, ora Εθνικό, Teatro Nazionale) , dove incontra Manos Katrakis (1908 – 1984), un attore che si sta affermando anche lui in quel periodo e che diventerà nel dopoguerra uno dei più notevoli del panorama drammatico e cinematografico greco: un uomo che condividerà di lì a non molto le stesse peripezie di Ritsos nella Resistenza e nei campi di internamento della guerra civile. Katrakis diventa un amico fondamentale per Ritsos, insieme a Takis Filiakòs, questi pure votato al teatro e indefettibile in una amicizia che li legherà per tutta la vita. Filiakòs lavora alla Εθνική Λυρική Σκηνή (Scena Lirica Nazionale) e si porta Ritsos con sé.
La primavera del 1941 rovescia su tutti i Greci la tragedia dell’occupazione italo-bulgaro-tedesca, che – per quanto attiene ai Tedeschi - durerà fino al Settembre del 1944. Il poeta di «Trattore» e di «Epitafios» è troppo esposto politicamente e deve nascondersi nella casa dell’amico Tassos Filiakòs nel quartiere di Thymaraki. Rimedia scarsa vivanda al prezzo di interminabili code al Focolare degli Artisti in funzione presso il Museo Archeologico, e in quelle code fa la conoscenza del bravo pittore e scenografo Yannis Tsarouhis (1910 - 1989). Vedendolo stremato dalla fame e dalla debolezza, gli amici cercano di soccorrerlo lanciando una pubblica colletta attraverso il giornale «Akropolis»; ma Ritsos devolve il ricavato alla Commissione per la Protezione dei Beni Culturali che deve salvaguardare un enorme patrimonio nazionale dalle distruzioni e dai saccheggi dell’occupazione. Ha aderito all’EAM (il Fronte di Liberazione Nazionale) e lavora per la sua Sezione Culturale scrivendo per la stampa clandestina.
A occupazione finita, Ritsos è attento e diretto testimone del primo scontro della guerra civile, quei “Fatti di Dicembre” (Τα Δεκεμβριανά) del 1944, seguiti a una sanguinosa provocazione a freddo dell’Amministrazione Britannica. Nelle giornate degli scontri armati, il poeta si reca costantemente nel quartiere di Kessarianì, per rendere testimonianza della battaglia mediante la stampa del Partito Comunista.
Durante la precaria tregua procurata dall’accordo di Vàrkiza, Yannis forma un θίασος, una compagnia teatrale girovaga, per dare spettacoli per i combattenti dell’ Esercito Popolare Greco di Liberazione (ΕΛΑΣ) che, armi al piede, aspettano nuovi sviluppi stando concentrati soprattutto nell’Epiro. Gli sono compagni gli attori Maria Voùlgari e Tassos Filiakòs. Si esibiscono a Volos, Trikala, Kozani. Scrive anche un testo drammatico, «Η Αθήνα στ’άρματα» (Atene in armi), che difende con successso da una intromissione censoria del Partito. Ritornati nella capitale, scoprono che la casa di Filiakòs è stata frugata dai Gendarmi, che però non hanno trovato i manoscritti. I libri e la corrispondenza con intellettuali come Palamas, Kazantzakis e la Polidouri sono stati invece distrutti, per mera paura, dall’amica cui erano stati affidati prima della tournée al Nord. Per inciso, durante buona parte della sua vita, Ritsos ha dovuto continuamente escogitare astuzie per salvaguardare e contrabbandare i propri scritti, negli spostamenti da un carcere all’altro e da un internamento all’altro.
I primi tempi della guerra civile, che divampa spietata quando, con una provocazione che la gente della resistenza non può tollerare, gli Inglesi impongono il ritorno del Re, non travolgono lì per lì le sorti di Ritsos. Continua a vivere defilato a Thymarakia, riesce a collaborare con il periodico «Ελέυθερα Γράμματα» (Libere Lettere), fa la conoscenza di poeti come lui impegnati nell’agone mortale e come lui destinati a dure prigionie: Manolis Anaghnostakis, Tassos Livaditis, Aris Alexandrou. Nel 1947 intreccia la relazione amorosa con Falitsa Gheorghiadou, una donna che ama i libri per quanto si prepari a diventare medico, e che sposerà sette anni dopo, quando la bufera sarà o sembrerà passata.
