Finalmente dopo anni di proteste e un lungo processo, la giustizia ha fatto realmente il suo corso, dichiarando Alba Dorata “organizzazione criminale”.
Nelle scorse settimane sono state ancora molte le manifestazioni in tutta la Grecia che chiedevano la condanna dell’intero movimento. La mobilitazione non si è mai fermata, continuando anche fuori il tribunale: la voce di un popolo che costringe i media a rendere visibile una vicenda troppo a lungo ignorata.
Già nel 2015, durante il processo per l’uccisione del giovane, il leader di Alba Dorata Nikolaos Michalaliakos riconosce le responsabilità del partito, ma sottolinea la distanza dei membri dall’assassinio effettivo.
«Ammetto la nostra responsabilità politica nella morte di Pavlos Fyssas, ma nego che abbiamo avuto un qualche ruolo penale nella vicenda che consideriamo come un atto riprovevole».
Quel giorno in aula era presente Magda Fyssas, madre di Pavlos per una deposizione. È lei che, pochi giorni fa, ha annunciato la sentenza uscendo dal tribunale.
Le sue parole «Pavlos ce l’hai fatta! Figlio mio abbiamo vinto!» sono state accolte tra gli applausi dei numerosi manifestanti.
Alba Dorata, il partito di estrema destra greco, è ufficialmente considerata “organizzazione criminale”. A stabilirlo in modo unanime è la Corte Penale di Atene e la dichiarazione arriva dopo un processo durato oltre cinque anni. L’accusa per i componenti di Alba Dorata è quella di attacchi violenti e xenofobi, fino all’omicidio. Alba Dorata, infatti, è considerata la mandante dell’uccisione del rapper antifascista Pavlos Fyssas (in arte Killah P) nel 2013, nonché di altre aggressioni.
L’omicidio del 2013
L’omicidio di Pavlos è avvenuto il 18 settembre del 2013 per mano di George Roupakias, militante di Alba Dorata, che confessa appena viene arrestato.
In un primo tentativo di ricostruzione della vicenda si era parlato di una lite finita male; ma altri testimoni la descrivono come una vera e propria imboscata. Sembrerebbe, infatti, che l’aggressore si sia precipitato al locale dove Pavlos si trovava con altri amici, dopo una chiamata. I ragazzi pare stessero parlando di Alba Dorata e qualcuno avrebbe così deciso di chiamare altri affiliati al partito per tendere l’attacco.
Secondo l’autopsia le due pugnalate sono state sferrate direttamente al cuore; un particolare che fa capire come l’intento di Rupakias fosse quello di uccidere. L’assassino, poi, avrebbe preventivamente chiamato sua moglie dicendole di togliere dalla casa ogni “materiale politico”, per negare l’affiliazione al partito, che sarà però confermata. In casa, inoltre, erano presenti taser e manganelli rinvenuti dagli agenti recatisi sul posto.
Le proteste
All’epoca dell’accaduto anche la polizia si è trovata al centro di pesanti critiche perché avrebbe evitato di intervenire per fermare l’aggressione. Secondo i testimoni che si erano rivolti alle forze dell’ordine la risposta di queste fu che gli aggressori “erano troppi”.
Riguardo all’assassinio dell’antifascista Pavlos Fyssas, il governo deve rispondere dell’apparente non intervento della polizia, che non è intervenuta per fermare l’aggressione (Nick Malkoutzis, giornalista)
A seguito del brutale assassinio di Pavlos, molte persone si sono precipitate a protestare davanti le sedi di Alba Dorata. Le contestazioni antifasciste sono seguite nelle piazze di tutta la Grecia, con scontri anche violenti con le forze dell’ordine.
Nel 2017, all’anniversario della morte del giovane musicista, un corteo per ricordare Pavlos ha invaso le strade greche. Anche in questo caso sarebbero scoppiati scontri con la polizia, quando alcuni manifestanti hanno cercato di raggiungere la sede del partito neofascista.
La richiesta è sempre la stessa: la chiusura di un’organizzazione che, dietro la scusante politica, si macchia da troppo tempo di aggressioni e violenze di ogni tipo.
La violenza dell’estrema destra in Grecia non riguarda solo l’omicidio di Pavlos Fyssas. Nella prima metà dell’anno, la polizia greca ha registrato almeno 27 agguati di stampo razzista contro rifugiati o migranti. Un numero probabilmente sottostimato, dal momento che la paura spinge molti a non denunciare. (Michalis Arampatzoglou, Euronews)
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