Τρίτη 19 Ιανουαρίου 2021

Aremu rindineddha

 



Non ci può essere alcun dubbio sul fatto che questo (peraltro assai celebre) canto in griko salentino appartenga al medesimo "filone" storico e psicologico italiano meridionale di Riturnella: la rìnnina del canto calabrese e la rindineddha del canto salentino sembrano parenti strette. Così come il canto calabrese, anche Aremu rindineddha è generalmente percepito come un canto di emigrazione, e su questo -immaginiamo- avrebbe avuto molto da dirci il nostro scomparso amico Franco Corlianò, il cui Klama è oramai diventato, nella coscienza di molti delle sue zone e in Grecia, un canto popolare. Ma poiché Franco Corlianò (al quale va il nostro ricordo) non può dirci, purtroppo, più niente, tenteremo di dire qualcosa noialtri, al quale tocca un po' di ricostruzione di una storia che non sia lontana dal vero.

Aremu rindineddha non nasce come un canto autenticamente popolare: è, anzi, una poesia d'autore piuttosto recente. Fu scritta da Giuseppe Aprile, un laureato in ingegneria presso l'università di Torino e, più tardi, insegnante di matematica all'Istituto Tecnico di Lecce. Giuseppe Aprile era nato a Calimera (lo stesso paese di Franco Corlianò, che per tutta la vita fu macchinista ferroviere) nel 1878 (altre fonti riportano però il 1864), e morì nel 1944. La poesia in griko Aremu rindineddha (con la grafia aremo) era stata pubblicata il 25 aprile 1900 (si noti la curiosa coincidenza tra il cognome dell'autore e il mese di pubblicazione...) dalla rivista Roma Letteraria di Giuseppe Gabrieli, l'orientalista e bibliotecario che era anch'egli nativo di Calimera (1872-1942); la musica, triste e melodiosa, fu composta, pare da un tale "m.o Costanzo" (sul quale non siamo ancora riusciti a reperire notizie certe). Giuseppe Aprile, secondo le scarne testimonianze, aveva l'aspetto ed il comportamento del gentiluomo e, per tutta la sua vita, a Calimera fu "L'Ingegnere" per antonomasia; a Calimera gli è stata anche dedicata una via cittadina.

Aremu rindineddha era stata probabilmente scritta dal suo autore nei suoi anni universitari torinesi, lontanissimo da casa: il canto nostalgico, la lamentazione di uno studente che ripensa al paese e alla famiglia. Lo si vede bene anche in base all'ultima strofa della versione originale, che contiene una sorta di “risposta” del padre della persona lontana che esegue la lamentazione. La maledizione del padre a “tutti gli studi e a tutti i libri” è chiara e, quindi, la poesia non ha nulla a che fare con l'emigrazione in senso stretto, l'emigrazione per lavoro e per povertà. Tutt'altro: la famiglia di Giuseppe Aprile doveva senz'altro appartenere, per potersi permettere degli studi universitari di un figlio a Torino, alla classe borghese abbiente, una famiglia di notabili calimeresi. Con la messa in musica della poesia dell'Ingegnere, però, interviene la popolarizzazione; e ogni popolarizzazione comporta anche un mutamento di prospettiva e di percezione.

L'immissione di una composizione di autore, di origine colta, nella tradizione popolare è un fatto assai comune e non deve essere visto come "invenzione della tradizione". Se il procedimento è autentico, il testo autoriale viene sottoposto a tutte le prassi della popolarizzazione in base alla sua percezione da parte di una data comunità: il mutamento di prospettiva (come già detto), la creazione di differenti versioni, la modifica lessicale e strofica, l'abbreviazione (o compressione, concentrazione). Nella "bocca del popolo", il canto di origine autoriale e colta si comporta esattamente come un autentico canto popolare anonimo, né più e né meno. Aremu rindineddha corrisponde pienamente a tutti questi canoni; la logica conseguenza è che la sua vera origine via via si perde, assieme al nome dell'autore che viene conservato solo sporadicamente.

