Prometeo (in greco antico: Προμηθεύς, Promethéus, «colui che riflette prima», in latino: Prometheus), è un personaggio della mitologia greca. L'epiteto di Prometeo ("colui che riflette prima") lo contrappone con uno dei suoi tre fratelli (Epimeteo) che invece è "colui che riflette dopo".
Prometeo rubò il fuoco agli Dei per darlo al genere umano e la sua azione, che avvenne in antitesi a Zeus ed è posta ai primordi dell'umanità, rappresenta l'origine della condizione esistenziale umana.
Nella storia della cultura occidentale, Prometeo può essere considerato un simbolo di ribellione e di sfida alle autorità o alle imposizioni, così anche come metafora del pensiero ed archetipo di un sapere sciolto dai vincoli del mito, della falsificazione e dell'ideologia.
Prometeo è un titano amico dell'umanità e del progresso poiché ruba il fuoco agli Dei per darlo agli uomini, subisce la punizione di Zeus, che lo incatena a una rupe ai confini del mondo per poi farlo sprofondare nel Tartaro.
Prometeo aveva cinque coppie di fratelli gemelli. All'inizio i fratelli erano virtuosi e saggi, ma si lasciarono prendere dall'avidità e allora gli dei mandarono una tempesta che distrusse il loro paese.
Atlante e Menezio sopravvissero al diluvio e si unirono a Crono e ad altri Titani per combattere gli dei. Però Zeus mandò in esilio Menezio e condannò Atlante a portare il Cielo sulle spalle per sempre.
Prometeo si schierò dalla parte di Zeus, dicendo di fare altrettanto al fratello Epimeteo, unendosi alla lotta solo quando oramai volgeva al termine. Come premio, ebbe la possibilità di accedere liberamente all'Olimpo. Di conseguenza fu presente alla nascita, dalla testa di Zeus, di Atena. Zeus, per la stima che riponeva in Prometeo, gli diede l'incarico di forgiare l'uomo. Prometeo lo modellò dal fango e lo animò con il fuoco.
Dell'amicizia che provava per gli uomini, Prometeo diede testimonianza fin dalla prima volta che se ne dovette occupare: quando ricevette da Atena e dagli altri dei un numero limitato di "buone qualità" da attribuire agli esseri viventi, compito che suo fratello Epimeteo cominciò a eseguire senza pensarci tanto, distribuendole in maniera priva di pianificazione. Alla fine, non vi erano più qualità da assegnare al genere umano, ma Prometeo rimediò subito rubando ad Atena uno scrigno in cui erano riposte l'intelligenza e la memoria, che donò agli umani.
Zeus in quel momento aveva deciso di distruggerli e non approvava la gentilezza di Prometeo per le sue creature; inoltre considerava i doni del titano troppo pericolosi perché gli uomini in questo modo sarebbero diventati sempre più potenti e capaci.
A quell'epoca, gli uomini erano ammessi alla presenza degli dei, con i quali trascorrevano momenti conviviali di grande allegria e serenità. Durante una di queste riunioni tenuta a Mecone fu portato un enorme bue, del quale metà doveva spettare a Zeus e metà agli uomini. Il signore degli dei affidò l'incarico della spartizione a Prometeo che approfittò dell'occasione per ingannare il re degli dei. Quando sacrificò l'animale, dei pezzi ne fece due parti: agli uomini riservò i pezzi di carne migliori, nascondendoli però sotto la disgustosa pelle del ventre del toro, mentre agli dei riservò le ossa che mise in un lucido strato di grasso. Fatte le porzioni, invitò Zeus a scegliere la sua parte.
Zeus accettò l'invito e prese la parte che luccicava di grasso. Scoprendo le ossa abilmente nascoste, si arrabbiò lanciando una maledizione sugli uomini. Fu da allora che gli uomini cominciarono a lasciare agli dei le parti immangiabili delle bestie sacrificate, consumandone invece la carne, in cambio della loro mortalità. Lo sfrontato raggiro doveva essere punito e Zeus, senza colpire Prometeo, tolse il fuoco agli uomini e lo nascose.