Scrive due componimenti politici d’occasione, sorprendenti perché intesi a esaltare due opposti personaggi-simbolo del suo partito: Nikos Zahariadis e Aris Velouhiotis. Tra Velouhiotis (il Comandante Aris della resistenza antinazista) e il KKE, infatti, le cose si sono deteriorate a tal punto che, proprio il giorno in cui Velouhiotis si suicida per sottrarsi alla cattura, Rizospastis pubblica la risoluzione con la quale il Comitato Centrale lo espelle dalle suoi ranghi. «Ο σύντροφός μας Νίκος Ζαχαριάδης» (Il nostro compagno Zahariadis) e «Το υστερόγραφο της δόξας» (Il postscriptum della gloria) sono titoli che, inequivocabilmente, esprimono un’impossibilità più sentimentale che politica di separare la rivoluzione dalla resistenza e, c’è da supporre, un persistente sogno di unità contro i veri nemici: ma fanno anche emergere un’ attitudine all’indipendenza, che può sfidare l’anatema del Partito, nel pur disciplinato compagno Ritsos.
Sembrava impossibile che Ritsos, l’autore di Epitafios, non la pagasse. E infatti nel Luglio del 1948 il poeta cade nelle grinfie della Polizia. L’ Egeo, tanto splendente nel mese di Luglio, quando il cielo e ogni cosa della terra e del mare luccicano sotto il robusto soffio del meltemi, lo accoglie nelle sue luminose prigioni. Oggi nessuno (ma davvero ?) priverebbe il Turismo dell’incanto di un’isola benedetta dal sole e dalla trasparenza delle acque: ma quanti e quanti secoli di catene si sono trascinati per le insulari galere del Mediterraneo ! “Dalla sua cella lui vedeva il mare e una casa bianca in mezzo al blu”: la prigionia sull’isola incantata era ancora nello sguardo di Lucio Dalla solo pochi decenni fa. Perché, dai Romani ai Bizantini, dalla Serenisssima alla Sublime Porta, dai Papi ai Borbone, da Mussolini a Tito, prima che il Turismo pretendesse i suoi spazi, un’isola-scoglio fu sempre il luogo più comodo per relegare e sorvegliare gli avversari. Leggiamo i toponimi delle prigionie di Yannis Ritsos: Kondopouli di Limnos, Makronisso, Agios Efstratios di Limnos: scali di una mini-crociera si direbbe oggi. Una crociera che per Ritsos fu lunga quattro anni, con assai scarse fruizioni di bagni di mare e di sole. Di sole, certo: ma altro è goderselo in una vacanza, altro è subirlo come una maledizione, le labbra spaccate dalla sete e, talora, dalle botte; mentre come Sisifo sposti a mani e a braccia massi infuocati da un punto all’altro, insensatamente; mentre un po’ più in là il muro delle esecuzioni ammonisce, provvisoriamente silenzioso. Ma in tutti e tre i luoghi di detenzione, Ritsos riesce in qualche modo a scrivere e a dipingere. A Kondopouli scrive «Καπνισμένo Τσουκάλι» (Una pignatta affumicata) e i due «Ημερολόγια της εξορίας» (Diari d’esilio). A Makronisso scrive «Τα Μακρονησιώτικα» (Le poesie di Makronisso). Il campo di Makronisso, essendo stato istituito come struttura “rieducativa”, aveva in sé un quid di maggior sadismo degli altri, perché il suo untuoso scopo ufficiale era quello di “persuadere” i reclusi a sottoscrivere la “μετάνοια”, il pentimento, in mancanza del quale le cose si potevano mettere assai male. Quando toccò a lui di recarsi alla tenda-comando per la “metània”, ben sapeva che le linee telefoniche di Makronisso erano già collegate con gli uffici governativi, affinché all’istante il mondo venisse a sapere che anche Ritsos aveva sottoscritto la rinuncia. Non firmò, e poi riferì ai compagni che lo aspettavano con doppia ansia: «Strada facendo mi sono fatto un esame di coscienza: hai fatto mai del male a qualcuno? No. Vuoi bene al mondo intero ? Sì. Ami tanto la Grecia ? Infinitamente. Vedete signori, queste cose un uomo le vive, non ha bisogno di metterci la firma. E me ne sono andato”. La notorietà che gli era attribuita nel momento in cui ci si attendeva la sua firma lo preservò, forse, dalle speciali violenze riservate agli irriducibili “bulgari”, lasciati di solito in balia degli αλφαμίτες, gli sgherri della guarnigione (A.M.: Αστυνομική Μονάδος), esperienza cui non sfuggì invece un altro poeta e scrittore là detenuto, l’amico Aris Alexandrou (Leningrado, 1922- Parigi, 1978). Aris subì molte bastonature: ma gli “alfamites” si divertivano assai di più a cavarti un occhio, non di rado anche due. Ritsos riuscì tra l’altro a rimediare una breve licenza, viste le sue abituali condizioni di salute: ma al suo spirare fu di nuovo arrestato. Nel luglio del 1950 l’inferno di Makronisso fu commutato in un confino a Agios Efstratios di Limnos (più noto come Ai Stratis), nel quale trascorse due anni fino all’Agosto 1952. Lì scrisse e poi riuscì a mettere in salvo «Αγρύπνια» (Insonnia), che comprende anche «Ρωμιοσύνη» (Grecità) e «Η κυρά των αμπελιών» (La signora delle vigne). Nello stesso modo era riuscito a mettere in salvo ciò che aveva composto nelle precedenti detenzioni. Ispirati al paesaggio di Ai Stratis si salvarono anche diversi idilliaci acquerelli. La liberazione venne anche grazie a una campagna internazionale cui presero parte personaggi come Picasso, Aragon e Neruda.
