Κυριακή 28 Ιουνίου 2015

È un referendum sulla democrazia

Ale­xis Tsi­pras non aveva altra scelta di fronte al ricatto «pren­dere o lasciare»
dei cre­di­tori, se non quella di rivol­gersi ai greci.
Il pre­mier greco, se dovesse accet­tare le pro­po­ste dei part­ner euro­pei, andrebbe con­tro il pro­gramma di governo, il «pro­gramma di Salo­nicco» e il man­dato popo­lare. Inol­tre — e que­sto ha inciso sulla deci­sione per il refe­ren­dum — avrebbe dato il suo con­senso a nuove misure restrit­tive, senza risol­vere la que­stione del debito. Il refe­ren­dum, idea che è sem­pre stata pre­sente, è una mossa di grande rischio poli­tico, che potrebbe indi­riz­zare il nego­ziato verso un com­pro­messo ono­re­vole (obiet­tivo del governo greco); oppure potrebbe por­tare la Gre­cia a un sta­tus di «default con­trol­lato» den­tro l’eurozona e un nuovo ricorso alle urne.
Nel primo caso la deci­sione del governo sarebbe parte delle trat­ta­tive; nel secondo, se i part­ner euro­pei chiu­des­sero le porte a Tsi­pras, Atene e tutta l’Unione euro­pea si diri­ge­reb­bero verso «acque sco­no­sciute». Tsi­pras di fronte all’autoritarismo politico-finanziario e le nuove misure rec­ces­sive pro­mosse dai neo­li­be­ri­sti euro­pei, ha rispo­sto pro­po­nendo la demo­cra­zia e la neces­sità di «un’altra Europa» della soli­da­rietà e dei diritti.
Chi ha seguito ora dopo ora il duro nego­ziato tra Atene e i suoi cre­di­tori, avrà scorto il chiaro ten­ta­tivo di umi­liare per­so­nal­mente Tsi­pras. Nono­stante le con­ces­sioni da parte di Atene, alcuni dei cre­di­tori si irri­gi­di­vano sem­pre di più, met­tendo nuove richie­ste sul tavolo delle trat­ta­tive. Negli ultimi giorni, sem­brava quasi che alcuni cre­di­tori (Lagarde, Schau­ble) voles­sero l’uscita della Gre­cia dall’eurozona, boi­cot­tando ogni ten­ta­tivo d’intesa.
Que­sta intran­si­genza ha finito per raf­for­zare quelle voci interne a Syriza che si schie­rano a favore di vie alter­na­tive di svi­luppo per il paese e l’uscita della Gre­cia dall’eurozona, met­tendo alla prova la com­pat­tezza del suo gruppo par­la­men­tare. Inol­tre, la posi­zione del Fmi ha fatto ina­sprire i «Greci indi­pen­denti», part­ner di governo pronti a votare con­tro l’eventuale intesa.
In que­sto ambito, secondo fonti gover­na­tive, a Bru­xel­les è stata presa la deci­sione per un refe­ren­dum sulla pro­po­sta dei cre­di­tori. Nella riu­nione nell’albergo della rap­pre­sen­tanza greca, erano pre­senti, oltre al pre­mier, il part­ner di governo e lea­der del par­tito di destra Anel, Panos Kam­me­nos, il vice-premier, Yan­nis Dra­ga­sa­kis, il mini­stro delle finanze, Yanis Varou­fa­kis, il por­ta­voce, Gabriel Sakel­la­ri­dis, il capo-gruppo della squa­dra greca di nego­ziato, Euclid Tsa­ka­lo­tos e il mini­stro Nikos Papas, brac­cio destro di Tsipras.