L'immissione del canto nella tradizione popolare è rapida: una quarantina o una cinquantina d'anni sono sufficienti in una comunità rurale che non abbia ancora perduto i suoi caratteri. Tale era il Salento nella prima metà del XX secolo. La percezione del canto come avente a che fare con l'emigrazione è del tutto naturale, in una comunità che la stava vivendo come fatto quotidiano. Scompaiono le strofe più "caratterizzanti" dell'originale (in particolare l'ultima, dalla quale più si evince la motivazione dell'autore), e la struttura viene modificata e resa funzionale alla percezione generale. E' un fatto che riguarda tutte le (numerose) versioni e varianti che sono state riprese sia in Italia che in Grecia. A tale riguardo, è curioso osservare che le versioni eseguite in Grecia in tempi recenti (tra le quali si distacca quella del cipriota Alkinoos Ioannidis) recano come titolo collaterale Κλάμα του εμιγκράντου (“Lamento dell'emigrante”), palesemente ripreso proprio dal Klama di Franco Corlianò reso celebre in Grecia da Maria Farandouri.

Una volta popolarizzato secondo i canoni e secondo una nuova percezione tipica delle classi rurali e popolari, il canto necessita della più classica delle "riscoperte" nella sua veste modificata. Questo avviene, come detto, circa una cinquantina d'anni dopo. Aremu rindineddha è, come detto, un caposaldo della tradizione musicale salentina e di quella grika in particolare: negli ultimi tempi è, naturalmente, approdato alle varie “Notti della Taranta” ed ha persino avuto un'interpretazione da parte di Carmen Consoli (che è siciliana, ma è ben noto che tra il Salento e la Sicilia esiste una sorta di “comunanza linguistica” dovuta al posizionamento dei dialetti salentini in prossimità dell'area Lausberg, che non ne fanno quindi affatto “dialetti pugliesi” in senso proprio). Per la "riscoperta" del canto nella veste che ha assunto esiste una data precisa: il 1954, e due nomi altrettanto precisi: quelli di Alan Lomax e di Diego Carpitella.

Il sommo etnomusicologo texano Alan Lomax ed il suo collega e antropologo calabrese Diego Carpitella, allora giovane trentenne e collaboratore di Ernesto De Martino, svolsero nel 1954/55 una campagna di rilevazione e registrazione in Italia, partendo dalla Sicilia per arrivare fino al Nord: un lungo e avventurosissimo viaggio che Alan Lomax ebbe poi a definire “L'anno più felice della mia vita”. In Salento, Lomax e Carpitella rimasero poco: cinque giorni esatti, tra il 12 e il 17 agosto 1954. Fu un passaggio comunque assai intenso, in zone non ancora sconvolte da un “progresso” che avrebbe mutato drammaticamente le sue dinamiche socio-culturali. I paesi coinvolti furono Martano, Calimera (il paese natale di Giuseppe Aprile e di Franco Corlianò, che allora aveva soltanto sei anni), Galatone e Gallipoli (con puntate a Lecce, Galatina, Muro Leccese e Corigliano d'Otranto).

Lomax e Carpitella passarono il più della loro ricerca salentina a Martano; secondo alcuni, l'antologia di canti che ne riportarono risulta essere quella più ampiamente rappresentativa delle pratiche musicali di una comunità locale di tutta la spedizione italiana. Nei paesi della Grecìa salentina, tra le altre cose, furono documentati dei canti eseguiti da una squadra di operai “cazzatori” (spaccapietre) durante il lavoro, e uno straordinario repertorio di canti in griko legati alla lamentazione funebre. A Galatone, in piena estate, sembrava invece svolgersi una sorta di “carnevale” in cui venivano cantati canti esplicitamente politici (anzi, dichiaratamente elettorali); fu pure a Galatone che Lomax e Carpitella registrarono la prima e formidabile pizzica. A Gallipoli, invece, prevalevano per forza di cose i canti marinareschi, tra le quali la prima versione documentata di quello che sarebbe divenuto come l' “inno” del Salento, Lu rusciu de lu mare. Ne venne fuori un quadro completo della musica salentina, “dalla culla alla tomba”: le ninne nanne e i giochi dei bambini, i canti maschili e femminili, i canti di lavoro, i canti di amore e di nozze, i canti narrativi e religiosi, e le lamentazioni funebri in salentino e in griko (i moroloja, corrispondenti ai μοιρολόια greci).