In queste peripezie Ritsos poté contare sui suoi amici, soprattutto quelli che condividevano con lui i rigori riservati agli sconfitti, come Manos Katrakis, Aris Alexandrou, Menelaos Loudemi, Dimitris Fotiadis, e quell’ Efthifronas Iliadis che gli aveva fatto pubblicare i primi tre componimenti di «Epitafios». A Makronisso c’era anche un giovane ansioso di votarsi alla musica: Mikis Theodorakis. Di quei tempi si è conservata (e di recente pubblicata dalla professoressa Lizi Tsirimokou dell’Università di Salonicco) la singolare e affettuosa corrispondenza con una giovane amica scrittrice, Ekaterini (Keti) Drossou, la compagna - ancora vivente - di Alexandrou , per la quale il poeta sfruttava una sua caratteristica abilità grafica, da amanuense bizantino, che gli permetteva di concentrare lunghi testi nelle dieci righe regolamentari: la stessa abilità che ritroviamo nei molti versi scritti sui pacchetti vuoti delle sigarette, il cui fumo Ritsos inflisse per tutta la vita ai propri polmoni malandati.
Rimesso in libertà (Agosto 1952), fu di nuovo ospite dei Filiakòs. In collaborazione con Alexandrou, che era nato in U.R.S.S. da madre russa, si mette a tradurre Majakovski e Dostoevski e, dal turco, Nazim Hikmet e intanto collabora con «Αυγή», il giornale dell’ E.Δ.A (Ενιαία Δημοκρατική Αριστερά), la coalizione di sinistra messa in piedi nel 1951 anche per surrogare il KKE, sempre fuori legge. Nel 1954 pubblica «Αγρύπνια», scritta durante il confino. Il 1954 è un anno importante, perché segna il ritorno di Ritsos alla carta stampata e, insieme, l’approdo al matrimonio con Falitsa, dal quale l’anno dopo nascerà la figlia Elefterìa (Eri). E un altro matrimonio, questa volta editoriale, si verifica di lì a non molto: quello con la casa editrice Kedros di Nino e Nanà Kallianesi, che dal 1956 in poi pubblica la maggior parte di quanto il prolifico poeta va producendo.
