Negli
accordi per lʼuscita della Gran Bretagna dallʼUe ci sarebbe anche una clausola
a protezione di "oggetti culturali rimossi illegalmente nei loro Paesi di
origine"
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19 FEBBRAIO 2020
Anche la
cultura finisce al centro del confronto post-Brexit fra Regno Unito ed Europa.
In particolare la questione che da tempo divide Londra e Atene: la restituzione
dei marmi del Partenone, conservati da oltre duecento anni al British Museum
nella capitale britannica.
La stampa anglosassone rilancia allarmata la notizia di una bozza di intesa
redatta dai diplomatici di Bruxelles in vista delle trattative post-divorzio
che devono aprirsi a marzo e nella quale è contenuta una clausola a protezione
di "oggetti culturali rimossi illegalmente nei loro Paesi di
origine".
E' in
particolare il Times che sottolinea come i colloqui sull'accordo commerciale
potrebbero essere utilizzati dal governo greco per portare avanti la causa
della restituzione, sempre sentita come motivo di orgoglio nazionale.
Immediatamente
a Londra si è pensato a un modo per riaprire la vecchia diatriba legale
ellenico-britannica e il governo conservatore del premier Boris Johnson ha alzato
le barricate. Un portavoce di Downing Street si è affrettato a precisare che la
bozza è ancora in fase di definizione e soprattutto ha escluso che i celebri
marmi recuperati da Lord Elgin all'inizio del 1800 possano rientrare
all'interno delle trattative con l'Ue.
Anche fonti
diplomatiche di Bruxelles hanno confermato che la clausola non riguarderebbe i
tesori artistici arrivati dalla Grecia, ma è rivolta a contrastare il commercio
illegale di antichità. Le opere - di cui Atene chiede di tornare in possesso
dal 1981, quando era ministro della Cultura l'attrice Melina Mercouri - sono 15
metope, 56 bassorilievi di marmo e 12 statue (quasi l'intero frontone Ovest del
tempio), oltre a una delle sei cariatidi del tempietto dell'Eretteo.
I marmi, che
ornavano il tempio di Athena Parthenos (vergine), gioiello architettonico del V
secolo a.C., furono asportati e trafugati fra il 1802 e il 1811 da Lord Thomas
Bruce Elgin, allora ambasciatore britannico presso la Sublime Porta, e venduti
al British Museum nel 1816 per 35mila sterline oro dell'epoca. L'istituzione
museale di Londra ha sempre ribadito il suo diritto di possedere le opere al
centro della diatriba. Diatriba che ha avuto una serie di capitoli: Atene ha
prima tentato le vie legali, per poi concentrarsi su un'offensiva più politica
e diplomatica. La Gran Bretagna ha sempre risposto con un secco 'no' alle
richieste di restituzione in arrivo dalla Grecia e la sua posizione è difficile
che cambi in particolare dopo il divorzio dall'Ue.
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