(MB. Posto qui questo importantissimo articolo di
Evans-Pritchard perché dimostra le conseguenze disumane della dittatura
tecnocratica – ossia della perdita di
sovranità su economia e moneta . Gli
Stati hanno ceduto potere e sovranità alle tecnocrazie non elette
(autoselezionatesi) , in base alla
mitica credenza che i politici sbagliano
per ignoranza o perché sono corrotti –
mentre i tecnocrati sono “scientifici”, ossia altamente competenti professionalmente,
autonomi rispetto alle influenze politiche, quindi oggettivi e neutrali. Ed eticamente
senza macchia. Il rapporto qui citato
mostra al contrario che i tecnocrati dell’FMI hanno sacrificato la “scienza” e
l’oggetività ad uno scopo politico non dichiarato – salvare l’euro, salvare le
banche tedesche e all’inferno il popolo
ellenico – e inoltre sono
professionalmente incompetenti, sbagliando clamorosamente valutazioni e
previsioni, finendo nel pensiero magico
(“La buona fatina della fiducia” avrebbe risolto tutto, schernisce
Evans-Pritchard), e nascondendo la propria incompetenza anche agli organi di
controllo. Ed hanno fatto pagare la loro incompetenza al
popolo greco, nel modo più efferato e brutale, senza alcuna pietà, in gran
parte per celare la propria stupidità e
incapacità professionale. E questo, nel Fondo
Monetario. Ma Unione Europea e BCE sono governati dalle stesse tecnocrazie che
scambiano per “scienza” la loro ideologia e auto-soddisfazione, i loro conformismi spietati: non si fermano a nulla pur di “salvare l’euro” dai popoli. Come liberarsi d a questa dittatura che
sta letteralmente uccidendo le
popolazioni d’Europa? Essa si è messa al
riparo dalle rivoluzioni: queste possono rovesciare governi politici; ma non caste di “scienziati” decise a
nascondere i loro errori, che si sono
esentate dalle conseguenze anche penali dei loro atti di arbitrio, e che hanno in mano le leve del potere vero – a
ci certo non rinunceranno gratis. E lo
useranno per abbattere il governo attuale. Allora i media diranno: “i mercati”
hanno punito i populisti).
Di Ambrose Evans-Pritchard, 29 luglio 2016
Una scioccante indagine interna del Fondo rivela che la
Grecia è stata sacrificata per salvare l’euro e le banche del Nord Europa.
Le più alte cariche del Fondo monetario internazionale
hanno:
1 ) ingannato il proprio board,
2) fatto una serie di clamorosi errori di giudizio sulla
Grecia,
3) sposato incondizionatamente la causa dell’euro,
4 ) ignorato tutte le avvisaglie di un’imminente crisi e
5) trascurato un aspetto di base delle unioni monetarie.
Questo è il verdetto lacerante dell’Independent
Evaluation Office (IEO), un organismo indipendente all’interno dell’istituto di
Washington, sulla disastrosa gestione della crisi dell’euro da parte del Fondo.
Il rapporto di 650 pagine dell’IEO rivela «cultura della noncuranza», incline
all’analisi «superficiale e meccanicista», e un sistema di governance
apparentemente fuori controllo.
L’ufficio di valutazione indipendente del fondo è
autorizzato a passare sopra la testa del direttore generale, Christine Lagarde,
e risponde unicamente al consiglio dei direttori esecutivi, molti dei quali –
in particolar modo quelli provenienti dall’Asia e dall’America Latina – sono
furiosi per il modo in cui alcuni ufficiali dell’UE hanno utilizzato il Fondo
per salvare la propria unione monetaria ed il proprio sistema bancario.
I tre salvataggi della Grecia, del Portogallo e
dell’Irlanda sono stati senza precedenti per dimensioni e carattere. Ai tre
paesi è stato permesso di prendere in prestito oltre il 2,000% della loro quota
allocata – più di tre volte il limite normale –, pari all’80% di tutti i
prestiti del Fondo tra il 2011 ed il 2014.
Ammissione sorprendente:
il rapporto dice che i propri investigatori non sono stati in grado di
accedere a documenti chiave o di gettare luce sulle attività della «task-force
segreta» assegnata ai salvataggi.
«Molti documenti sono stati preparati al di fuori dei
canali prestabiliti; la documentazione scritta relativa alle questioni più
delicate è irreperibile. L’IEO in alcuni casi non è stato in grado di
determinare chi ha preso certe decisioni o quali informazioni fossero
disponibili, né è stato in grado di valutare i ruoli giocati dal management e
dallo staff del Fondo», si legge nel rapporto.
