Παρασκευή 28 Σεπτεμβρίου 2018

Xenofobia, una parola dall’antica Grecia? In realtà la sua origine è molto più recente

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Nonostante la sua radice greca possa far pensare il contrario, la parola “xenofobia” ha origini moderne: fu usata per la prima volta in Francia all’inizio del XX secolo in relazione ad un caso giudiziario estremamente complesso e discusso. Ecco come nasce la “fobia dello straniero”.

Federica D'Alfonso, 28 SETTEMBRE 2018 

Quando nasce la “paura dello straniero”? Sono stati davvero i greci ad inventare quella parola così altisonante e complicata da pronunciare, per indicare il rifiuto, il terrore, nei confronti di qualcuno diverso da noi? In realtà il termine è molto più giovane di quello che pensiamo, e ha poco a che fare con il mondo greco dell’antichità: la xenofobia è invenzione recente.

Perché di “invenzione” si tratta: il fatto stesso che una parola così usata e sentita al giorno d’oggi abbia dovuto aspettare gli albori del XX secolo per essere usata la prima volta, la dice lunga sul fatto che lo stesso sentimento che racchiude sia in qualche modo artificioso, convenzionale, comodo in un dato periodo storico o politico.

Un’etimologia greca

Ma andiamo per gradi: cosa vuol dire la parola “xenofobia”? Si tratta di un composto delle due espressioni greche “xenos”, che vuol dire appunto “straniero”, e “fobos”, che come qualsiasi vocabolario ci spiega indica una “paura angosciosa per lo più immotivata e quindi vicina alla patologia”. Un rifiuto spaventoso, un’avversione generica non solo verso ciò che, a seconda della situazione, percepiamo come estraneo, ma contro tutto ciò che di quest’estraneità si manifesta: un sentimento radicato nella cultura e nel modo in cui scegliamo di guardare all’Altro. Un concetto complesso che negli anni si è guadagnato l’attenzione di psicologi e sociologi, tanto esso appare radicato e allo stesso tempo dissimulato nella nostra quotidianità. Percepire l’altro come “diverso” fa parte della natura stessa dell’essere umano: considerarlo un vero e proprio pericolo no, è un meccanismo non sempre naturale.

Che non sia un sentimento, se così vogliamo chiamarlo, naturale ce lo suggerisce la storia stessa della parola: nonostante l’origine greca di questo costrutto esso non compare mai nell’antichità con l’accezione che abbiamo scelto di dargli. Il rapporto conflittuale con l’Altro è sempre esistito: la stessa grecità era caratterizzata da complessi meccanismi sociali per i quali il diverso era da emarginare, e per “diverso” i Greci intendevano soprattutto gli schiavi (quindi una diversità sociale e di casta) e i “barbari”, coloro che “non parlavano la koiné”.

Un’origine recente: il caso Dreyfus

Quando nasce, dunque, la parola “xenofobia”? La sua origine è da rintracciare nel francese: fu infatti uno scrittore, vicino al movimento naturalista e al gruppo di intellettuali capeggiati da Èmil Zola, ad inserirla per la prima volta in uno dei suoi romanzi. Fu Anatole France, Premio Nobel per la letteratura nel 1921, ad utilizzare il termine nel libro “Monsieur Bergeret à Paris”, ultimo volume di una tetralogia dal titolo “Storia contemporanea” pubblicato nel 1901.

Non si tratta di un semplice romanzo, bensì di un’accurata ricostruzione storica che coinvolge, fra le altre cose, il ben noto “affare Dreyfus”: è proprio in relazione al caso giudiziario che coinvolse l’ufficiale francese di origini ebraiche, accusato e condannato per alto tradimento e spionaggio nel 1894, che il termine “xenofobia” viene inserito da France nella sua cronistoria romanzata. L’affare Dreyfus ebbe un’eco straordinaria sull’opinione pubblica, a causa della natura palesemente antisemita e razzista dell’accusa, contro la quale intellettuali come Zola e, appunto, Anatole France, si schierarono.

Il libro e l’opera dello scrittore non ebbero mai il successo sperato, e ben presto il suo nome venne iscritto dai Surrealisti nella lunga lista di narratori da rifiutare in quanto non conformi all’ideale estetico dell’epoca. Nonostante questo, la sua opera ha lasciato sicuramente un segno: dare un nome ad un fenomeno che, oggi più che mai, va analizzato e compreso.


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