La rea­zione della popolazione

Fin dalla mat­tina c’è stata la corsa ai ban­co­mat –a fine mese ven­gono pagati dipen­denti e pen­sio­nati — a dire la verità senza panico, né accuse con­tro il governo visto che pre­vale l’indignazione con­tro i cre­di­tori. L’Alpha Bank ha sospeso fino a domat­tina il tra­sfe­ri­mento di denaro in altre ban­che, come rife­ri­sce il suo sito web. Ieri, ancora prima dell’incontro a Fran­co­forte del vice-premier e del capo-gruppo della squa­dra greca con il pre­si­dente della Bce, il vice-ministro della Riforma ammi­ni­stra­tiva, Yor­gos Katrou­ga­los ha assi­cu­rato che «lunedì pros­simo il governo greco non chiu­derà le ban­che, né saranno intro­dotti con­trolli sui capitali».
Non è da esclu­dere però il capi­tal con­trol, men­tre si parla dell’eventualità di un «default con­trol­lato» visto che la Gre­cia il 30 giu­gno non sarà in grado di pagare 1,6 miliardi di euro al Fmi. A livello eco­no­mico tutto dipen­derà dall’atteggiamento della Banca cen­trale euro­pea, che finora, tra­mite l’Ela, ha garan­tito la liqui­dità alle ban­che elle­ni­che. Di fatto Dra­ghi che «ha dimo­strato com­pren­sione per la scelta del refe­ren­dum» durante una tele­fo­nata con Tsi­pras, non ha alter­na­tive oltre il 30 giugno.
Al mas­simo per le pros­sime 48 ore l’Eurotower potrebbe garan­tire la liqui­dità agli isti­tuti di cre­dito elle­nici. Dopo mar­tedì pros­simo, giorno in cui scade il pro­gramma greco, i rubi­netti della Bce chiu­dono, visto che secondo il suo sta­tuto ven­gono aiu­tati paesi che sono o sono in pro­cesso di essere sot­to­messi a pro­grammi di sal­va­tag­gio. In que­sto caso la Gre­cia «perde» più di 20 miliardi di euro, ovvero gli «aiuti finan­ziari» dei cre­di­tori, ma gua­da­gna — se non pagherà — le rate del suo debito. Un man­cato paga­mento non implica l’uscita dall’eurozona.

Il dibat­tito politico

Più com­pli­cata appare la situa­zione a livello poli­tico. L’annuncio del refe­ren­dum sem­bra che ini­zial­mente abbia raf­for­zato la fer­mezza della mag­gio­ranza dei greci con­tro l’intesa. Par­lando con le per­sone per strada, nei negozi, alcuni, con uno spi­rito di sol­lievo, si erano schie­rati a favore del «no» al piano di sal­va­tag­gio voluto dai cre­di­tori. La stessa posi­zione era stata espressa da tutti i mini­stri e i diri­genti di Syriza che invi­tano i greci a votare contro.
Un’assenza piena di signi­fi­cati invece, durante la gior­nata di ieri, è stata quella del capo­gruppo euro­par­la­men­tare, Dimi­tris Papa­di­mou­lis e del mini­stro dell’economia, Jor­gos Sta­tha­kis.
Durante la gior­nata il clima è lie­ve­mente cam­biato, dopo la dura con­danna dell’opposizione del cen­tro e della destra , che durante il dibat­tito par­la­men­tare per l’approvazione della pro­po­sta per il refe­ren­dum, hanno cri­ti­cato Tsi­pras di voler por­tare il paese fuori dall’Ue. Tutta l’opposizione ha soste­nuto che non si può fare un refe­ren­dum «per una que­stione fiscale», ed «è quindi anti-costituzionale», men­tre la mag­gio­ranza dei costi­tu­zio­na­li­sti da diverse aree poli­ti­che ha notato che «le pro­po­ste dei cre­di­tori sono una que­stione di inte­resse nazio­nale», sot­to­li­neando la legit­ti­mi­tà­del referendum.
Al di là di que­sto, il refe­ren­dum, per l’opposizione equi­vale a una domanda sulla per­ma­nenza o meno nell’Unione euro­pea. Il ten­ta­tivo è chiaro: gio­care sulla volontà della mag­gio­ranza dei greci, che rifiu­tano il piano di sal­va­tag­gio, ma nello stesso tempo si schie­rano a favore della per­ma­nenza del paese nell’eurozona. La con­fu­sione viene ali­men­tata dal fatto che da Bru­xel­les i cre­di­tori sosten­gono che «non esi­ste un pac­chetto uffi­ciale di pro­po­ste» e che «comun­que tali pro­po­ste non saranno più valide dopo il 30 giu­gno, e quindi non ha senso il referendum».
In effetti dal momento che da mar­tedì pros­simo con la sca­denza del pro­gramma dei cre­di­tori non saranno più valide nean­che le loro pro­po­ste, la domanda che si pone è «per quale motivo orga­niz­zare la con­sul­ta­zione popo­lare». In più, visto che i cre­di­tori potreb­bero deci­dere da un momento all’altro anche un pic­colo cam­bia­mento nel loro pac­chetto di misure restrit­tive, su che cosa vote­ranno i greci? Le pros­sime ore sono più che cri­ti­che per l’avvenire del Paese.

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