Παρασκευή 2 Φεβρουαρίου 2024

Grandi delitti della storia : Aldo Moro, di Matteo Albanese

Matteo  Albanese : "Aldo Moro, la morte della prima repubblica". 

Traduzione dall'italiano: Yorgos D. Mylonas

Sono passati quarantadue anni dall’omicidio di Aldo Moro, sono stati istruiti cinque processi, celebrati quattro, e vi sono state dedicate due commissioni parlamentari d’inchiesta, l’ultima ha concluso i lavori nel 2018. Eppure, il fiorire di testi più o meno scientifici, teorie del complotto disseminate attraverso i media più disparati, non si ferma. Perché? Perché, tra le altre cose, la morte di Moro rappresenta uno snodo politico fondamentale nella storia repubblicana, perché le forze in campo, le istituzioni, i partiti e le Brigate rosse hanno, tutte, opposto delle resistenze, per ragioni diverse, alla ricostruzione di quegli eventi. Questo libro ripercorre, sulla base della gigantesca mole di fonti disponibile, gli eventi cruciali di quel delitto e cerca di darne una spiegazione che non rifugga le responsabilità storiche che sono, e rimangono, collettive.

 

“Tener duro può apparire più appropriato, ma una qualche concessione è non solo equa, ma anche politicamente utile.” (Aldo Moro, lettera dalla “prigione del popolo” a Benigno Zaccagnini, segretario della DC, 31 marzo 1978)

 

Matteo Albanese, professore di Storia dei partiti e dei movimenti politici presso l’Università di Padova, si è occupato di violenza politica e di estremismo fin dalla sua tesi di dottorato discussa presso l’Istituto Universitario Europeo. È stato ricercatore presso diversi atenei (Parigi, Lisbona, New York) ed è autore di saggi e volumi in Italia e all’estero.




 Cronache da una democrazia in bilico

Quando Aldo Moro è stato rapito e poi ucciso avevo dieci anni. Frequentavo la scuola che allora si chiamava “elementare” ed era primavera, tempo di gite per gli scolari.

Quel 9 maggio del 1978 anche la mia classe era partita dalla Stazione Centrale di Milano, non ricordo con quale destinazione, per un’escursione in giornata. Al ritorno, le maestre avrebbero dovuto riaccompagnarci a scuola, dove sarebbero venute a prenderci, come di consueto, le nostre mamme. Ma quella volta non andò così.

Scendemmo dal treno e in capo al binario, con grande sorpresa, trovammo radunati ad attenderci tutti i nostri genitori, padri e madri insieme, stretti l’uno all’altro, i volti terrei.

Andammo loro incontro sorridenti, contenti della giornata passata all’aperto, ma i sorrisi si spensero non appena incontrarono i loro occhi, che gridavano allarme. Non capivamo, ma percepivamo il pericolo.

Alle nostre domande spontanee sulle ragioni di quell’inattesa presenza seguivano delle non-risposte frettolose: “Dai, andiamo”. Non spiegavano nulla e spiegavano tutto. Paura.

Veloci, via dalla stazione, nella Cinquecento di mia mamma, mentre lo sguardo si voltava a cercare gli occhi altrettanto smarriti dei compagni, anche loro spinti in fretta e furia dentro le macchine dei genitori. E poi diretti a casa, senza una parola, senza che nessuno ci chiedesse com’era andata la giornata in gita.

Per le strade di Milano poca gente si affrettava più del solito. Anche la circolazione delle vetture, di solito congestionata a quell’ora, sembrava rarefatta. La città pareva vittima di un sortilegio. Era ammutolita.

Parcheggiata la macchina, salimmo spediti in casa. Ma anche quando la porta si chiuse dietro le nostre spalle, quella tensione non diede segno di allentarsi. Nemmeno la casa sembrava più sicura.

Subito venne accesa la televisione e, senza comprendere bene, iniziai a veder scorrere quelle immagini. Una macchina in una strada, tanta gente intorno, un corpo scomposto dentro quel bagagliaio aperto. In casa, un silenzio tombale, rotto solo dalla voce del cronista, una voce spezzata. Non capivo, ma noi bambini eravamo abituati, allora, a vedere in televisione, sui giornali, immagini di persone uccise per la strada o “gambizzate”, una parola corrente del lessico del tempo. Quella volta, però, era diverso.

