Kyriakos
Mitsotakis punta tutto sul taglio delle tasse. Entro la fine della settimana il
nuovo governo ellenico presenterà al parlamento controllato dalla maggioranza
di Nuova Democrazia le linee guida per la sua legge di bilancio 2020,
incentrata quasi completamente sullo shock fiscale con cui il nuovo premier
mira a un cambio di passo nella politica economica.
Anticipazioni
raccolte dal quotidiano Kathimerini raccontano di una manovra incentrata sul
taglio dell’aliquota minima d’imposta sul reddito dal 22% al 9%, misura che
avvantaggerà le famiglie con redditi fino a 10.000 euro, uno snellimento delle
aliquote residue e un taglio drastico delle imposte sui profitti aziendali. La
manovra rappresenta la seconda gamba della politica economica di Mitsotakis,
che ad agosto aveva deciso di liberalizzare i movimenti di capitale, eliminando
i controlli introdotti da Alexis Tsipras nel 2015 dopo una fuga di capitali da
30 miliardi di euro nel semestre precedente che prevedevano un limite sulla
cifra in contanti (10mila euro) che poteva essere trasportata da ogni greco che
viaggiava all’estero e che le persone fisiche potevano trasferire all’estero
ogni due mesi (4mila).
Qual è
l’obiettivo di Mitsotakis e della sua politica economica? Utilizzare con meno
scrupoli rispetto a Tsipras i margini di manovra che l’Unione europea è pronta
a concedere in cambio di un drastico taglio della spesa pubblica – che vada ad
aggiungersi a quelli già realizzati durante i programmi di austerità – attrarre
investimenti dall’estero, favorire l’ambiente per il business. Misure che non
sembrano la panacea totale ai problemi della Grecia: le ricette del governo
ricordano la retorica neoliberista e vanno oltre le richieste che già
ingolfavano i programmi di austerità della Troika. Il taglio fiscale, in
particolare, mira a incentivare l’ingresso di capitali stranieri nel Paese, che
sino ad ora con le acquisizioni straniere ha avuto un rapporto controverso. Uno
degli effetti collaterali dell’austerity eseguita da Tsipras è stato proprio il
dilagare in Grecia della potenza dei capitali stranieri, attratti dal tracollo
dei prezzi di asset (immobili, infrastrutture, servizi) e costo del lavoro
(cioè dei salari), che ha condotto a una svendita massiccia di asset pubblici.
Mitsotakis
promette un ritorno alla normalità dopo lo stato d’eccezione dell’era Tsipras,e
per questo l’Europa appare perfino condiscendente nel concedere spazio di
manovra ad Atene dopo anni di imposizioni draconiane e richieste lacrime e
sangue. Nessuna critica alle proposte elleniche è infatti giunta dai palazzi di
Bruxelles. Nei corridoi degli uffici europei si sta puntando a far dimenticare
anni di retorica sul debito greco esploso al 180% del Pil per la contrazione
economica e le misure di austerità, il fardello dei piani di salvataggio da
oltre 300 miliardi di euro (240 dei quali provenienti dall’area euro, 40
dall’Italia) del Fondo Salva-Stati – che in larga parte ha coperto
l’esposizione della finanza franco-tedesca -, la ben diversa predisposizione
manifestata quando richieste di politiche analoghe venivano dal governo
italiano. Interiorizzando la logica dell’austerità, Mitsotakis finisce per non
criticarla direttamente e risulta l’uomo giusto al momento giusto per un’Unione
intenta al cambio d’abito e al superamento, retorico, dell’austerità.
C’è del
resto da aggiungere che un taglio fiscale per i cittadini greci è, di fatto, la
logica conseguenza del progressivo spolpamento di Stato e servizi ad opera
dell’austerità: la pressione fiscale in terra ellenica è rimasta a livelli
insostenibili anche nei momenti in cui venivano tagliati sanità, istruzione,
spesa infrastrutturale, pubblica sicurezza. I greci hanno pagato per servizi di
cui non potevano più disporre troppo a lungo, e una reale politica di
discontinuità avrebbe dovuto basarsi sulla ricostruzione di programmi capaci di
garantire il ritorno a livelli di sussistenza accettabili. La manovra
della destra greca potrebbe quindi non bastare.
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