Cominciano ad arrivare i riconoscimenti, i primi di una lunga serie. Nel 1956 «Η σονάτα του σεληνόφωτος» (La sonata del chiaro di luna) riceve un primo premio ex aequo con Aris Dikteos al 1° Concorso Statale di Poesia e allarga nel mondo la fama del poeta. Subito viene invitato nell’ Unione Sovietica che, penando alquanto per ottenere il passaporto, riesce infine a raggiungere e dalla quale manda ad «Avghì» ben 36 reportage per la rubrica «L’Unione Sovietica oggi». Segue l’invito in Romania, dove si reca in compagnia degli scrittori Stratis Myrivilis (Efstratios Stamatopoulos, Mitilene, 1892 – Atene, 1969 , l’autore del bellissimo libro contro la guerra «Η Ζωή εν τάφω», 1924 ), di Anghelos Terzakis (Napflion, 1907 – Atene, 1979) destinato a diventare Accademico di Grecia, e Menelaos Loudemi (Takis Balàsoglou/Valassiadis, Asia Minore 1912 ? - Atene, 1977), autore popolarissimo in patria tra i comuni lettori, ma dalla patria ufficiale sempre perseguitato nella persona e nelle opere con condanne a morte, internamenti, perdita della cittadinanza e censure, al punto da essere costretto a vivere quasi di continuo a Bucarest. Loudemi lo introduce nel giro della letteratura rumena, della quale Ritsos compila un’ Antologia poetica pubblicata nel 1960. Lo stesso farà in Cecoslovacchia, con una raccolta di testi di poeti cechi e slovacchi. Non si pensi, tuttavia, a un Ritsos "ignorante" delle lettere occidentali, delle quali invece fu curioso e avido lettore. Come testimonia la figlia, i suoi autori occidentali più frequentati erano Neruda, Aragon, Eluard, St John Perse, Eliot, Pound. Ma soprattutto amava leggere l'Odissea.
Intorno al 1960, all’inizio di un decennio di febbrile attività artistica e di altre pesanti peripezie politiche, Ritsos ha una sorta di illuminazione, che risulterà decisiva e capace di caratterizzare gran parte della cultura greca dei decenni seguenti: quella di “sposare” la poesia d’autore con la musica d'ispirazione popolare. Il poeta non ha dimenticato quel giovane prigioniero di Makronisso che aspirava a farsi musicista e che, presa dimora a Parigi, sta compiendo progressi nello studio e nella composizione, ma che non per questo ha abbandonato la lotta politica. Gli spedisce otto testi di «Epitafios», quello fatto bruciare da Metaxàs, e gli suggerisce di musicarne qualcuno. Theodorakis non se lo fa dire due volte; ed è una svolta – come spesso si dice a vanvera – davvero epocale. Il successo di «Epitafios», musicato sui ritmi delle danze popolari, il χασάπικο e il χασαποσέρβικο, darà la stura a un filone artistico – di cui saranno protagonisti i maggiori poeti e i maggiori musicisti greci – che senza dubbio rappresenta il carattere peculiare dell’apporto ellenico alla cultura contemporanea. Esso permeerà anche il cinematografo e il teatro, e sarà arma potentissima per l’isolamento interno e internazionale della dittatura dei Colonnelli. Su questo terreno musicale e popolare confluiranno e si intrecceranno i due filoni poetici separatamente nati negli anni Trenta: quello impegnato e sociale formatosi nell’ambiente di Ritsos, con gli Anaghnostakis e i Livaditis, e quello più elitario dei giovani già surrealisti, come gli Elytis e i Gatsos. Lì per lì Ritsos non apprezza l'uso del bouzouki, che apparenta la sua poesia alle canzoni "manghike" dei bassifondi (ed era proprio quello che Mikis voleva, perché aveva capito che i Tsitsanis e i Vamvakaris "amministravano" un grande tesoro artistico popolare). I chierici del KKE, naturalmente, non ne capiscono un’acca, e gridano allo scandalo e alla profanazione. Il Governo di Karamanlis e i capi della destra, invece, capiscono al volo, e preoccupatissimi si affrettano a censurare e a boicottare. Ma in conclusione i due artisti vanno avanti senza troppa paura. Viene musicata anche «Ρωμιοσύνη» e molto altro seguirà: ancor oggi Ritsos è forse il poeta neogreco che più è stato messo in musica (vedi, sotto, la nota discografica).
Il 21 Aprile 1967, il giorno stesso del putsch dei Colonnelli, Ritsos viene arrestato e condotto, con altre 10.000 persone, all’ Ippodromo del Nuovo Falero. Poi viene smistato nella piccola isola di Yaros . Alla fine di Giugno gli fanno raggiungere Partheni, nell’isola di Leros. Sembra un film già visto. La moglie Falitsa viene catturata anche lei e portata a Vathì di Samos. Poi, semilibera, può “domiciliarsi” nell’isola di Siros e, da lì riesce a mandare qualche genere di conforto al prigioniero e un giorno, addirittura, riesce a vederlo con uno stratagemma. Approfitta della propria qualifica di medico e, in quella veste, viene ammessa a “visitare” il congiunto. Il quale, peraltro, è davvero ammalato: questa volta si tratta dei reni, che richiedono di essere operati. E’ in pieno corso una campagna internazionale per la liberazione di Ritsos e quindi arriva il permesso per il ricovero e l’intervento in un ospedale di Atene. Ma già a Settembre la “licenza” è finita e il poeta è ricondotto a Partheni e quasi subito mandato al confino a Karlovassi di Samos. E’ il 19 Ottobre 1968. Con un altro stratagemma sono stati salvati gli scritti e gli acquarelli di Partheni: l’esperienza ormai non manca. Da Samos Ritsos riesce a mandare in Francia, a Gallimard, «Πέτρες» (Pietre), «Επαναλήψεις» (Ripetizioni), «Κιγκλίδωμα» (Inferriata) e a far avere a Theodorakis, da poco riparato in Francia, le «18 Λιανοτράγουδα της πικρής πατρίδας» (18 distici popolari della patria amara), musicate poi nel 1970.
