Testo di Nikos Gatsos
Nel 1966 uscì nelle sale cinematografiche greche una commedia musicale, di quel tipo in voga durante quel decennio e in quello precedente negli U.S.A. - e pure in Italia - , dove un'esile trama post-neorealistica serviva, non senza intenti spiccatamente commerciali, a dar risonanza a un cantante o a un genere musicale. Un paio di anni prima, il film di Mihalis Kakoyannis, "Zorba il Greco", con Anthony Quinn e Irene Papas protagonisti, e con la musica di Mikis Theodorakis, aveva ottenuto un successo mondiale; e un vento propizio soffiava per chi produceva ed eseguiva canzoni ballabili, accompagnate dal buzuki, ormai trasformato da Manolis Chiotis da tricordo in tetracordo, e dunque, divenuto più agile e adatto a quello speciale virtuosismo che richiedono all'esecutore i velocissimi finali dei pezzi di "sirtaki". Il film, del regista Yorgos Skanelakis, con interpreti, appunto, una coppia di cantanti, Aliki Vouyouklaki e Dimitris Papamihaìl, era intitolato Διπλοπενιές e raccontava la storia di Grigoris, un giovane muratore del Pireo dotato di bella voce che raggiunge il successo come cantante popolare e per ciò si complica la vita con la giovane sposa Marina. Niente di speciale, dal punto di vista cinematografico: ma della musica fu incaricato Stavros Xarchakos, un compositore trentenne di ottimi studi, che sarebbe in breve andato ad affiancarsi a Manos Hatzidakis e a Mikis Theodorakis, i maggiori di quel tempo, per arrivare poi, nella sua più matura età, a dirigere l'Orchestra Sinfonica di Stato. In questo sito il nome di Xarchakos apparentemente non è rappresentato come merita: ma è sufficiente cercare anche le canzoni di Nikos Xylouris, per accorgersi di quale contributo quel musicista abbia dato alla migliore canzone greca e, di conseguenza, anche a noi. Come versificatore, Xarchakos ritrovò Nikos Gatsos, con cui aveva l'anno precedente scritto una canzone: Gatsos era stato un poeta colto e difficile, che, cresciuto nei circoli surrealisti al fianco di Embirikos e di Elytis, più di vent'anni prima aveva dato alla nuova poesia greca un testo fondamentale come Ἀμοργός, ma che, persuaso di non più possedere l'equilibrio tra raziocinio e immaginazione indispensabile al suo poetare, aveva, come paroliere di lusso, sposato la musica popolare, legandosi in quel periodo sia a Theodorakis, sia - e per il resto delle loro vite - a Hatzidakis. Grazie alla loro collaborazione, il film poté vantare sei canzoni destinate a durare nel tempo, ma che - secondo me - non si lasciano apprezzare a dovere nel contesto un po' falso e sciocchino del film, dove non solo si incontra l'irritante Vouyouklaki, ma dove anche una danza fluida e vitalistica, come il sirtaki, si cristallizza in una sequenza di figure robotizzate, pronte per essere vendute ai turisti di passaggio. Molto meglio ascoltarle, queste (e molte altre canzoni sue e dei maggiori compositori greci) nel disco "Ena messimeri/ Un mezzogiorno" o, ancor meglio, nelle riorchestrazioni fatte più tardi dallo stesso Xarhakos e affidate a voci molto più convincenti e mature di quelle con le quali si affermarono al loro apparire.
Musica di
Stavros Xarchakos
Prima
esecuzione: Dimitris Papamichail (Film: «Διπλοπενιές», 1966)
Disco: «Ένα
μεσημέρι / Un mezzogiorno», 1966
Ottone I, re
di Grecia dal 1832 al 1862.
