Oltrepassare la linea invisibile che divide Exarchia dai quartieri adiacenti significa attraversare un vero e proprio confine.
Ci troviamo nel centro di Atene, ad una mezz’ora scarsa di cammino dall’Acropoli e da piazza Syntagma, suo malgrado nota per esser stata teatro delle violente proteste scoppiate fra il 2011 e il 2012 a seguito dell’imposizione del piano di austerità pensato per salvare la Grecia dalla bancarotta.
A dispetto di tale collocazione, Exarchia non presenta nessuna di quelle tipiche caratteristiche che ci si aspetterebbe di trovare in una zona così centrale. Nessun negozio di capi firmati, nessuna insegna riconducibile a qualche grande catena, nessun bistrot a misura di turista. L’ingresso all’interno del perimetro che delimita questo quartiere provoca un piacevole senso di straniamento, uno shock dei sensi che s’inscrive perfettamente nella paradossalità architettonica – e non solo – di Atene.
La prima cosa che colpisce è la memoria dei muri. I graffiti ricoprono quasi ogni singolo centimetro di cemento qui ad Exarchia, raccontando storie di lotte vicine e lontane. Bastano pochi passi con gli occhi alzati per capire dove ci si trova: in un luogo di resistenza. Un luogo che ha fatto tesoro del proprio passato, elaborandolo e trasformandolo in un’identità ben precisa.
Se infatti oggi Exarchia è comunemente riconosciuta come il quartiere simbolo e sede della controcultura politica – teorizzata e attuata – non è certo un caso. La lotta, la resistenza e lo spirito comunitario fanno parte del DNA di questo luogo.
Basti pensare che fu proprio qui, in via Mavromichalis, che nel 1941 venne fondato il Fronte di Liberazione Nazionale (E.A.M. – Ethnikon Apeleftherikon Métopon). Creato dietro iniziativa del Partito Comunista di Grecia, il Fronte istituì nel 1942 quella che sarebbe diventata una delle forze più attive nella resistenza all’occupazione nazifascista: l’Esercito Popolare Greco di Liberazione (E.L.A.S.- Ellinikos Laikos Apeleftherotikos Stratos), composto da socialisti, radicali e democratici.
E fu sempre qui che nel novembre del 1973 si verificò la prima, grande insurrezione contro la Dittatura dei Colonnelli instauratasi nel 1967. Gli studenti del Politecnico di Atene proclamarono uno sciopero generale e ne occuparono la sede per quattro giorni prima che la Giunta reprimesse la rivolta nel sangue. Pochi anni dopo, nel 1985, durante gli scontri generatisi proprio in occasione delle dimostrazioni in ricordo della rivolta, il quindicenne Michalis Kaltezas veniva ucciso da un agente di polizia nei pressi di piazzale Exarchion.
Nel 2008 è un altro quindicenne a rimanere vittima di un colpo esploso da un poliziotto. Si tratta di Alexandros Grigoropoulos, meglio noto come Alexis. Questa inspiegabile uccisione non è l’ultima ferita inflitta ad Exarchia, ma è di sicuro una delle più feroci e segnanti. L’angolo fra via Mesologgiu e via Tzavella è diventato un luogo ad alto contenuto simbolico: la targa che commemora l’assassinio di Alexis è stata posizionata in un punto ben visibile, come a voler ricordare a chiunque vi ci passi davanti l’importanza degli ideali elaborati e praticati in questo peculiare quadrilatero urbano.
Ma cosa rappresenta oggi Exarchia? Come tutto questo vissuto ha influito e continua ad influire sull’agire quotidiano del quartiere?
Exarchia può a tutti gli effetti essere considerata un laboratorio politico e sociale a cielo aperto, uno spazio fisico e relazionale in cui la riflessione sui concetti di comunità e solidarietà si rinnova di giorno in giorno.
Per capire meglio di cosa stiamo parlando vale la pena raccontare la storia del Navarinou Park, un quadratino verde incastonato fra via Charilou Trikoupi e via Zoodochou Pigis. Nel 2009 un gruppo di residenti occupa questo fazzoletto di terra, originariamente destinato alla costruzione di un parcheggio multipiano, con l’intento di restituirlo alla comunità.
Ed effettivamente l’idea funziona: oggi Navarinou Park è l’unico spazio verde sopravvissuto nell’intero quartiere. Nel corso degli anni sono stati allestiti un’area attrezzata per bambini, un orto sociale ed uno spazio pensato per ospitare eventi culturali di vario tipo. Il tutto è completamente basato sull’autogestione, dalla manutenzione di giochi e piante all’organizzazione delle varie attività.
Si tratta, in sostanza, di un esperimento riuscito che ha dimostrato le potenzialità dell’auto-organizzazione creativa: la comunità locale è stata in grado di rispondere alle necessità concrete espresse dai suoi stessi componenti, compattandosi attorno alla cura di un progetto che ha generato un circolo virtuoso di pratiche solidali e partecipative… Continua su vociglobali
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