Nel Gennaio del 1970 Ritsos riesce a mettere in imbarazzo i Colonnelli. Ha ricevuto in invito da Londra per essere ospite d’onore al Festival Internazionale di Poesia. Ci sarà anche Pablo Neruda. Chiede la licenza al Governo, e Pattakos lo invita addirittura nel suo ufficio: gliela concederà, la licenza, purché non vada a sparlare dell’ odierna Grecia. Ancora una volta Ritsos gira i tacchi davanti alle pretese dei militari e fa ritorno a Karlovassi.
Un’altra operazione chirurgica gli regala, a Ottobre, il ritorno nella capitale e il permesso di rimanervi, nell'appartamento di via Mihaìl Korakas, dove gli arrivano i più disparati incoraggiamenti e attestati di riconoscenza dall’Europa.
Nel 1973 riesce ad apparire ancora una volta in pubblico prima della caduta dei Colonnelli, partecipando ai cortei che muovono dal Politecnico il 15 Novembre.
Caduta finalmente la Dittatura e fino alla sua morte, Ritsos entra nel mito; e intanto la sua produzione e le sue pubblicazioni sono abbondantissime (vedi, sotto, l'interminabile catalogo ricostruito da Ekaterini Makrynikola), e la vita familiare si svolge in piena serenità, anzi in piena felicità, perché dopo tante peripezie ha scoperto che i ruoli del marito e del padre gli sono affatto congeniali. Nel 1977 riceve il premio Lenin; per due volte viene proposto per il Nobel; nel 1976 riceve la Laurea h.c. dall’Università di Salonicco e lo stesso onore gli viene concesso nel 1987 da quella di Atene. Negli anni Ottanta si cimenta anche come romanziere. Scrive cose nuove; ma va recuperando per Kedros anche vecchi "giacimenti" che sembravano dimenticati. Nel 1980 conosce il giovane (n. 1949 -) persiano di cultura greca Fereindun Fariad (Φερεϊντούν Φαριάντ) e ne diventa grande amico e collaboratore. Piano piano raccoglie in ordine cronologico, nelle sillogi intitolate «Ποίηματα» (Piimata), le sue poesie, come già fossero un' Opera Omnia. Ritsos si sentì sempre un grande "lavoratore" e non si stenta, davvero, a crederlo.
Muore l’ undici Novembre 1990, all’età di 81 anni. E’ sepolto a Monemvassìa o meglio, come lui preferiva scrivere in lingua demotica, a Monovassià.
Discografia
(dall'archivio di Petros Dragoumanos)
La discografia di Ritsos è assai vasta, in parte perché il poeta amava recitare i propri testi con la sua voce ben esercitata dall' attività drammatica prediletta in gioventù, e in gran parte perché, dopo l'esperimento di "Epitafios" con Theodorakis, molti altri importanti musicisti, come Leondìs, Loizos, Mamangakis, Mikroutsikos, Moutsis, Terzìs, si cimentarono con i suoi versi. Indubbiamente, il musicista più importante resta Mikis Theodorakis, il cui nome e la cui opera sono indissolubilmente legati a quelle del poeta. Aggiungiamo che i migliori interpreti della canzone greca hanno quasi sempre nei loro repertori versi musicati di Yannis Ritsos.
L'elenco che segue comprende sia letture sia opere musicali, ed è costituito soprattutto da quanto oggi è disponibile in quanto riversato in LP o CD. Questo può spiegare alcune incongruenze cronologiche, delle quali la principale riguarda proprio Epitafios che non è citato nelle due interpretazioni originarie del 1960: quella della Mouskouri, orchestrata per pianoforte da Manos Hatzidakis e quella di Bithikotsis, orchestrata per lo "scandaloso" buzuki da Theodorakis.