Il rapporto afferma che l’intero approccio del Fondo alla
zona euro è stato caratterizzato dal “pensiero di gruppo” (Group-Thinking: vedete la voce su Wikipedia)
. Non esistevano piani di riserva su come affrontare una crisi sistemica nella
zona euro – o su come gestire la politica di un’unione monetaria multinazionale
– perché era stato escluso a priori che ciò potesse accadere.
«Prima del lancio dell’euro, le dichiarazioni pubbliche
dell’FMI tendevano a sottolineare i vantaggi della moneta comune», si legge.
Alcuni membri dello staff avevano avvertito che il progetto dell’euro
presentava delle falle fondamentali, ma sono stati ignorati. «Dopo un intenso
dibattito interno, è prevalsa una posizione favorevole a quello che veniva
percepito come il progetto politico dell’Europa».
Questo pregiudizio pro-euro ha continuato a condizionare
il pensiero del Fondo per anni. «L’FMI è rimasto ottimista circa la solidità
del sistema bancario europeo e la qualità della vigilanza bancaria nei paesi
dell’area dell’euro fino a dopo l’inizio della crisi finanziaria globale, a
metà del 2007. Questo era in gran parte dovuto alla disponibilità dell’FMI di
prendere per buone le rassicurazioni delle autorità nazionali e della zona
euro», sostiene il rapporto. L’FMI ha
minimizzato costantemente i rischi rappresentati dai crescenti deficit
delle partite correnti e dal deflusso di capitali verso la periferia della zona
euro, e ha trascurato il pericolo di un “arresto improvviso” di tali flussi.
«La possibilità di una crisi da bilancia dei pagamenti in
un’unione monetaria era considerata praticamente inesistente». A metà del 2007,
l’FMI pensava ancora che «in vista dell’adesione della Grecia all’unione
monetaria, la capacità di reperire finanziamenti esteri non è un problema».
Alla radice del problema vi era l’incapacità di capire che un’unione monetaria
senza Tesoro o unione politica è intrinsecamente vulnerabile alle crisi del debito.
In caso di shock, gli Stati non hanno più gli strumenti sovrani per difendersi:
Al rischio di
svalutazione si sostituisce il rischio
bancarotta.
«In un’unione monetaria, in cui i paesi rinunciano ad una
politica monetaria indipendente e alla variabile del tasso di cambio, le
dinamiche del debito cambiano», nota il rapporto. Questi problemi vengono poi
amplificati dall’esistenza di un «circolo vizioso tra banche e governi». Il
fatto che l’FMI non sia riuscito ad anticipare nulla di tutto ciò è una grave
colpa scientifica e professionale.
In Grecia, il Fondo monetario internazionale ha violato
uno dei suoi princìpi cardine, sottoscrivendo il primo bailout del paese, nel
2010, pur sapendo di non poter offrire alcuna garanzia sul fatto che il
pacchetto avrebbe portato i debiti del paese sotto controllo o messo il paese
sulla via della ripresa, ed erano molti a sospettare che il piano fosse
condannato al fallimento fin dall’inizio.
Il Fondo ha aggirato questa regola riscrivendo
radicalmente la propria politica in materia di salvataggi, per consentire una
deroga (da allora abolita) in caso di rischio di contagio sistemico. «Il board
non è stato consultato o informato», sostiene il rapporto. I direttori hanno
scoperto la bomba «nascosta nel testo» del pacchetto greco, ma a quel punto era
troppo tardi.
Quando è stato trascinato nella crisi greca, l’FMI si
trovava in una situazione poco invidiabile. La crisi dei mutui subprime era
ancora fresca nella memoria di tutti. «Sono state espresse preoccupazioni in merito
al fatto che un tale credit event potesse diffondersi ad altri membri della
zona euro, e più in generale al resto della fragile economia globale». La zona
euro non aveva alcuna difesa contro un eventuale contagio e le sue banche già
vacillavano. La Banca centrale europea non aveva ancora assunto il ruolo di
prestatore di ultima istanza. Una ristrutturazione del debito greco veniva
ritenuta troppo rischiosa.
Anche se le azioni del Fondo potevano apparire
giustificabili nel pieno della crisi, la dura verità è che la Grecia è stata
sacrificata per salvare l’euro e le banche del Nord Europa. La Grecia ha dovuto
sopportare una terapia shock a base di austerità senza le tradizionali
compensazioni prescritte dell’FMI: un taglio del debito e una svalutazione
competitiva.
Un altro rapporto sulla saga greca spiega che il paese è
stato costretto ad una stretta fiscale violentissima, pari all’11% del PIL nei
primi tre anni. Più la situazione peggiorava, più il paese era costretto a
tagliare, in quello che l’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis ha
definito “waterboarding fiscale”.
