Τετάρτη 15 Απριλίου 2015

Grecia, la Chiesa in aiuto di Tsipras: "I nostri beni per pagare il debito"

Il Vescovo Ieronimos, massima autorità ecclesiastica del Paese: "Pronti a sostenere lo Stato con i ricavi del nostro patrimonio". Un portafoglio da un miliardo di euro sfuggito, dicono i critici, ad austerity e fisco.

Alexis Tsipras trova nell'uovo di Pasqua (ortodossa) una gradita sorpresa: la Chiesa greca è pronta a usare i suoi beni per aiutare il Paese a uscire dalla crisi. "Se lo Stato ha bisogno di noi, siamo qui - ha detto l'arcivescovo Ieronymos - Possiamo usare i fondi ricavati dalle nostre proprietà per contribuire a ripagare un po' del debito". Non si procederà con dismissioni, ha precisato la massima autorità religiosa, ma con un utilizzo più razionale del patrimonio del clero, utilizzandolo per produrre reddito. L'idea, già ventilata in passato durante l'era di Samaras, potrebbe essere quella di costituire una società comune con il ministero delle Finanze cui affidare la gestione dei beni dividendosi poi gli incassi.

L'offerta non arriva del tutto a sorpresa. Il Sacro Sinodo, in tema d'austerity, è schierato da sempre su posizioni simili a quelle di Syriza e nel 2010 ha attaccato duramente le politiche della Troika definita con linguaggio non proprio curiale "una forza d'invasione straniera". La novità è che il ramoscello di ulivo sia stato offerto proprio a Tsipras, il primo presidente del Consiglio della storia nazionale che non ha prestato giuramento con cerimonia religiosa. Lo strappo è stato però solo formale. Le prime mosse dell'esecutivo hanno confermato che la sinistra radicale - nel nome della realpolitik e dell'asse di governo con la destra di Anel, da sempre vicinissima alla Chiesa  -  non ha intenzione di intaccare i privilegi storici del clero: uno dei primi atti dopo le elezioni è stato quello di confermare che lo Stato continuerà a pagare gli stipendi a circa 10mila preti, spendendo qualcosa come 220 milioni l'anno. E nei nuovi piani di riforme proposti all'Eurogruppo non si fa menzione di un giro di vite fiscale sui beni ecclesiastici sfuggiti fino a oggi ai morsi dei tagli.

Difficile dire quanto e come i contabili del vescovo di Atene potranno contribuire a puntellare i conti dello Stato. Nessuno, salvo i diretti interessati, conosce davvero il valore del patrimonio ortodosso. L'unica certezza è che la Chiesa è il secondo maggior proprietario di beni dopo il settore pubblico con 130mila ettari. "Quasi tutti boschi", mettono le mani avanti i vescovi a difesa di antichi privilegi erariali. I calcoli più attendibili indicano in almeno un miliardo di euro la stima del patrimonio immobiliare su cui - secondo le dichiarazioni ufficiali dei vertici ecclesiastici del 2010 - vengono pagati 2,5 milioni di tasse. L'uso del mattone sacro non è sempre stato - a giudicare dalle vicende giudiziarie - in linea con i dettami delle Scritture. Nelle aule di tribunale è in corso il processo per lo scandalo di Vatopedi, un vorticoso giro di rogiti e scambi di terreni tra Stato e Chiesa in cui secondo l'accusa sarebbero stati sottratti al fisco 100 milioni. Nel portafoglio del clero ci sarebbe anche una partecipazione superiore all'1% nella National Bank of Greece.

L'offerta di collaborazione al governo dovrebbe consentire di utilizzare meglio questo patrimonio, affittandolo, convertendolo a uso turistico, e usando il ricavato per sostenere la finanza pubblica. La Chiesa del resto ha già dato contributi molto concreti per alleviare la crisi ellenica: ogni giorno solo nella Capitale le parrocchie distribuiscono diverse migliaia di pasti gratuiti.

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