Nel 1966 uscì nelle sale cinematografiche greche una commedia musicale, di quel tipo in voga durante quel decennio e in quello precedente negli U.S.A. - e pure in Italia - , dove un'esile trama post-neorealistica serviva, non senza intenti spiccatamente commerciali, a dar risonanza a un cantante o a un genere musicale. Un paio di anni prima, il film di Mihalis Kakoyannis, "Zorba il Greco", con Anthony Quinn e Irene Papas protagonisti, e con la musica di Mikis Theodorakis, aveva ottenuto un successo mondiale; e un vento propizio soffiava per chi produceva ed eseguiva canzoni ballabili, accompagnate dal buzuki, ormai trasformato da Manolis Chiotis da tricordo in tetracordo, e dunque, divenuto più agile e adatto a quello speciale virtuosismo che richiedono all'esecutore i velocissimi finali dei pezzi di "sirtaki". Il film, del regista Yorgos Skanelakis, con interpreti, appunto, una coppia di cantanti, Aliki Vouyouklaki e Dimitris Papamihaìl, era intitolato Διπλοπενιές e raccontava la storia di Grigoris, un giovane muratore del Pireo dotato di bella voce che raggiunge il successo come cantante popolare e per ciò si complica la vita con la giovane sposa Marina. Niente di speciale, dal punto di vista cinematografico: ma della musica fu incaricato Stavros Xarchakos, un compositore trentenne di ottimi studi, che sarebbe in breve andato ad affiancarsi a Manos Hatzidakis e a Mikis Theodorakis, i maggiori di quel tempo, per arrivare poi, nella sua più matura età, a dirigere l'Orchestra Sinfonica di Stato. In questo sito il nome di Xarchakos apparentemente non è rappresentato come merita: ma è sufficiente cercare anche le canzoni di Nikos Xylouris, per accorgersi di quale contributo quel musicista abbia dato alla migliore canzone greca e, di conseguenza, anche a noi. Come versificatore, Xarchakos ritrovò Nikos Gatsos, con cui aveva l'anno precedente scritto una canzone: Gatsos era stato un poeta colto e difficile, che, cresciuto nei circoli surrealisti al fianco di Embirikos e di Elytis, più di vent'anni prima aveva dato alla nuova poesia greca un testo fondamentale come Ἀμοργός, ma che, persuaso di non più possedere l'equilibrio tra raziocinio e immaginazione indispensabile al suo poetare, aveva, come paroliere di lusso, sposato la musica popolare, legandosi in quel periodo sia a Theodorakis, sia - e per il resto delle loro vite - a Hatzidakis. Grazie alla loro collaborazione, il film poté vantare sei canzoni destinate a durare nel tempo, ma che - secondo me - non si lasciano apprezzare a dovere nel contesto un po' falso e sciocchino del film, dove non solo si incontra l'irritante Vouyouklaki, ma dove anche una danza fluida e vitalistica, come il sirtaki, si cristallizza in una sequenza di figure robotizzate, pronte per essere vendute ai turisti di passaggio. Molto meglio ascoltarle, queste (e molte altre canzoni sue e dei maggiori compositori greci) nel disco "Ena messimeri/ Un mezzogiorno" o, ancor meglio, nelle riorchestrazioni fatte più tardi dallo stesso Xarhakos e affidate a voci molto più convincenti e mature di quelle con le quali si affermarono al loro apparire.
Il testo di
una di queste canzoni è per me una specie di enigma: non ho mai capito bene
perché lo si trovi in un filmetto di genere, e non invece - che so - in
un'opera come "Il nostro grande circo" Το μεγάλο μας τσίρκο, quella
sì di esplicito argomento storico e civile, composta negli anni Settanta da
Xarchakos su testi di Iakovos Kambanellis. Si tratta della canzone "Ai
tempi del re Ottone". Dal lato musicale è forse il sirtaki più noto ai
Greci e ai turisti, dopo quello di Zorba il Greco (1964) e il "Σήκω,
χόρεψε συρτάκι / Sveglia, balla il sirtaki" di Zambetas, portato al
successo (e alla noia) dalla Vouyouklaki, sempre affiancata da Papamichail, nel
film di Alekos Sakellarios "Mia figlia socialista"(1966). Chiaro
segno che il "genere" macinava bene.