La punizione di Prometeo e degli uomini
Gli uomini, senza fuoco, morivano, esiliati sulla terra. Prometeo allora si recò da Atena affinché lo facesse entrare di notte nell'Olimpo e, appena giunto, accese una torcia dal carro di Elio e si dileguò senza che nessuno lo vedesse. Secondo altre leggende, egli ritrovò la torcia nella fucina di Efesto, ne rubò qualche favilla e, incurante delle conseguenze, la portò agli uomini. Venutolo a sapere, Zeus ordinò ad Efesto di costruire una donna bellissima, di nome Pandora, la prima del genere umano, alla quale gli dei del vento infusero lo spirito vitale e che tutte le dee dell'Olimpo dotarono di doni meravigliosi.
Si racconta che Zeus la inviò da Epimeteo affinché punisse la razza umana, alla quale Prometeo aveva dato il fuoco divino. Epimeteo, avvertito dal fratello di non accettare regali da Zeus, la rifiutò, cosicché Zeus, più indignato che mai per l'affronto subìto, prima dall'uno e poi dall'altro fratello, decise di punire ferocemente il titano e tutti gli uomini che egli difendeva[6]. Il padre degli dei fece incatenare Prometeo, nudo, nella zona più alta e più esposta alle intemperie, e gli venne conficcata una colonna nel corpo. Inviò poi un'aquila perché gli squarciasse il petto e gli dilaniasse il fegato, che gli ricresceva durante la notte, giurando di non staccare mai Prometeo dalla roccia.
Epimeteo, dispiaciuto per la sorte del fratello, si rassegnò a sposare Pandora, ma essa sventatamente e per pura curiosità aprì il vaso donatole da Zeus, adempiendo così al piano del re degli dei. Egli, infatti, aveva chiuso all'interno del vaso tutti i mali che potessero tormentare l'uomo: la fatica, la malattia, la vecchiaia, la pazzia, la passione e la morte. Essi uscirono e immediatamente si sparsero tra gli uomini; solo la speranza, rimasta nel vaso tardivamente richiuso, da quel giorno sostenne gli uomini anche nei momenti di maggior scoraggiamento.
La liberazione e l'immortalità del Titano
Come narrato nella tragedia perduta di Eschilo Prometeo liberato, dopo molti anni[7] Eracle passò dalla regione del Caucaso, trafisse con una freccia l'aquila che tormentava Prometeo e lo liberò spezzando le catene.
Secondo il racconto contenuto nella Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro, durante un incontro tra Chirone ed Eracle, alcuni centauri attaccarono l'eroe. Questi per difendersi usò le frecce bagnate con il veleno dell'Idra, da cui non si poteva guarire. Chirone venne inavvertitamente graffiato da una delle frecce. Non potendo morire perché immortale, cominciò per lui una sofferenza atroce. Zeus quindi accettò la vita di Chirone che poté finalmente morire in cambio dell'immortalità di Prometeo.[8]
Culto e devozioni[modifica | modifica wikitesto]
L'eroe benefattore dell'umanità godette di un culto molto diffuso ad Atene, tanto che la città gli dedicò delle feste pubbliche, dette «Prometheia», nelle quali si percorrevano le strade correndo con fiaccole accese per celebrare il più grande dono che Prometeo aveva fatto all'umanità: il fuoco.
A seguito della diffusione della cultura ellenistica, il mito entrò nell'iconografia di altre culture mediterranee, comprese quelle tirreniche[9].
Iconografia
Nelle opere artistiche, il Titano è generalmente raffigurato nudo e legato a una roccia, mentre un'aquila gli divora il fegato[10]. Nella scena si può scorgere una fiaccola accesa, simbolo della sua colpa e della sua punizione. Meno frequentemente l'eroe è ritratto davanti a una statua dalle fattezze umane, che talvolta poggia su di un piedistallo. In un'altra versione iconografica l'eroe, dopo aver rubato il fuoco, avvicina una torcia accesa alla statua per darle la vita. La commistione dei due episodi, in realtà indipendenti tra loro, è stata letta in chiave allegorica: la figura della statua rappresenta l'uomo toccato dalla grazia divina.
https://it.wikipedia.org/wiki/Prometeo
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