Una clausola apparsa in una delle bozze afferma che «le Parti affrontano le questioni relative al ritorno o alla restituzione di oggetti culturali rimossi illegalmente nei propri Paesi di origine».
Il governo greco ha detto che non intendeva riferirsi specificamente ai fregi del Partenone: «Ma se questo strumento dovesse servire, potremmo usarlo»
di Silvia Morosi
Non solo politiche del lavoro e confini. Il divorzio tra Regno Unito e Unione europea tocca anche il mondo dell’arte. L’ultima bozza dell’intesa sulla Brexit contiene infatti una clausola relativa alla restituzione di «oggetti culturali rimossi illegalmente nei loro Paesi di origine», senza alcuna restrizione temporale sul momento nel quale quella «rimozione» è avvenuta.
Secondo quanto riferito da due autorevoli agenzie, la Reuters e la Agence France-Presse, a chiederne l’inserimento è stata la Grecia. Fonti del Corriere confermano che ad appoggiarla è stata anche l’Italia, oltre alla Spagna.
Nella bozza non si fa riferimento a una specifica opera d'arte, ma entrambe le agenzie hanno collegato la clausola a un’affermazione della ministra della Cultura greca Lina Mendoni. Proprio quest'ultima — lo scorso mese — aveva affermato di voler aumentare la pressione sulla Gran Bretagna per la restituzione dei marmi del Partenone — sottratti, aveva detto, da «Lord Elgin, un ladro seriale» — e di attendersi un maggiore aiuto dai partner europei ora che, con la Brexit, Londra non fa più parte dell’Ue. Una fonte europea citata dalla Reuters ha spiegato poi che «a parte le preoccupazioni per i fregi del Partenone, i Paesi europei sono più in generale preoccupati dal commercio illegale di opere d’arte che finiscono nelle case d’aste britanniche».
Durante la giornata di mercoledì, l’agenzia Reuters ha pubblicato una presa di distanza parziale del governo greco dalla richiesta di restituzione dei marmi del Partenone attraverso lo «strumento» dell’intesa sulla Brexit. Il portavoce del governo Stelios Petsas ha spiegato che Atene «continuerà la sua campagna» per ottenerne la restituzione e che «considererà lo strumento migliore» per supportare questa causa. «La richiesta greca resta forte e non è legata a un accordo sulla Brexit», ha detto. «Se questo è però uno strumento che possiamo utilizzare, ne considereremo l’utilizzo al momento giusto». Una correzione che lascia la questione aperta: di fatto, il governo dice che la richiesta di riottenere i fregi continuerà, che i canali per portarne avanti le ragioni non sono legate all’accordo sulla Brexit ma che nulla vieta di usare anche quello strumento, se fosse necessario. L’Italia non ha, al momento, questioni aperte con il governo britannico su opere d’arte sottratte, al contrario della Grecia: ma ritiene quella clausola importante per cautelarsi in futuro nei confronti di un Paese ormai a tutti gli effetti estraneo all’Ue.
Le sculture e le decorazioni del Partenone (Patrimonio Unesco dal 1987) furono staccate dal tempio di Atene nel XIX secolo per volere di Thomas Bruce, VII conte di Elgin, che con l’approvazione dell’Impero Ottomano le trasferì a Londra. Elgin era stato nominato, all’epoca, «Ambasciatore Straordinario e Ministro Plenipotenziario di Sua Maestà Britannica alla Sublime Porta di Selim III, sultano dell’Impero Ottomano». Non è la prima volta che Atene chiede la restituzione delle sue opere, nonostante la ferma opposizione di Londra. Secondo il British Museum, infatti, i sovrani ottomani avevano dato il permesso di trasferirle, ma per la Grecia si tratta di una concessione fatta da «un Paese occupante il territorio ellenico». Un atto illegale, quindi. A essere contestata è proprio la vendita da parte del nobile inglese, che si basava su un permesso ufficiale turco («firman») di asportare alcune «pietre con sculture» dal tempio che sorge sull’acropoli di Atene, dedicato alla dea Atena.
Secondo quanto riferito da due autorevoli agenzie, la Reuters e la Agence France-Presse, a chiederne l’inserimento è stata la Grecia. Fonti del Corriere confermano che ad appoggiarla è stata anche l’Italia, oltre alla Spagna.
Nella bozza non si fa riferimento a una specifica opera d'arte, ma entrambe le agenzie hanno collegato la clausola a un’affermazione della ministra della Cultura greca Lina Mendoni. Proprio quest'ultima — lo scorso mese — aveva affermato di voler aumentare la pressione sulla Gran Bretagna per la restituzione dei marmi del Partenone — sottratti, aveva detto, da «Lord Elgin, un ladro seriale» — e di attendersi un maggiore aiuto dai partner europei ora che, con la Brexit, Londra non fa più parte dell’Ue. Una fonte europea citata dalla Reuters ha spiegato poi che «a parte le preoccupazioni per i fregi del Partenone, i Paesi europei sono più in generale preoccupati dal commercio illegale di opere d’arte che finiscono nelle case d’aste britanniche».
Durante la giornata di mercoledì, l’agenzia Reuters ha pubblicato una presa di distanza parziale del governo greco dalla richiesta di restituzione dei marmi del Partenone attraverso lo «strumento» dell’intesa sulla Brexit. Il portavoce del governo Stelios Petsas ha spiegato che Atene «continuerà la sua campagna» per ottenerne la restituzione e che «considererà lo strumento migliore» per supportare questa causa. «La richiesta greca resta forte e non è legata a un accordo sulla Brexit», ha detto. «Se questo è però uno strumento che possiamo utilizzare, ne considereremo l’utilizzo al momento giusto». Una correzione che lascia la questione aperta: di fatto, il governo dice che la richiesta di riottenere i fregi continuerà, che i canali per portarne avanti le ragioni non sono legate all’accordo sulla Brexit ma che nulla vieta di usare anche quello strumento, se fosse necessario. L’Italia non ha, al momento, questioni aperte con il governo britannico su opere d’arte sottratte, al contrario della Grecia: ma ritiene quella clausola importante per cautelarsi in futuro nei confronti di un Paese ormai a tutti gli effetti estraneo all’Ue.
Le sculture e le decorazioni del Partenone (Patrimonio Unesco dal 1987) furono staccate dal tempio di Atene nel XIX secolo per volere di Thomas Bruce, VII conte di Elgin, che con l’approvazione dell’Impero Ottomano le trasferì a Londra. Elgin era stato nominato, all’epoca, «Ambasciatore Straordinario e Ministro Plenipotenziario di Sua Maestà Britannica alla Sublime Porta di Selim III, sultano dell’Impero Ottomano». Non è la prima volta che Atene chiede la restituzione delle sue opere, nonostante la ferma opposizione di Londra. Secondo il British Museum, infatti, i sovrani ottomani avevano dato il permesso di trasferirle, ma per la Grecia si tratta di una concessione fatta da «un Paese occupante il territorio ellenico». Un atto illegale, quindi. A essere contestata è proprio la vendita da parte del nobile inglese, che si basava su un permesso ufficiale turco («firman») di asportare alcune «pietre con sculture» dal tempio che sorge sull’acropoli di Atene, dedicato alla dea Atena.
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