Dal lato
testuale è invece una divagazione nella storia, il cui senso può, di epoca in
epoca, attualizzarsi. Siamo al tempo del re Ottone (1815 - 1867), che regnò sui
Greci per trent'anni, dal 1832 al 1862. In cambio del riconoscimento di un
neonato Stato greco, e dei crediti che già da lquello vantavano in abbondanza,
le grandi potenze vollero una grande fetta della sua indipendenza, e lo
fornirono pure di un sovrano straniero, il tedesco cattolico bavarese Ottone di
Wittelsbach, spacciato, grazie a qualche gocciolina di remoto sangue di
famiglia, come un discendente dei Comneni (d'altra parte, anche Totò si diceva
imperatore di Bisanzio, e i Savoja si vantano tuttora di essere i re di Cipro e
di Gerusalemme). Il giovane Ottoncino sbarcò ad Anapli, la prima capitale della
nuova Grecia, oggi Nafplion, accompagnato da un codazzo di ministri, a fargli
da reggenti, e da uno stuolo di guardie bavaresi. Non riuscì mai a sembrare un
greco, per quanto si sforzasse con vari mascheramenti di colore locale. Viveva
nel sospetto della chiesa ortodossa, dei vecchi combattenti dell'indipendenza e
dei partiti politici che funzionavano come propaggini della Francia,
dell'Inghilterra e della Russia. Il paese era povero, e il popolo più
tartassato dalle tasse che sotto i Turchi; mancava di una vera amministrazione
e la periferia pullulava di briganti, i quali spesso erano gli stessi
"pallikari" che avevano combattuto per l'indipendenza, ma che i
Bavaresi non avevano voluto inquadrare nell'esercito nazionale; infine, il
debito con i prestatori stranieri era impressionante.
Per
mantenersi in sella puntò sulla forza armata bavarese portata con sé e su una
linea di assolutismo, che dovette abbandonare nel settembre del 1843, per la
rivolta costituzionale di Kalergi e Makrygiannis. Questo gli diede un altro
ventennio di corona, che, non più difesa da un contingente bavarese, perse
finalmente nel 1862, dopo avere sperperato altri quattrini - ma non quelli che
si era portato dalla patria e che là riportò intatti, quando gli inglesi gli
offrirono un passaggio su una delle loro navi perché sparisse dalla
circolazione - nel tentativo di ampliare il suo regno con l'isola di Creta.
Gatsos, che
spesso amava riandare nei suoi testi alla storia dei Greci, ironizza su questo
re che si atteggia a greco (le guardie bavaresi che eseguono il sirtaki in suo
onore), mentre dei Greci in realtà se ne fotte. Il paese è in disordine; i
briganti hanno fatto il covo perfino sull'Acropoli. Solo i Greci possono
risolvere i problema dei Greci: e quando finalmente il re si decide a chiamarne
i più combattivi come "polismani/policemen" dall'aspra Mani e
dall'irredenta Creta, allora si vede che qualcosa si può sperare di combinare.
Non ho
tradotto il titolo del film, "Diplopeniès", che mi sembra
intraducibile, ma del quale cercherò di spiegare il senso. Alla lettera,
"diplopenià" significa doppio colpo di plettro (sulle corde del
buzuki), dicendosi il plettro "penna" e significando
"diplos" doppio. Al corrispondente lemma il mio Babiniotis spiega:
"modo di eseguire un pezzo musicale al buzuki, che combina note
primo-secondo": e qui mi fermo per mia ignoranza della tecnica musicale.
Con la stessa parola si indica però anche il virtuosismo con cui si suona il
buzuki. (gpt)
Versione
italiana di Gian Piero Testa
AI TEMPI DEL
RE OTTONE
Una volta a
mezzogiorno
dalle parti
dell'Acropoli
dei briganti
spietati
facevano di
quelle calde pietre
un covo
A
Monastiraki 1
guardie
Bavaresi
sotto la
vampa ballano un sirtaki 2
al cospetto
del re
A Creta e
nella Maina
manderemo un
firmano 3
alle città e
ai villaggi
manderemo un
firmano
che vengano
i poliziotti
a dar la
caccia alle belve.
Giù al porto
cantano i
poliziotti
sono
arrivati i ragazzi
ma hanno
ancora il cuore
nella Maina
Sono arrivati
martedì
i ragazzi
dello Psiloriti 4
bevono
grappini 5 ma hanno ancora il cuore
a Creta
A Creta e
nella Maina
mandammo un
firmano
alle città e
ai villaggi
mandammo un
firmano
giunsero i
poliziotti
e
scacciarono tutte le belve.
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