E poi cosa avevo da fare in Grecia ormai? Niente fuorché portare qualche fiore sulla tomba e piangere a vederla così brutta, non fatta. (All’inizio mi era stato chiesto di farla e io avevo ordinato anche la pietra per farla come sapevo che Alekos l’avrebbe voluta: simile alla tomba di Garibaldi, senza croci. Ma poi, quando la pietra fu pronta, mi si disse che potevo usarla per me... Credo per via della croce, cioè del fatto che non volevo mettere croci. Alekos odiava talmente le croci).
In compenso, in Italia, avevo da fare qualcosa di importante: assistere mia madre durante la sua agonia. E così, quando la sua situazione peggiorò ancora, e il cancro invase tutto il corpo, non la lasciai più. I primi otto mesi di lutto per Alekos li ho passati praticamente in camera di mia madre, ad aspettare la sua morte. Quando la mamma è morta è stato terribile per me. Ho dovuto ripetere gli stessi gesti: vestirne il corpo, metterla nella cassa, accompagnare quella cassa al cimitero, vederla calare dentro un buco nero... E bisogna capire una cosa: Alekos e mia madre erano le due creature della mia vita. Più mi guardo indietro, più concludo che non ho mai amato niente e nessuno come Alekos e la mia mamma. E ora tutti e due se ne sono andati. Uno dopo l’altro, a soli otto mesi di distanza. Ma un’altra cosa ho da dire: quando la mamma è morta, nessuno mi ha mandato una parola di cordoglio da Atene. Nessuno. Nessuno ha mandato un fiore. Eppure il fratello e la madre di Alekos conoscevano la mia mamma. Erano venuti a trovarla nella nostra casa di campagna nel 1975, ed erano stati ricevuti dalla mia famiglia con molto affetto.
Pensavo naturalmente di tornare in Grecia il 1° maggio. Ma poi ho saputo che la cerimonia sarebbe stata gestita dall’Unione di Centro e dal partito di Papandreu. E me ne sono scandalizzata. Dall’Unione di Centro Alekos era uscito, carico di delusioni e di dispiaceri: in Parlamento era rimasto come indipendente di sinistra. Verso Papandreu si era sempre comportato con sdegno: lo riteneva uno degli uomini più pericolosi di Grecia. Non lo stimava. Non lo aveva stimato mai. So che ora si cerca di cambiare le carte in tavola e di dire il contrario. È una cosa infame verso Alekos che dalla tomba non può rispondere. La sua avversione verso Papandreu era tale che nemmeno in Parlamento, passandogli davanti, gli rivolgeva la parola. E questa avversione durava fin dal giorno in cui era uscito di prigione. (...)
Si potrebbe scrivere un lunghissimo articolo solo su questo. Io so tutto perché ho visto tutto e perché sul passato Alekos mi ha raccontato tutto.
Dovrei quindi lasciar sfruttare il mio nome dall’Unione di Centro e dal partito di Papandreu? Dovrei quindi farmi strumentalizzare da loro partecipando alle loro funebri cerimonie elettorali? No, grazie. Non lo farò. Per la mia dignità e per la dignità di Alekos. Mi sembrerebbe di tradirle. Quando vorrò portare un fiore sulla tomba di Alekos, ci andrò zitta zitta come ho fatto sempre: senza che nessuno lo sappia. Non il 1° maggio. Il 1° maggio commemorerò Alekos a modo mio. E i fiori glieli porterò nella cappella della mia casa di campagna. Oppure nella nostra stanza della mia casa di campagna, dove ancora dormo e dove tutto è come quando lui partì. Le sue ciabatte, la sua biancheria. Le poesie che scriveva per me quando veniva Natale o Pasqua o il mio compleanno. Tutti i Natali e le feste Alekos le passava qui in campagna, insieme a me e alla mia famiglia. Tutti dal 1973. Qui ha vissuto per mesi. E qui è più presente che al cimitero di Atene. Al cimitero di Atene vi sono soltanto le sue ossa, col mio anello al suo mignolo sinistro. Ad Atene non c’è più nemmeno la nostra stanza, in via Kolokotroni. È stata disfatta senza dirmi nulla. Non so chi abita in quell’appartamento, ora. Meglio così.
E poi le cerimonie non servono ai morti: servono ai vivi. O meglio agli sciacalli. Non è facendo una cerimonia sfruttabile politicamente che si racconta al mondo chi era Alekos e perché morì. È facendo ciò che faccio io. Cosa faccio? Vedrete.
In quella occasione rividi il fratello di Alekos. Venne a prendermi all’aeroporto e fu sempre accanto a me. I fotografi lo sanno bene. Quando ritornai ad Atene lo incontrai allo stadio dove si teneva una cerimonia commemorativa per la resistenza contro i nazifascisti. Ero lì per incontrare un antico amico di Alekos. Ma lui si mise a gridare insulti contro questo signore, non so perché, e anche a dire che io ero l’amica di Averoff e di Andreotti. Non mi parve molto normale, diciamo. Provai una gran pena. Così mi alzai e me ne andai a sedere accanto a Elias Eliu che è un brav’uomo. Da quel giorno non ho più voluto vedere nessuno.
https://www.corriere.it/cultura/16_ottobre_10/oriana-fallaci-cultura-panagulis-autobiografia-testi-inediti-45dca958-8f05-11e6-85bd-f14ac05199eb.shtml?fbclid=IwAR27ZNxsY3Dzvx571f87IOkulHzAZuDWnxKPXQ9qLt298pmLlcn7mbsRVxY
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