«Dio. Buona fortuna. Riguardo tutti i beni e lo stabilirsi a
Crotone (il consultante chiede) se possa essere vantaggioso e migliore per lui,
per la sua famiglia e per sua moglie». 400-390 a.C. Poche righe su una
laminetta consegnate ai sacerdoti di Dodona; l’anonimo postulante affida a Zeus
speranze e timori prima di intraprendere il difficile passo: ricominciare
daccapo nella città calabra. È un migrante in cerca di fortuna, così come i
tanti del povero Sud inizio ‘900 in rotta per le Americhe che implorano Madonna
e santi di spianare loro il cammino.
La “letterina” al padre degli dei è solo una delle migliaia - le
parole incise, con grafia minutissima su piccolissimi supporti di piombo, rari
quelli bronzei - rinvenute in due distinti depositi nel corso degli scavi
condotti da fine Ottocento nel perimetro del santuario epirota, il più celebre
della Grecia antica, una sorta di Lourdes dei giorni nostri tra spiritualità e
affari, con tanto di alberghi, un teatro e uno stadio che ogni 4 anni ospitava
i Naia, ovvero i giochi in onore di Zeus Naios. Che, secondo la credenza
popolare aveva il suo arsenale di fulmini sul vicino monte Tomaros e abitava
(la suggestione è di Esiodo) con la sua sposa Dione alle radici della «grande
quercia dall’alta chioma» cantata da Omero: qui si sarebbe posata una delle
colombe volate da Tebe d’Egitto annunciando che quel luogo era sacro; qui
Odisseo si sarebbe fermato per chiedere del proprio ritorno ad Itaca.
«Le laminette vanno da fine VI alla II metà del II secolo a. C. -
spiega Luigi Vecchio, cattedra di Storia ed Epigrafia greca all’Università di
Salerno – le edite sono circa 1700 e ci fanno conoscere circa 4400 testi; erano
usate più volte, non tutte sono integre e, redatte per lo più in dialetti
diversi, spesso si rivelano di difficile lettura e di incerta interpretazione».
Fanno volare, però, l’immaginazione, sono abbozzi narrativi di storie di amore,
di guerra, di potere, di denaro, il raccomandare il proprio destino - ieri come
oggi - a un’entità suprema.
Affabula questo patrimonio di sogni che da oggi (presente il
rettore Aurelio Tommasetti) al 9 giugno ammireremo, insieme ad oggetti votivi
(statue, vasi, monete, gioielli) trovati nell’area sacra, nella bella mostra
«Dodonaios. L’oracolo di Zeus e la Magna Graecia», organizzata in
collaborazione tra il museo archeologico di Reggio Calabria che la ospita, il
Dispac dell’ateneo salernitano (tra l’altro il laboratorio Sigot con
Mariagiovanna Riitano ha aiutato a costruire una mappa interattiva già online
su www.oracledodona.it) e il museo di Ioannina, che conserva i reperti, alcuni
dei quali non hanno mai varcato i confini della Grecia.
Affascinano queste interrogazioni scritte, un caso unico nell’arte
mantica del mondo antico. Soprattutto perché molti protagonisti di questo pellegrinaggio
duro e periglioso sono magnogreci. Quesiti? I più disparati: dai pubblici posti
a nome di intere comunità ai privati del tipo mi sposo, il figlio è mio, avrò
una prole, successo, soldi, ho rubato mi scopriranno? «Venivano da Reggio,
Hipponion, Vibo Valentia, Crotone, Sibari, Thuri, Metaponto, Eraclea, Taranto,
Megara, Messina, Siracusa, Spina, Faro, Lisso, Apollonia, Epidamio - dice
Fausto Longo, prof di Archeologia greca, direttore della Scuola di
specializzazione in Beni archeologici Unisa e tra i curatori della mostra e del
catalogo con il collega Vecchio, il direttore del Marc Carmelo Malacrino e
quello della Soprintendenza alle antichità Eforia di Ioannina Konstantinos
Soueref – Le laminette sono preziosi tasselli di un’antica storia di mobilità
mediterranea che abbiamo provato a raccontare».
Meravigliosamente, perché con loro e con gli altri studiosi che
hanno collaborato, tra cui Angela Pontrandolfo ed esperti della Real Accademia
San Fernando di Madrid, ci troviamo trasportati in universo sospeso tra mito,
quotidiano e letteratura, quasi un film con eroi reali, come Alessandro il
Molosso e Pirro, e gente semplice, fiduciosa in un dio che regali un lieto fine
alle loro pene.
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