Κυριακή 2 Σεπτεμβρίου 2018

Accadde Oggi, 2 Settembre: 31 a. C., la Battaglia di Azio, che segnala fine delle guerre civili

 Accadde Oggi, 2 Settembre: 31 a. C., la Battaglia di Azio, che segnala fine delle guerre civili

Accadde Oggi, 2 Settembre: 31 a. C., la Battaglia di Azio, che segnala fine delle guerre civili e l’istaurarsi dell’Impero di Ottaviano Augusto – 1666, Londra brucia!

di Daniele Vanni, 2 settembre 2018  

Al largo della costa occidentale greca, la flotta di Ottaviano sconfigge quella di Marco Antonio e Cleopatra. E’ la fine delle guerre civili che hanno annientato la classe senatoriale romana. Inizia l’Impero.

2 Settembre 31 a.C. Azio – Guerra civile romana: Battaglia di Azio – Al largo della costa occidentale greca, la flotta di Ottaviano sconfigge quella di Marco Antonio e Cleopatra.

Nel 509 a.C. con una precocità impressionante, rispetto agli altri popoli, i Romani erano già passati dalla forma regale alla repubblica!

Le smisurate conquiste che li dovevano portare ad essere padroni del mondo, però, non dettero a Roma, la tranquillità sperata.

Finchè fuori ci fu il nemico, il pericolo che poteva sopraffarli, ci fu coesione interna. Ma una volta sconfitti e annientati anche i Cartaginesi, gli ultimi che potevano impensierirli, cominciarono a prendere corpo lotte interne, conflitti di classe, animati soprattutto dal fato che le conquiste cominciavano ad essere di vantaggio a pochi: senatori, latifondisti e capitalisti che ammassavano sempre più e avevano sempre più schiavi, mentre i piccoli proprietari, i piccoli coltivatori, si sentivano sempre più emarginati e qualche volta lo erano, perché le guerre imponevano di pagarsi armi e vettovaglie e gli affari o il campo lasciati soli languivano e così il soldato-contadino o il soldato-artigiano o commerciante si impoverivano e non di rado cadevano in mano degli usurai, costretti poi a vendere tutto quanto di proprietà a basso prezzo ed a d ingrossare una plebe tumultuosa e scontenta.

I primi grossi tumulti si ebbero con Tiberio Gracco che nel 133 avanzò riforme rivoluzionarie e per questo fu ucciso con altri 300 e gettato nel Tevere! E poi fu tutto un susseguirsi di lotte civili: l’assassinio dell’altro Gracco, Gaio. E poi Mario e Silla, i triumvirati, Cesare e Pompeo..ci si avviava e ci si avvitava (l’esercito da tempo era diventato a busta-paga con strapotere dei generali, detti imperatori) verso l’impero!

Adesso era la volta dei Cesaricidi: Cassio, Bruto, Enobarbo, Varo…

Tutti rei di avere ucciso chi non aveva osato farsi dittatore, ma di averlo ucciso con 18 coltellate delle quali (già a Roma si facevano autopsie sui cadaveri!) solo la seconda mortale!

Primi fra tutti: Bruto, il “figlio” di Cesare e Cassio, sconfitti nella battaglia di Filippi, in Macedonia, dove Marco Antonio e Ottaviano (con il terzo triumviro Lepido) sconfiggono i due cospiratori e assassini che si suicidano. Romani, i migliori eserciti (e civiltà! del mondo) contro Romani!

Ma, subito dopo: Marco Antonio contro Ottaviano! Con il primo, già luogotenente di Cesare, che favoleggia un regno orientale a Roma e si con l’Egitto e Cleopatra, che da Cesare aveva avuto il figlio Cesarione…

E si arriva alla resa dei conti: ancora Romani contro Romani. Questa volta ad Azio, nel mare ionio-greco. Marco Antonio e Cleopatra non portano neanche a termine la battaglia e fuggono in Egitto, dove oggi alcuni archeologi pensano di aver individuato le tombe. E poco dopo su ordine di Ottaviano anche Cesarione sarà strandgolato.

La battaglia navale sarà contraddistinta dalla novità dell’arpagone (nome che sarà reso celebre dalla commedia di Moliere per indicare l’avaro che attira a sé tutto quello che può!). Questa era una recente invenzione romana: si lanciavano degli uncini con una balista, una grande balestra. Questi uncini erano collegati con un anello ad un trave, rivestito di ferro perché non fosse tagliato di circa tre metri, legato, con un altro anello, a molte corde, con le quali si attirava la nave arpionata, per poi abbordarla.

Grande incendio di Londra, quello del numero della Grande Bestia, il 666!

In molti alberghi o negozi di Londra, si trovano ancora quadretti o cornicette che iniziano con: “London burns, London burns!…”

I visitatori più attenti, ricordando la Luftwaffe e le V1 e V2, non tardano a capire il rapporto dei Londinesi con il fuoco, ma, solo chiedendo, sappiamo che le loro case antiche fatte di legni di nave e paglia, avevano già affrontato altri incendi spaventosi!

