Le sue
origini non sono certe, ma affondano in quelle manifestazioni rituali legate
alla cultura e alla civiltà della Magna Grecia.
Probabilmente questa danza
nasce come ritmo liberatorio e si sviluppa poi anche con alcune simbologie più
“forti”, come il corteggiamento, che ne
determinano i particolari atteggiamenti coreografici. A viddaneddha è dunque il
ballo reggino per antonomasia e secondo la tradizione ogni festa si conclude
con musica e danza. Ne è un classico esempio la “tarantella della veglia” prima
della processione di Festa Madonna a Reggio Calabria che, con la veglia
notturna all’Eremo, costituisce un importante momento di festa e di attesa a
ritmo di musica.
La danza
della tarantella viene accompagnata tradizionalmente da alcuni strumenti caratteristici
della tradizione calabrese che sono: la
zampogna, sostituita in seguito dall’organetto, il tamburello e in alcune zone
si usavano la “pipita” o “frischiottu”. Una delle particolarità dei suoni della
tarantella sono sicuramente le passate, cioè le melodie, che variano di
località in località in località. Il nome di ogni tipo di suonata è dato dal
paese di provenienza. Tra le più comuni troviamo la suonata “Cardola“, tipica
del paese di Cardeto, quella “Mosorrofana” di Mosorrofa, o ancora la “Catafurota”
di Cataforio e tante altre…
Il
Simbolismo; è rappresentato dalla “rota” sta a significare il territorio di
appartenenza: il paese o il rione; con la danza si va a conquistare tale
spazio. Il simbolismo che si cela dietro i passi della danza a volte assume
significati diversi. Nel primo caso viene a simboleggiare un vero e proprio
duello per il predominio dello spazio delimitato dalla rota, nel secondo caso
si mima il rituale del corteggiamento in cui la donna in maniera contenuta e
pudica mostra civetteria che ricorda gli atteggiamenti della danza greca
classica.
Passi della
danza
Quando si
balla generalmente si eseguono dei passi “puntati” che seguono cioè il ritmo
del tamburello, ogni ballerino esprime la danza e la musica come meglio crede
ma sempre restando all’interno di un linguaggio coreutico condiviso e di
rispetto per la dama con cui sta ballando. Generalmente all’inizio del ballo i
due ballerini sono a distanza, man mano l’uomo si avvicina fino ad arrivare a
“chiedere le mani” alla donna, porgendogliele con il palmo verso l’alto, per il
ballo intrecciato. In molte zone della Calabria si balla senza mai prendersi
per mano o ballando spalla a spalla, cosa che comunque restava riservata alle
coppie di coniugi o tra parenti stretti. Nel ballo uomo-uomo o donna-donna ci
si poteva prendere dalle braccia. Una volta allacciata la coppia comincia a
girare in senso antiorario eseguendo dei cerchi in cui la donna cerca di
mantenere comunque il centro della rota. I passi fondamentali, che si basano su
delle terzine, possono essere fatti anche sul posto, ma generalmente vi è un
giro, un ruotare antiorario dei ballerini all’interno della “rota”. I passi
sono spesso doppi e ondeggiati. il movimento del corpo dalla cintura in giù e
dalla cintura in su sono indipendenti, il tronco è statico mentre le gambe sono
freneticamente in movimento. Un passo particolare è il soprappasso o
“intricciata” dove appunto i passi vengono intrecciati battendo un piede
all’esterno dell’altro in maniera alternativa. Un altro passo è il passo “illi
adornu” che si esegue quando si è al bordo del cerchio mimando il volo di un
uccello che cerca di incantare la preda per poi ghermirla e dirigendo a spirale
con l’intento di portare l’altro ballerino verso il centro della “rota”. Se
l’avversario cede andrà verso il centro e verrà sostituito dal Mastro di ballo,
in caso contrario potrebbe eseguire il passo: “tagghjapassu” (tagliapasso)
cercando di interrompere il percorso a spirale. Il tagghjapassu è usato dalla
donna per sfuggire al corteggiamento dell’astante. Quest’ultimo passo può
portare alla “schermijata” ovvero il mimo con l’indice ed il medio della mano
di un coltello che viene puntato prima contro l’astante e poi verso il cielo e
da quel momento si mimano fendenti e affondi.