Lo sforzo di imporre una “svalutazione interna” pari al
20-30% del PIL per mezzo della deflazione salariale si è rivelato
controproducente, perché ha ridotto la base produttiva del base e fatto
schizzare verso l’alto la dinamica del debito pubblico. «C’è un’incoerenza di
fondo tra il tentativo di riguadagnare competitività di prezzo e
contemporaneamente ridurre il rapporto debito-PIL», nota il rapporto.
L’FMI riteneva che il moltiplicatore fiscale sarebbe
stato pari a 0,5 quando in realtà è stato cinque volte più alto, data la
fragilità del sistema greco. Il risultato è che il PIL nominale si è contratto
un 25% in più rispetto alle previsioni del Fondo, mentre la disoccupazione è schizzata
al 25% (invece del 15% previsto). «L’entità degli errori di previsione sulla
Grecia è semplicemente straordinaria», si legge.
La teoria era che la “buona fatina della fiducia” avrebbe
risollevato la Grecia dal tracollo indotto dalle politiche di austerità. Piani
«molti ottimisti» che prevedevano di raccogliere 50 miliardi dalle
privatizzazioni si sono rivelato del tutto irrealistici. Alcuni beni non
avevano nemmeno una chiara titolarità giuridica. Questa «mancanza di realismo»
cronica è durata fino alla fine del 2011. A quel punto, però, il danno era
fatto.
L’ingiustizia è che il costo dei salvataggi è stato
pagato di comuni cittadini greci, mentre non si è voluto ammettere che il vero
motivo della politica della troika era quello di salvare l’unione monetaria.
Per aggiungere la beffa al danno, i greci sono anche stati ripetutamente
accusati di essere i colpevoli della loro disgrazia. Questa ingiustizia – la
radice di tanta amarezza in Grecia – è stata finalmente riconosciuta. «Se la
preoccupazione principale era quella di evitare il contagio internazionale,
allora la comunità internazionale avrebbe dovuto prendere in carico almeno una
parte del costo di tale prevenzione», conclude il rapporto.
Meglio tardi che mai.
Pubblicato sul Telegraph il 28 luglio 2016. Traduzione di
Thomas Fazi in esclusiva per Eunews/Oneuro.
Tecnocrati non
hanno bisogno di pensare : usano il Group-Think
(da Wikipedia)
Groupthink, o pensiero di gruppo[1], è il termine con
cui, nella letteratura scientifica, si indica una patologia del sistema di
pensiero esibito dai membri di un gruppo sociale quando questi cercano di
minimizzare i conflitti e raggiungere il consenso senza un adeguato ricorso
alla messa a punto, analisi e valutazione critica delle idee. Creatività individuale,
originalità, autonomia di pensiero, vengono tutti sacrificati in cambio al
perseguimento dei valori di coesione del gruppo; allo stesso modo, sono
smarriti quei vantaggi derivanti da un ragionevole bilanciamento di scelte e
opinioni diverse o contrapposte, vantaggi che possono di norma essere ottenuti
agendo come gruppo nel prendere decisioni.[2]
Il fenomeno del groupthink attecchisce in quei contesti
sociali in cui i membri di un determinato gruppo evitano di promuovere punti di
vista che vadano al di fuori di quella zona confortevole delimitata dal
pensiero consensuale. I motivi che inducono a simili comportamenti sono vari:
tra essi vi può essere il desiderio di evitare di proporsi in situazioni che,
nel giudizio del gruppo, possano essere tacciate come ingenue o stupide, o il
desiderio di evitare l’imbarazzo o l’ira di altri membri del gruppo.
Il risultato di tali comportamenti, nel momento in cui il
gruppo si trova ad assumere decisioni, è un affievolimento dell’obiettività,
della razionalità, e della logica, con esiti che possono anche assumere la
forma del consenso su decisioni che, invece, appaiono disastrose e folli per
chi appena le osservi dall’esterno.
Il groupthink rappresenta una “patologia funzionale” del
comportamento collettivo, che può comportare l’adesione dei gruppi a decisioni
sconsiderate e irrazionali, dagli effetti anche tragici ed esiziali, frutto di
processi decisionali in cui i dubbi individuali sono messi da parte nel timore
che possano destabilizzare gli equilibri interni al gruppo. Il termine è
applicato di frequente in un’ottica dispregiativa, per etichettare, con il
senno di poi, situazioni già accadute.
L’articolo FMI AMMETTE: LA GRECIA è STATA SACRIFICATA PER
SALVARE L’EURO proviene da Blondet & Friends.
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