Data  2 settembre – 5 settembre 1666

Danni: distruzione dell’80% della City di Londra, distrutte più di 13.000 case e 87 chiese

Responsabili: incendio partito dal forno di Thomas Farrinor

Il grande incendio di Londra fu un incendio che si propagò nella City di Londra dal 2 al 5 settembre 1666, distruggendola in gran parte.

Prima di allora la stessa definizione di “grande incendio” fu utilizzata per  un altro grande incendio che, nel 1212 (anche qui la cabala dei numeri…) aveva distrutto una gran parte della città.

In seguito, il raid incendiario del 29 dicembre 1940, condotto dalla Luftwaffe sulla città, divenne noto come il secondo grande incendio di Londra.

L’incendio del 1666 fu una delle più grandi calamità nella storia di Londra. Distrusse 13.200 abitazioni, 87 chiese parrocchiali, 6 cappelle, 44 Company Hall, la Royal Exchange, la dogana, la cattedrale di Saint Paul, la Guildhall, il Bridewell Palace e altre prigioni cittadine, la Session House, quattro ponti sul Tamigi e sul Fleet, e tre porte della città.

Il numero di vite perse nell’incendio non è conosciuto, ed è incalcolabile in una città senza censimenti precisi e riscontri moderni, anche se la tradizione storica lo ritiene ridotto.

L’incendio ebbe profonde conseguenze sulla storia di Londra, anche dal punto di vista architettonico e topografico, poiché per effetto della morte dei ratti che ne propagavano l’epidemia determinò la fine della grande peste di Londra.

Enormi furono le conseguenze anche sull’urbanistica della città che fu ridisegnata per intero a opera di Christopher Wren, Robert Hooke, e Samuel Pepys per volere di Carlo II d’Inghilterra.

Le cause

L’incendio scoppiò nel mattino di una domenica, nel settembre 1666, nella casa di Thomas Farrinor a Pudding Lane, un fornaio del re Carlo II e probabilmente l’incendio scoppiò, perché Farrinor non spense il forno prima di ritirarsi la sera.

Poco dopo la mezzanotte sarebbero stati alcuni tizzoni ardenti a dar fuoco alla legna posta nelle vicinanze.

Farrinor riuscì a scappare dall’edificio in fiamme uscendo da una finestra del piano superiore insieme alla famiglia. La sua domestica invece non riuscì a fuggire e fu la prima vittima a morire tra le fiamme.

Nel giro di un’ora dall’inizio dell’incendio, il lord sindaco della City di Londra, sir Thomas Bloodworth, venne svegliato dalla notizia. Non ne fu comunque impressionato, tanto da dichiarare che “una donna potrebbe estinguerlo con una pisciata”.

Molti degli edifici di Londra all’epoca erano costruiti con materiali combustibili, ma ben resistenti al fuoco, come il legno strutturale, a cui però venivano accostati altri materiali altamente infiammabili, come la paglia.

Le scintille che partirono dal negozio del fornaio ricaddero sulle costruzioni adiacenti. Una volta innescato, l’incendio cominciò a diffondersi sotto la spinta di un fortissimo vento.

Ma la diffusione del fuoco fu aiutata anche dal fatto che gli edifici erano costruiti troppo vicini l’uno all’altro, con solo stretti vicoli tra loro.

C’è da considerare anche il numero davvero immenso dei ratti che scappavano da fogne e case incendiate, e attinti dal fuoco, propagandolo dappertutto!

« Poi, la città si scosse, e gli abitanti tremarono e fuggirono via con grande stupore dalle loro case, per paura che le fiamme li potessero divorare: rattle, rattle, rattle, era il rumore del fuoco che colpiva l’orecchio tutto intorno, come se ci fossero stati mille carri di ferro a battere sulle pietre. Sarebbe stato possibile vedere le case cadere, cadere, cadere, da un lato all’altro della strada, con enorme rumore, lasciando le fondamenta aperte alla vista del cielo. »

L’azione delle autorità

Nel 1666, Londra andava appena riprendendosi dalla peggiore pestilenza della sua storia (dopo quella del 1349-1350 e denominata Peste nera) ed anche questo influì in maniera negativa sul propagarsi dell’incendio, poiché per causa della morte o paura della peste, molte case erano disabitate.

Inoltre pochi furono coloro che si apprestarono a spegnere le fiamme in quanto ridotto era il numero degli abitanti e ridotto si era il numero di possibili volontari in grado di accorrere verso lo spegnimento delle fiamme.

La procedura standard all’epoca per fermare la diffusione del fuoco consisteva nell’abbatterle le case antistanti alle fiamme per creare delle “fasce tagliafuoco” che privassero l’incendio dal materiale combustibile, ma ciò non fu possibile per la condotta del Lord Sindaco che, preoccupato dai costi di ricostruzione, si dimostrò titubante nel dare l’ordine di abbattimento.