La donna può
usare un foulard da agitare davanti all’avversario come sfida, mentre l’uomo
per mostrare le sue capacità con i suoi passi per conquistarla e riuscire come
simbolo di successo a scompigliarle i capelli (scapigghjarla), a toccarle il
viso (nzigarla) o a prenderle il foulard (n’nnopiarla).
Le braccia
assumono diverse posizioni a seconda se uomo o donna: l’uomo tenderà a
sollevarle e muoverle maggiormente, fino -nella danza uomo-uomo ad assumere
l’atteggiamento di una sfida-lotta con il coltello, mentre la donna
generalmente non le solleva mai oltre la spalla muovendole leggermente, o le
tiene poggiate sui fianchi con i palmi rivolti verso l’esterno simboleggiando
un’anfora greca che mette in risalto i fianchi ed i seni.
‘u mastr’i
ballu: una persona di rispetto che detta le regole della “rota”, seguite con
rispetto da tutt’i partecipanti alla danza. E’ lui che dirige la tarantella. E’
lui che invita i ballerini a ballare. E’ lui che forma le coppie e le separa; organizza,
dirige e porta avanti il ballo, dando indicazioni che vanno oltre la danza in
se stessa… Nessuno degli invitati al ballo, uomo o donna che sia, può rifiutare
l’invito a ballare! E’ lui che crea la
cosiddetta “rota”, la quale, per quella circostanza e in quel luogo, dovrà
es-sere una e una sola: in nessun caso, infatti, possono esserci due o più
“mastri di ballu”.
La ruota è
uno spazio circolare dentro cui si svolge la danza.
Nel passato
la “rota” era il luogo dentro sui si creavano rapporti sociali particolari e
momentanei che, alla fine ces-savano, si rafforzavano o potevano anche
degenerare. – Facimu rota! – grida il “mastro di ballo”. E tutti i
partecipanti, disponendosi a cerchio, si preparano a prendere parte al ballo – A manu girandu! – vengono chiamati ad
entrare in ballo a uno alla volta, ad un cenno del “mastro di ballo”. – Evviva
cu’ balla! – nella ruota in tal caso chi guarda e chi balla sono tutti sullo
stesso piano.La “ruota” è un palcoscenico dove si recita anche solamente
guardando o seguendo il ballo muovendosi sulle gambe oppure battendo
ritmicamente le mani. I presenti non sono una platea di spettatori, ma
rappresentano una sicura presa emotiva per i ballerini che volteggiano sotto
gli occhi dei parenti, degli amici e di quanti di lì a poco ne rimarranno
contagiati. Dentro e attorno alla ruota tutti sono attori. Chi balla e chi no,
sono tutti coinvolti nello stesso ritmo, perchè si trovano lì per vivere la
stessa emozione. E’ nella ruota che ‘u mastr’i ballu si muove, si destreggia,
si esibisce e detta le regole del ballo. E’ nella ruota che ‘u mastr’i ballu
jett’o pedi, nel senso che, bat-tendo il tacco della scarpa destra sul
pavimento, indica che la tarantella sta cambiando “passata” (ripetizione o
cambio del ritmo). Fora ‘u primu! Un altro giro sta, infatti, per cominciare,
per cui uno dei due ballerini (il primo ad essere entrato e quindi il più
stanco) deve abbandonare la ruota per lasciare il posto ad un altro. Ed ecco
lì: il nuovo ballerino entra, saluta con rispetto e riverenza il mastro di
ballo che si fa da parte, esita qualche istante in attesa di prendere il ritmo,
volteggia attorno al compagno o alla compagna che lo attende al centro della
pista, si scatena e… il resto è un vortice di delirio, lasciato alla fervida
fantasia dell’organettaru. Figure caratteristiche che nascono dalla tarantella
sono, com’è stato già detto, la sfida (nel ballo tra uomini) e il
corteggiamento (nel ballo uomo-donna). Nella sfida si viene ad intrecciare tra
i ballerini una fitta rete di sguardi, gesti, allusioni, riferimenti
particolari, sempre nei limiti del reciproco rispetto e dignità dei ballerini
stessi. Nel ballo di corteggiamento la sfida non esiste in quanto i ballerini
si cimentano in un susseguirsi di movimenti particolari che alludono a un fraseggio
d’amore. Alla coppia non è permesso alcun contatto fisico, ma soltanto è
accettato il contatto con le mani. La donna, che generalmente si muove di meno,
quasi sempre occupa il centro della ruota: posizione di prestigio e di
rispetto. Ovviamente da un paese ad un altro cambia il significato.
