Παρασκευή 18 Νοεμβρίου 2016

MAL DI GRECIA

myrtos

Quello d’Africa è più conosciuto. Ma il mio è un altro: soffro del mal di Grecia. Ogni tanto si sopisce, non si fa sentire per qualche mese, poi, infingardo, torna a colpirmi all’improvviso, a tradimento. 

Mentre sono preso da tutt’altro, in un normale e normalmente grigio e routinario giorno qualunque, mentre lavoro, faccio conti, chiudo pratiche o cerco di inventarmi il domani senza scansare l’oggi, lui arriva. E io rimango bloccato, davanti al pc, al mio pasto veloce in pausa, al bus che passa, al semaforo che cambia colore. Via tutto. Vedo la sabbia color oro e l’azzurro abbagliante dello Ionio. Ed è allora che so, che sento, che voglio, che devo essere là. A Makrys Yalos, a Cefalonia, sulla terrazza di casa sopra la spiaggia dove, bambino, cominciai ad amare la contemplazione del mare. Attraversare il ponte di Argostoli, prendere la vecchia strada che si inerpica tra le montagne, scendere verso Assos e fermarsi dieci minuti a chiacchierare con Zeus mentre guardi dall’alto Myrtos. Proseguire verso Aghia Eufemia e più in là verso il porto di Sami e dopo ritrovarmi disteso sotto la pineta ad Antisamos, continuando a chiedermi se quei contrasti tra verde lussureggiante e acqua cristallina non siano una discreta anteprima di Paradiso, nel caso un giorno mi chiedessi come sarà, quando sarà.
Sento l’odore, dello yogurt greco con miele e “fistikia”, lì al porticciolo di Fiskardo, davanti a barche, pescherecci e yacht e guardo Itaca, di fronte, chissà se lì o altrove c’è una Penelope che aspetta ancora qualcuno tessendo improbabili tele.
Volto lo sguardo un attimo e sono già via. Non c’è mica solo la mia isola più amata, la principessa tra le isole Ionie, a presentarsi ai miei occhi. Vedo la luce accecante e le coste dell’Attica, attraverso il colonnato del tempio di Capo Sunio, o mi riprende, come la prima volta, a tredici anni, l’emozione quasi mistica alla vista ravvicinata ed estatica del Partenone, sognando di Platone e di Pericle che parlava nell’Agorà.
capo-sunio
Vedo Micene e Nauplion. Ricordo il tramonto al teatro di Epidauro, inseguo la interminabile fila di ulivi nel Peloponneso, la magia di Olimpia, e poi, verso Nord, la via tra le montagne per arrivare a Delfi. Magari l’oracolo fa ancora le profezie. Ma io forse non voglio neppure sapere il futuro in anticipo, però guardare la meraviglia di Delfi sì, quello sì.
epidauro
Voglio essere su un vecchio traghetto, uno di quelli sgangherati come solo in Grecia, uno di quelli che vedevo nel porto di Patrasso da bambino, o al Pireo: riempire le narici di aria salmastra, carica di iodio e sale, il vento umido tra i capelli, e navigare verso l’Egeo.
Αποτέλεσμα εικόνας για Santorini
Avventurarmi tra gli arcipelaghi degli Dei, avvicinarmi al porticciolo delle isole note e meno note, toccare le Cicladi, scendere a Mykonos, salpare ancora, salire in alto, su a Santorini, dormire in un vecchio alloggio da cui guardare dall’alto la città di Fira, staccare la connessione col mondo, coi rumori di sottofondo, con le logiche illogiche, con la mia parte cosciente. Staccare. Due mesi così, o tre, o sei, un periodo sabbatico di distacco da me stesso e dal mondo, anche se me stesso e il mondo, accidenti, in qualche modo ci sono sempre.
Αποτέλεσμα εικόνας για naxos
Toccare Naxos, cercare le mie amiche innamorate di quell’isola, ballare il sirtaki in spiaggia, mentre qualche sconosciuto prepara souvlakia e l’odore della carne arrostita si sparge ovunque e sapere che di lì a poco con lo sconosciuto berremo vino e rideremo insieme, col koboloi in mano. Perché la Grecia è questa, il confine tra amici e sconosciuti è labile, come tra noto e ignoto, un viaggio nella coscienza e nell’inconscio, un ritorno alle origini che è dentro di noi e ritroviamo fuori, in quella atmosfera, che c’è sulle isole e sulla terraferma. Purché sia terra greca.
Risali sulla prima barca che trovi al porticciolo e punti il Dodacanneso, poi che decida pure il mare dove portarti: Rodi, Kos, Karpathos o altre isole ancora, il vero viaggiatore in Grecia non ha meta fissa.
Αποτέλεσμα εικόνας για Elafonissi,
Guardo la foto di Elafonissi, a Creta, me ne innamoro perdutamente, manco fosse la più ammaliante della sirene che sgorga dal mare. Non so in quale momento del viaggio senza meta fissa, ma decido che su quel lembo estremo e sud-orientale di Creta io andrò. Oh sì che andrò, presto…
Arrivano mail, le incombenze di tutti i giorni chiamano, devo tornare attivo e lasciare per ora Elafonissi lì dov’è, ma non mi va. Non so bene come possa essere definito, so che dal mal di Grecia non si guarisce, né si desidera guarire. Forse è concetto letterario, malattia dell’animo, nostalgia, mancanza di qualcosa che non si sa bene e che altrove non c’è; invece, come per magia, in Grecia sì. E’ un bisogno sentimentale, emotivo, ma anche materiale di tornare. E una volta preso atto che andrai, visti voli, traghetti, date possibili, non resta che azionare la clessidra mentale e cominciare a contare i giorni, le ore e i minuti. Perché tanto, il mal di Grecia non ti passa finché non ci torni. E quando ci torni, e rivai via, appena salpato sulla nave o salito sull’aereo, penserai già alla prossima volta. Dove andrai la prossima volta? Vorresti tornare ancora e di nuovo negli stessi posti. Perché è così che la Grecia ti ubriaca: hai la bramosia di vedere quello che ti manca, e solo le isole sono oltre quattromila; però, la nostalgia, il nostos, la voglia di tornare, ti fanno desiderare ardentemente i luoghi dove sei già stato. E dove hai lasciato un pezzo di cuore.
Non rimane che cedere, andare, e come Ulisse viaggiare, tra continui ritorni ed eterne partenze.
“Quelli come noi non sono al loro posto da nessuna parte, o lo sono dappertutto” (Germana Fabiano, Motya)
Basilio Milatos ©Riproduzione riservata
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