Il sindaco Lord Thomas Bloodworth fece la scelta sbagliata, affidando il compito di spegnere le fiamme a squadre di emergenza al soldo di alcuni uomini benestanti di Londra ma questi possedevano molte proprietà nella città ed erano disposti a chiudere un occhio per far divampare le fiamme verso i magazzini e le proprietà di altri nobili loro concorrenti, così le squadre furono inviate a demolire le case, ma spesso le macerie erano troppe per essere sgomberate prima dell’arrivo del fuoco ed in alcuni casi s’incendiavano prima di essere rimosse facilitandone la diffusione.

Il fuoco divampò incontrollato per tre giorni arrestandosi nei pressi di Temple Church ma proseguendo verso Westminster. Il duca di York (poi re Giacomo I d’Inghilterra), ebbe la presenza di spirito di ordinare la demolizione della Biblioteca (Paper House) per bloccare le fiamme.

Solo nella giornata di mercoledì (il quarto giorno) il sistema di circoscrizione delle fiamme riuscì a bloccarne la diffusione, quando l’area distrutta andava da Whitehall ad ovest fino alla Torre di Londra ad est.

Distruzione

Circa 430 ettari, ben l’80% della City, andarono distrutti: 13.200 case e 87 chiese, tra cui la cattedrale di San Paolo[2]. Mentre solo 9–16 persone vennero riportate come morte nell’incendio, lo scrittore Neil Hanson (The Dreadful Judgement) crede che il vero numero sia nell’ordine delle centinaia o delle migliaia. Hanson ritiene che gran parte delle vittime furono persone povere, i cui corpi vennero cremati dal calore intenso dell’incendio, e quindi i loro resti non vennero mai ritrovati. Questa ipotesi resta comunque controversa.

All’interno delle mura esso consumò quasi cinque sesti dell’intera città e fuori dal perimetro delle mura colpì uno spazio esteso quasi quanto la sesta parte, che non fu toccata dal fuoco all’interno. Praticamente nessun edificio che venne a contatto col fuoco rimase in piedi. Edifici pubblici, chiese e abitazioni vennero accomunate da un unico destino.

Nel resoconto sommario di questa grande devastazione, dato in una delle iscrizioni sul monumento, e che venne estratto dai rapporti dei periti nominati dopo l’incendio, si dichiara che:

« Le rovine della città sono di 436 acri (1,8 km²), 333 acri (1,3 km²) entro le mura, e 63 acri (255.000 m²) nelle libertà della città; che, di ventisei circoscrizioni, ne distrusse completamente quindici, e ne lasciò altre otto in frantumi e semi bruciate; e che consumò 400 strade, 13.200 abitazioni, 89 chiese [oltre le cappelle]; 4 delle porte della città, la Guildhall, molte strutture pubbliche, ospedali, scuole, biblioteche, e un vasto numero di edifici dello Stato. »

Per quanto distruttive fossero state le conseguenze immediate dell’incendio, dei suoi effetti remoti beneficiarono le generazioni successive. Intanto debellò completamente la Grande peste di Londra, che durante il suo imperversare era costata la vita a non meno di 100.000 persone. Gran parte delle strutture pubbliche, la regolarità e bellezza delle strade e la grande salubrità ed estrema pulizia di gran parte della città di Londra, sono dovute a questo evento.

Profezie e superstizioni

C’erano state molte profezie di un disastro che avrebbe colpito Londra nel 1666, poiché nei numeri arabi comprendeva il Numero della Bestiae in numeri romani era una lista in ordine declinante (MDCLXVI)!

Walter Gostelo scrisse nel 1658 «Se il fuoco non fa ceneri della città, e delle tue ossa anche, ritienimi un bugiardo per sempre! … il decreto è emesso, pentiti, o brucia, come Sodoma e Gomorra!» Sembrò a molti, che uscivano da una guerra civile e dalla peste, il terzo cavaliere dell’apocalisse.

Dopo l’incendio, iniziò a circolare una voce per cui questo faceva parte di un complotto cattolico. Un orologiaio francese squilibrato, di nome Robert “Lucky” Hubert, confessò di essere un agente del Papa e di aver appiccato il fuoco a Westminster. In seguito cambiò la sua storia dicendo di averlo appiccato nel forno di Pudding Lane. Venne condannato, nonostante le prove evidenti che lo scagionavano, e venne impiccato a Tyburn il 28 settembre.

A partire dal 1667 il Parlamento raccolse fondi per la ricostruzione, tassando il carbone e la città venne riedificata sul piano stradale esistente, ma in mattoni e pietra e con un migliore sistema fognario e viario. Questa è la ragione principale per cui Londra oggi è una città moderna che mantiene un disegno medioevale delle strade.

Christopher Wren e Robert Hooke ricostruirono anche la Cattedrale di San Paolo 11 anni dopo l’incendio.

Vennero apprese lezioni sulla prevenzione degli incendi, e quando l’attuale Globe Theatre venne inaugurato nel 1997, fu il primo edificio di Londra con un tetto in paglia dall’epoca dell’incendio.


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