Δευτέρα 30 Μαΐου 2016

L'eccidio di Cefalonia


Dopo l'armistizio, in seguito alla dissoluzione delle forze armate lasciate senza ordini dal re Vittorio Emanuele III nella sua fuga verso il Sud Italia in mano agli Alleati, a differenza della maggioranza delle altre grandi unità che, complice la situazione geografica e la vaghezza degli ordini, si arresero ai tedeschi, la Acqui decise di resistere.
Stessa scelta compì il 18º reggimento in Corfù, con ancora maggiore prontezza del comando di divisione e del presidio di Cefalonia.
I tedeschi, per i quali comunque Cefalonia e Corfù avevano una rilevante importanza strategica, poiché controllano l'accesso al golfo di Corinto, decisero di prendere con la forza il controllo dell'isola dopo aver inviato un ultimatum al comando italiano, ed accompagnando questo ultimatum con varie azioni belliche, come il disarmo di reparti e batterie isolati e la presa di prigionieri italiani. Dapprima venne cercato un possibile accordo, che prevedesse il rimpatrio della divisione, ma ciò non rientrava nelle eventualità previste dai tedeschi. Nel momento in cui i tedeschi cercarono di occupare militarmente l'isola, vi fu una reazione armata da parte italiana, e le ostilità iniziarono su larga scala.

Gli scontri

Legnago, il monumento a memoria dei caduti della Divisione Acqui a Cefalonia e Corfù.
Quando il comandante, generale Antonio Gandin, sentito comunque il parere delle truppe componenti il presidio, pur cosciente della difficoltà a resistere senza una catena logistica alle spalle, contro un nemico padrone della terraferma e dell'aria, rifiutò l'ultimatum tedesco, inviò ripetute e pressanti richieste d'aiuto allo Stato Maggiore (che allora si trovava a Bari circa 400 km) e venne quasi totalmente ignorato. L'unico a rispondere fu l'ammiraglio Giovanni Galati, comandante la piazza di Brindisi che dispose l'invio di due torpediniereClioSirio, stipate di viveri e munizioni, verso Cefalonia. Avuta notizia della partenza, il comando alleato ordinò perentoriamente di richiamare le navi.[2] In effetti, al momento la Puglia ospitava delle forze aeree alleate, ma nessun aereo alleato affiancò i soldati della Acqui. Dopo diversi giorni di combattimento, esaurite le munizioni per l'artiglieria e disarticolata l'unità dagli attacchi tedeschi, senza nessun appoggio da parte degli alleati (Brindisi, allora nell'Italia occupata dagli alleati dista oltre 300 km da Corfù, 400 da Cefalonia), avendo subito perdite elevate, il generale Gandin, decise di capitolare il 21 settembre.
Ma era comunque la resa di un reparto in uniforme, che obbediva ad ordini legittimi, come quello di non cedere le armi e resistere ad ogni aggressione, e ciò avrebbe dovuto assicurare ai prigionieri il rispetto della Convenzione di Ginevra sui Prigionieri di Guerra.
Subito dopo, venne dato il via ad un indiscriminato massacro verso i soldati e ancora di più verso gli ufficiali italiani; non vi è accordo tra le varie fonti, ufficiali e non, sul numero complessivo, ma certo diverse migliaia di soldati italiani persero la vita per aver voluto difendere il loro onore militare ed il giuramento al loro paese al quale si sentivano vincolati.
Da allora, il nome della divisione è legato indissolubilmente all'eccidio di Cefalonia da parte dei tedeschi.
Anche le truppe stanziate a Corfù comandate dal colonnello Luigi Lusignani, che in un primo tempo avevano sopraffatto la guarnigione tedesca, dopo una lunga resistenza (i combattimenti durarono dal 13 al 26 settembre), furono travolte da uno sbarco di rinforzi tedeschi, proprio quando il comando alleato aveva iniziato a contemplare un intervento diretto di truppe inglesi. E anche a Corfù gli ufficiali italiani, dopo la resa, furono oggetto di numerose fucilazioni nella fortezza della Corfù. Il corpo del col. Lusignani fu gettato in mare insieme a quello dei suoi ufficiali e mai più ritrovato.

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