Ricordo, di quegli anni, l’odore della paura di mia mamma e di mia nonna, quando camminavamo per le vie del centro e a un tratto mi prendevano per mano e mi strattonavano, dicendo che dovevamo andare via subito, perché arrivava una manifestazione e poteva essere pericoloso. Ricordo anche il silenzio cupo e l’allungare il passo di mia mamma, abbassando gli occhi, quando – era proprio nei giorni di quella stessa primavera – passavamo davanti all’angolo di via Mancinelli dove c’erano sempre tanti fiori, perché lì avevano ucciso due ragazzi (avrei scoperto solo in seguito chi erano Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci).

Ma quel 9 maggio la paura dei miei genitori era diversa. Era più profonda. Era terrore di un pericolo grande. Colpo di Stato. Erano le parole, per me difficili da collocare, che sentivo pronunciare sottovoce, e non solo da loro.

Il colpo di Stato non è avvenuto. Ma l’omicidio di Aldo Moro – e, non dimentichiamolo, dei cinque uomini della sua scorta, uccisi nel corso del rapimento – ha segnato il vertice di un periodo molto difficile della storia italiana, in cui i bambini crescevano respirando, insieme allo smog, un’indefinita quanto opprimente angoscia, gli adulti vivevano in costante apprensione e i protagonisti della scena politica muovevano gli infiniti fili di una trama complessa, a volte manifesta, più spesso occulta, che si dipanava su uno scenario assai più vasto di quello individuato dai confini della penisola italiana e dai limiti temporali in cui essa veniva tessuta.

Per questo motivo, e per la competenza di chi lo ha scritto, questo libro di Matteo Albanese è fondamentale. In esso, infatti, non solo l’autore ripercorre quegli eventi con puntuale acribia, restituendoci una fotografia quanto mai esatta dei fatti e dei contesti in cui essi maturarono, ma si addentra anche, con l’autentica passione di chi fa della ricerca storica non solo un mestiere ma la propria missione, nelle tortuose pieghe dei percorsi, esistenziali e intellettuali, di coloro che di quei fatti furono protagonisti.

E si tratta di protagonisti di non leggero calibro.

Da un lato Aldo Moro, tra i fondatori della Democrazia Cristiana, membro della Costituente, promotore della strategia dell’attenzione nei confronti del Partito Comunista Italiano e del compromesso storico, e i personaggi di spicco delle forze al governo. Dall’altro le Brigate Rosse, in cui convergevano, declinate nel senso della lotta armata, alcune delle istanze dissenzienti che agitavano da tempo le sorti della nazione. Sullo sfondo, un’Italia in cui vi era il Partito Comunista più importante d’Europa e in cui le lotte operaie mettevano in difficoltà il paradigma del boom economico post-bellico. Un’Italia in cui Gianni Agnelli, allora Presidente di Confindustria, si trovava a doversi difendere – in televisione, nel corso di una puntata di “Tribuna politica” del 1976 – dall’accusa che la FIAT avesse elargito importanti finanziamenti occulti proprio al Partito Comunista nel quadro della costruzione in URSS, in piena guerra fredda nel 1966, – peraltro con uno stanziamento straordinario nel bilancio dello Stato da parte del governo italiano e finanziamenti da parte dell’IMI, l’Istituto Mobiliare Italiano – della colossale fabbrica automobilistica della Vaz e di un’intera città sulle rive del Volga, cui era stato dato il nome di Togliattigrad, nonché, in seguito, del progetto di un’altra grande città-industria a Stavropol.

“È un crimine politico senza precedenti, è il più grave e oscuro attentato alle istituzioni del nostro Paese, alla libertà e alle libertà di tutti noi”, con queste parole il giornalista Italo Moscati apriva la puntata di “Studio aperto” del 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Aldo Moro. L’oscurità forse ancora alligna in numerose pieghe della storia di questo drammatico capitolo delle vicende politiche italiane. E probabilmente l’intera verità, sulle responsabilità, sui coinvolgimenti, è già compromessa persino nei ricordi dei protagonisti ancora viventi di quell’epoca travagliata. Ma questo volume di Matteo Albanese, che attinge a testimonianze di prima mano, oltre che alle fonti di archivio, rappresenta un’analisi preziosa e fornisce gli strumenti per comprendere un po’ più a fondo un passaggio tragico e cruciale della nostra storia.

 

Barbara Biscotti 


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