Per quanto riguarda Aremu rindineddha, Lomax e Carpitella sospettarono immediatamente che si trattasse in realtà di un canto d'autore immesso nella (e assorbito dalla) tradizione popolare (come precisamente sta avvenendo al Klama di Franco Corlianò): troppo perfetta la sua struttura per farne un componimento di origine autenticamente popolare. Probabilmente, il nome di Giuseppe Aprile come autore del testo non era andato perduto (nel 1954 era morto da soli dieci anni), ma il canto era già divenuto del tutto popolare. La sua melodia si era conservata inalterata, ma il suo autore (il "maestro Costanzo", che pare appartenesse alla banda municipale di Calimera) era stato come respinto nell'oblio. Il fatto è però che il Salento del 1954, quando fu visitato da Lomax e Carpitella, si trovava esattamente alla vigilia, come tante altre aree del meridione d'Italia e non solo, del suo mutamento epocale, dello stravolgimento delle sue strutture sociali; si può dire che Lomax e Carpitella, peraltro del tutto coscienti di questo fatto, abbiano "fatto appena in tempo" a registrare date tradizioni etnomusicali prima che scomparissero attivamente. Quel che viene dopo, non è più "tradizione popolare", ma iniziativa colta e, per così dire, museografica. Un tempo era così, ora non lo è più e non lo sarà mai più. Si registra a futura memoria perché non si può rimettere indietro l'orologio della Storia. Le varie "tradizioni" successive, salentine e di ogni altra parte d'Italia, non appartengono più al dominio della musica e del canto comunitario di una data area, perché le strutture sociali che gli sottindendevano e che lo producevano sono terminate e mutate. Appartengono quindi adesso al dominio della "musica etnica", degli arrangiamenti, delle "riscoperte", delle interpretazioni; in una parola, con tutte le sue contraddittorie e vaste accezioni, al "folklore".

Una volta entrato nel folklore, il canto, senz'altro anche per la sua oggettiva bellezza, uscì dal Salento e catturò notorietà; nel 1963 lo ritroviamo addirittura nella colonna sonora di un documentario storico di Corrado Sofia, Le rondinelle del Salento, facente parte di un ciclo intitolato “Puglia magica”, che dalla ricerca musicale di Lomax e Carpitella riprende molto. Da allora, è diventato come il "biglietto da visita" musicale della Grecìa salentina, o meglio di quel che ne resta. L'uso attivo del Griko sta scomparendo nei comuni della Grecìa salentina (restano forse cinque o diecimila parlanti, quasi tutte persone anziane) e, nonostante il Griko sia stato ufficialmente dichiarato lingua minoritaria nell'area, il suo destino sembra purtroppo segnato. Di converso, e come accade invariabilmente in questi casi, nell'area è tutto un fiorire di iniziative culturali, spettacoli, Tarante, tentativi di "salvare" il Griko e quant'altro. Le composizioni musicali giocano naturalmente un ruolo decisivo, come in ogni altra area minoritaria (si vedano ad esempio la Bretagna, l'Irlanda ecc.). Più una lingua muore, e più vi si cantano canzoni appartenenti a una tradizione oramai morta. Il "folklore" è questione di etnomusicologi, di artisti, di "band", di raccolte e di istituti specializzati.




https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=57444&lang=it

Δεν υπάρχουν σχόλια:

Δημοσίευση σχολίου