1963 Η κυρά των αμπελιών
1966 Ο Ρίτσος διαβάζει Ρίτσο (Ι), σε μουσική επιμέλεια Βασίλη Τενίδη
Ρωμιοσύνη, Μουσική Μ. Θεοδωράκη. Ερμηνεία Γ.Μπιθηκώτση
Επιτάφιος, Μουσική Μ. Θεοδωράκη. Χορωδία Τρικάλων.
1972 Ο Ρίτσος διαβάζει Ρίτσο (ΙΙ)
'Ενδεκα λαικά τραγούδια του Γ.Ρ. Μουσική Νίκου Μαμαγκάκη. Ερμ. Γ. Πουλοπούλου
1973 18 Λιανοτράγουδα της πικρής πατρίδας. Μουσική Μ. Θεοδωράκη. Ερμ. Πέτρου Πανδή
1974 Ο Γ.Ρ. διαβάζει τη Ρωμιοσύνη
Επιτάφιος (και Επιφάνια του Γ. Σεφέρη). Μουσική Μ. Θεοδωράκη. Ερμ. Γ. Μπιθηκώτση.
18 Λιανοτράγουδα της πικρής πατρίδας. Μουσική Μ. Θεοδωράκη. Ερμ. Γ. Νταλάρα
1975 'Υμνος και θρήνος για την Κύπρο.Μουσ. Μ. Τερζή
Επιτάφιος. Μουσική Μ. Θεοδωράκη. Ενορχήστρωση Μ. Χατζιδάκι, Ερμ. Νάνας Μούσχουρη
Τετραλογία. Μουσική Δήμου Μούτση
Καπνισμένο τσουκάλι. Μουσική Χρίστου Λεοντή. Ερμ. Νίκου Ξυλούρη. Διαβάζει ο Γ.Ρ.
Ο Γ.Ρ. διαβάζει τον Αποχαιρετισμό
Πολιτικά τραγούδια. Ερμ. Μαρίας Δημητριάδη
1976 'Υμνος και θρήνος για την Κύπρο. Μουσική Μ. Τερζή
Καντάτα για την Μακρόνησο και Σπουδή σε ποιήματα του Μαγιακόφσκι. Μουσική Θάνου Μικρούτσικου. Ερμ. Μαρίας Δημητριάδη
Ρωμιοσύνη. Μουσική και ερμηνεία Μ. Θεοδωράκη
1977 Εαρινή συμφωνία
Οι γειτονιές του κόσμου. Μουσική Μ. Θεοδωράκη
12 ρούσικα λαικά τραγούδια. Ερμ. Μαργαρίτας Ζορμπαλά
1979 Σονάτα του σεληνόφωτος. Μουσική Θάνου Μικρούτσικου
Πόλεμος και Ειρήνη. Χορωδία Τερψιχόρης Παπαστεφάνου
Οι γειτονιές του κόοσμου. Μουσική Μ. Θεοδωράκη. Ερμ. Μαρίας Φαραντουρη
1981 Πικραμένη μου γενιά. Ερμ. Λάκη Χαλκιά
1983 Γράμματα στην Αγαπημένη. Μουσική Μάνου Λοΐζου
1984 Η Μαίρη Λίντα τραγουδά Μίκη Θεοδωράκη
1990 Εαρινή Συμφωνία. Ερμ. Τάση Χριστογιαννοπούλου
1996 Ο Αντώνης Καλογιάννης τραγουδά Μίκη Θεοδωράκη
1997 Λιανοτράγουδα της γλυκιάς πατρίδας. Μουσική Μ. Θεοδωράκη. Ερμ. Πέτρου Πανδή
2001 Του απείρου εραστής. Μουσική Θάνου Μικρούτσικου
2002 Τραγούδια του έρωτα και της θαλάσσας. Ερμ. Νίκου Ανδρουλάκη
2004 Επιτάφιος κατά Στάυρο Ξαρχάκο. Ερμ. Μαρίας Σουλτάνου
2006 Ρωμιοσύνη ( και 'Αξιον Εστί του Ελύτη). Μουσική Μ. Θεοδωράκη. Ερμ. Τάση Χριστογιαννοπούλου
https://www.antiwarsongs.org/do_search.php?lang=it&idartista=11213&stesso=1
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