Κυριακή 2 Σεπτεμβρίου 2018

LE RANE DI ARISTOFANE: DALLE GRANDI DIONISIE ALLA RAI

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Il duo comico di Ficarra e Picone, forte del successo della scorsa stagione teatrale a Siracusa, porta sul piccolo schermo “Le Rane” di Aristofane: dopo tanti anni, un’opera teatrale greca torna in prima serata sulla RAI.           

MICHELE PORCARO - SET 2, 2018

Dopo la panchina di Zelig, cinque film e le sporadiche conduzioni di Striscia la Notizia, il duo comico di Ficarra e Picone si presenta al pubblico nelle inedite vesti di commedianti greci. Ieri sera alle 21:40 su Rai 1, i due comici palermitani sono stati infatti i protagonisti delle Rane di Aristofane, la commedia ateniese che andò in scena per la prima volta nel 405 a.C.

L’opera narra la discesa di Dioniso, dio del vino e degli agoni tragici (qui magistralmente interpretato da Salvatore Ficarra) e del suo servo Xantia (la spalla comica Valentino Picone), nei meandri dell’Ade, l’Oltretomba greco. La loro missione è tentare di riportare in vita il tragediografo Euripide, l’unico che può riportare il teatro greco ai fasti di un tempo. Le Rane si configura come una dura critica alla società ateniese e alla decadenza della città, devastata dalla guerra contro Sparta e sempre più nelle mani dei demagoghi corrotti. In più tratti della commedia inoltre, Aristofane lancia pesanti invettive e velate frecciatine alla battaglia dell’Arginuse, la naumachia in cui gli strateghi ateniesi abbandonarono i naufraghi in balia delle onde. Ma il viaggio nel regno delle anime è tutt’altro che facile per Dioniso-Ficarra e per Xantia-Picone, che dovranno vedersela con il ghiottone e beffardo Eracle, con un coro di Rane che cantano a cappella, un tiaso di iniziati ai riti misterici e il furibondo Eaco, solo per citarne alcuni. Canti, balli, equivoci e doppi sensi rendono la vicenda sempre più interessante fino al bizzarro epilogo finale. L’adattamento scenico firmato da Giorgio Barberio Corsetti (regia teatrale) e da Duccio Forzano (regia televisiva) risulta nel complesso più che buono, specie in un periodo storico come il nostro dove, per rendere più digeribili le grandi opere della classicità spesso si è sentita la necessità di ricorrere a rivisitazioni forzate e a riletture in salsa moderna. Certo, c’è da dire che non mancano anche qui piccole “licenze sceniche”, a partire dai microfoni in bella vista nelle mani dei coreuti e dal vestiario “dandy” e “retro” che sfoggiano i due tragediografi Eschilo ed Euripide. Ma l’integrità delle Rane rimane inscalfita, e la vivacità che Aristofane aveva conferito alla commedia risulta intatta, senza particolari forzature che rischiano di far arricciare il naso ai più puristi. Anzi, le bellissime musiche composte dai SeiOttavi, l’esilarante comicità di Ficarra e Picone risaltata dal marcato accento siculo, le bellissime coreografie realizzate dall’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) e la suggestiva cornice del Teatro Greco di Siracusa regalano un’indimenticabile serata agli spettatori a casa che, proprio come gli ateniesi della fine del V secolo a.C. sugli spalti del Grande Teatro di Dioniso, ridono di fronte ai maliziosi versi di Aristofane.

Le Rane di Aristofane è una commedia che si presenta come una denuncia contro la decadenza, una sagace parodia della corruzione della società in cui anche l’uomo contemporaneo può immedesimarsi. E quando la realtà sembra non offrire alcuna soluzione, lì interviene la satira: grande merito da riconoscere alla regia e all’INDA è quella di aver mantenuto i nomi dei politici e dei demagoghi contro cui Aristofane si scaglia “facendo nome e cognome” e apostrofandoli con epiteti poco gentili. La fedeltà al testo aristofaneo è quasi totale, con l’aggiunta di qualche battutina per dare maggior rilievo al personaggio di Xantia, che nell’opera originale ha un ruolo sempre più marginale negli ultimi episodi. L’unica, grave, dimenticanza di questa trasposizione è stata l’omissione di un episodio, probabilmente tagliato sia per motivi di tempo sia perché in pochi avrebbero potuto comprenderlo a pieno. Lo riporteremo di seguito: siamo nelle profondità dell’Ade, e Dioniso deve decidere chi riportare in vita tra Eschilo ed Euripide. Entrambi i tragediografi fanno a gara per dimostrare al dio di essere il migliore, ma soprattutto per recriminare la mediocrità dell’avversario. In questa battaglia a colpi di stile e retorica, i due poeti cominciano col mettere a confronto i loro prologhi tragici (ovvero la parte della tragedia che costituiva il preludio o l’antefatto del dramma stesso). Euripide comincia con l’accusare il “collega” di numerose incongruenze ed errori grossolani presenti nei suoi prologhi:

