Atene, 17 novembre 1973. Da sei anni in Grecia si era
instaurata, con un colpo di Stato, la dittatura dei colonnelli. Fino 1974,
infatti, la penisola ellenica fu governata da una serie di governi di dittatura
militare anticomunista. Per il popolo ellenico questo evento fu l’ennesimo
carico sulle spalle. I greci, già sfiancati dalle guerre combattute anche nel
loro territorio e dalle difficoltà che esse comportarono, insorsero nel 1973
con la, dolorosamente fallimentare, rivolta degli studenti del Politecnico di
Atene.
I sette anni di dittatura dei colonnelli sono una delle pagine più nere della gloriosa, antichissima e affascinante storia della Grecia. La dittatura, capitanata dai colonnelli Georgios Papadopoulos, Nikolaos Makarezos e Ioannis Ladas ai quali si aggiunse, in conclusione Dīmītrios Iōannidīs, si era instaurata nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1967, con la collaborazione e il silenzioso assenso dell’allora monarca Costantino II.
L’ideologia che dietro al colpo di Stato, giustificato
dai colonnelli come un salvataggio della nazione dai cospiratori comunisti e
filo-comunisti, si basava appunto su uno spiccato anti-comunismo condito da
parecchi episodi di repressione anche violenta.
Gli storici non sono concordi all’unanimità
nell’affermare che la dittatura dei colonnelli fu di tipo fascista, ma le
analogie con l’ideologia del ventennio fascista italiano come il culto del glorioso passato, il ruralismo,
la demagogia e i metodi repressivi fanno sì che questo periodo venga
considerato “para-fascismo”. È fuori dubbio che, al di là del termine
utilizzato dagli studiosi, furono anni bui e dominati dal terrore; addirittura
la popolazione era soggetta a orari di coprifuoco entro i quali non era
consentito circolare.
Gli studenti ateniesi colsero l’onda lunga sessantottina
con qualche anno di ritardo e, a partire dal 14 novembre del 1973, occuparono
il Politecnico di Atene scioperando e protestando contro il governo. Gli
studenti si barricarono all’interno dell’edificio e improvvisarono una stazione
radio, continuando a manifestare mentre il governo, almeno per il momento, non
reagiva.
Alle 3 di mattina del 17 novembre il colonnello
Papadopoulos diede l’ordine all’esercito di sedare la rivolta. Le forze armate
si recarono nella sede in cui gli studenti continuavano la loro protesta. Come
spesso accade in queste situazioni di violenza e repressione, la storia fatica
a ricostruire gli avvenimenti esatti data l’incredibile confusione che si venne
a creare e la serie di testimonianze contraddittorie e tentativi di
insabbiamento che emersero negli anni successivi. Quello che è certo è che un
carro armato abbatté i cancelli del Politecnico, su cui si erano arrampicati
numerosi studenti, entrando nella sede universitaria e reprimendo nel sangue la
protesta. Le successive indagini testimoniano 24 morti e un numero imprecisato
di feriti, molti dei quali rimasero invalidi per il resto della vita.
A poco più di due mesi di distanza dal Golpe cileno, che
costò la vita a Salvador Allende e che condannò il Cile a 17 anni di dittatura
militare, anche nel cuore dell’Europa si assistette ad un altro evento di
sanguinosa repressione. In questo caso gli studenti, che raccolsero l’onda di
protesta e rinnovazione sociale del Sessantotto, non fecero i conti con
l’efferata violenza del loro governo rispetto ai governi degli altri stati che
pochi anni prima avevano, a loro modo, protestato contro la loro classe
dirigente.
La repressione degli studenti del Politecnico di Atene ci
fa riflettere su quanto il diritto a manifestare e protestare sia fondamentale
in una società moderna e civilizzata, fintanto che non sfoci in azioni violente
e sovversive. Ed è altrettanto importante ricordare che questo diritto fino a
pochi decenni fa non era garantito ovunque, il rischio di rimanere uccisi ad
ogni tentativo di protesta era reale e ancora oggi esistono scenari politici
che impediscono al cittadino di far sentire la sua voce.
Francesco Carucci per MIfacciodiCultura
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