DI EUGENIO
BENNATO;
Il ritmo,
nelle terre dell’Italia del sud, è da
sempre legato ad un ballo maledetto, un ballo ghettizzato o proibito, la
tarantella, che per vivere o sopravvivere è costretta a giustificarsi come
pratica di guarigione da uno stato alterato, sorta di esorcismo in musica per
scacciare il demone che invasa e possiede il tarantato. Il mito della taranta,
nella leggenda del ragno nero che morde e costringe al ballo, nasce cosi
proprio nell’era dell’oscurantismo medievale quando le divinità pagane della
Magna Grecia sono messe a tacere dai nuovi apostoli di una religione più
razionale e composta, austera e castigata. Dionisio Bacco e Apollo, divinità
dei riti sfrenati dal vino, della poesia e dell’eros spariscono nella nuova
cultura che rinnegherà l’edonismo classico per il misticismo medievale. E così
dalle feste pubbliche del dio pagano, dalla festa del dio che balla, si passa
alla festa nascosta del dio che perdona, rappresentato dal suo apostolo San
Paolo protettore dei tarantati nel chiuso dei cortili o nel sagrato della
basilica di Galatina che al santo è dedicata e che accoglie ed assiste le
vittime della taranta nella fase finale della guarigione. La storia della
tarantella è dunque storia di repressione, una repressione che parte dalla
cultura egemone e si abbatte sulla cultura contadina, arcaica ed ostinatamente
legata alle favole e ai riti della terra e degli astri. E la cultura egemone
tollera a stento i residui di un’usanza che non riesce a sradicare del tutto e
nel concilio di Trento il ritmo viene bandito dalla musica come elemento
demoniaco. Ma nel frattempo la tarantella seppure nel sottobosco della civiltà
contadina più emarginata, continua a funzionare, a guarire e ad indurre in tentazione.
E i musici popolari continuano a suonare per ore ed ore le loro percussioni e a
ricreare con i flauti con le lire o con la voce le loro sensuali melodie. E
quando e dove il tarantato non c’è, quegli strumenti e quelle note risuonano
ancora e si diffondono per villaggi e regioni e le voci tese e i ritmi
estenuanti rimbalzano da una vallata all’altra e si spargono per tutta la
penisola. E le serate nei cortili delle masserie e le feste nei villaggi sono
animati dalla musica della tarantella, e del ballo che ancora tarantella anche
in assenza del tarantato propriamente detto. Quindi anche nei luoghi dove il
tarantismo si riduce e scompare, resta la tarantella, che lentamente si
modifica tramandandosi oralmente di generazione in generazione, e si evolve
nella funzione ora di ballo collettivo o di coppia, ora di processione nelle
feste rituali, ora di ritmo e di forma musicale e di poetica di serenate
portate alla finestra della innamorata. E’ questo il nucleo vitale della musica
popolare che nascostamente lancia i suoi bagliori lontano dalle feste delle
corti, dai teatri e dai salotti della nobiltà e della borghesia, dove si
celebra una musica di alto livello estetico fatta di geniali melodie, di grandi
orchestrazioni, di mirabili costruzioni armoniche, ma del tutto priva dell’urto
viscerale del ritmo e della percussione. Bisognerà aspettare il Novecento e
l’apporto tribale della musica negra d’America per assistere alla diffusione
degli strumenti ritmici nella musica colta occidentale. Ma nel frattempo nelle
campagne dell’Italia del sud il potere della taranta continua ad alimentare gli
accordi e gli accenti di una musica alternativa orgogliosa ed incontaminata.
FONTI: da
Internet
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