ESCHILO: (recitando l’Orestea) 
“…a me che qui t’invoco sii salvatore e alleato: a questa terra ecco in cui io rientro e ritorno.”  
EURIPIDE:
Il bravo Eschilo ci dice due volte la stessa cosa.
DIONISO:
Come, due volte?          
EURIPIDE:
Sta’ attento alle parole e te lo spiego. “A questa terra ecco in cui io rientro” — dice — “e ritorno”. Ebbene: “rientro” è la stessa cosa di “ritorno”. 
DIONISO:
Già, per Zeus, è come se uno dicesse al vicino: “Prestami la casseruola o, se preferisci, il tegame”.             

Eschilo, dal canto suo, prova invece con un artificio spassoso che i prologhi euripidei sono monotoni e ripetitivi:

ESCHILO:
E io, per Zeus, non starò a grattare ogni tua parola, verso per verso: ma, con l’aiuto degli dèi, questi prologhi li distruggerò con una boccetta.
EURIPIDE
Con una boccetta?        
ESCHILO:
Con una sola. Perché tu li componi in modo che dentro ci sta tutto, nei versi: una pelliccetta, una boccetta, una borsetta. E te lo mostro subito.         
EURIPIDE:
Davvero, me lo mostri?              
ESCHILO:
Certo.
EURIPIDE:
“Si dice che Egitto, venuto sulla nave Argo con i suoi cinquanta figli…”  
ESCHILO:
….perse la boccetta!     
DIONISO:
Ma che è questa boccetta? Saranno guai per lui! Ma recitagli un altro prologo: voglio vedere ancora.
EURIPIDE:
“Dioniso, coi tirsi e le pelli di cervo, balzando in danza sul Parnaso…”    
ESCHILO:
…perse la boccetta.      
DIONISO:
Ahimè, questa boccetta ci ha colpito un’altra volta!      

L’Euripide interpretato da Gabriele Benedetti assomiglia più a un Oscar Wilde piuttosto che a un tragediografo ateniese del V secolo a.C.

(Aristofane, Le Rane, vv. 1151-1157; 1195-1216. Traduzione personale dal testo greco di Michele Porcaro)

Un taglio forse superfluo, dato che sicuramente il buon Salvatore Ficarra (e anche Gabriele Benedetti e Roberto Bustioni, rispettivamente Euripide ed Eschilo) avrebbero saputo rendere bene, ma che la regia ha ritenuto doveroso per una resa più scorrevole della commedia. Lodevole, e allo stesso tempo quasi inverosimile, è stata anche la scelta della RAI di portare un’opera di tale caratura nel palinsesto di prima serata del sabato. Indubbiamente, la presenza di due nomi noti nel mondo nello spettacolo italiano come quelli di Ficarra e Picone attira l’interesse del grande pubblico, che di suo ha notizie vaghe e confuse della commedia attica e al quale Aristofane non è nulla di più che un nome da libro di scuola (mentre invece è importante ricordare che Aristofane è riconosciuto come il padre della commedia!). Già in passato, in uno sceneggiato della RAI sull’Edipo Re, il ruolo del tragico re tebano fu affidato al leggendario Vittorio Gassman (senza contare la presenza di un allora ignoto Gigi Proietti nel ruolo di un messo beotico). In questo caso invece i ruoli di Xantia e Dioniso sono stati affidati a due comici che, nel corso di tutta la loro produzione televisiva e cinematografica, non hanno mai cessato di mettere a nudo le fatiscenze e le contraddizioni di un’Italia che, proprio come l’Atene del 405 a.C., non sta attraversando uno dei suoi periodi migliori e vive di ricordi passati.

Ma il fascino di Aristofane sembra non tramontare mai, e anche dopo 2500 anni… le Rane continuano a gracidare.

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