Πέμπτη 18 Νοεμβρίου 2021

Salvatore Quasimodo, “Lirici greci”

 



Un vertice di limpida bellezza atemporale: in estrema sintesi è questo il prodigio poetico di un’opera che va oltre il mutare degli orientamenti estetici e che è stata capace di stupire ed emozionare generazioni di lettori come raramente accade, o come accade solo ai veri classici. La celebre versione dei Lirici greci di Salvatore Quasimodo è un duplice capolavoro, per la mirabile essenzialità poetica dei testi originali e per le virtù di chi ha saputo trasformare quei versi antichi in insuperabili esempi di purezza lirica, insieme trasparente e profondissima, nella nostra lingua. Come scrive Giuseppe Conte nella prefazione, «Quasimodo vede il suo incontro con i lirici greci come il coronamento di un suo percorso destinale: quel suo sentirsi esule ma sempre figlio di un’isola che, per paesaggi, mitologie, memorie storiche, è, tra le terre dove oggi si parla e si scrive in italiano, la più vicina alla Grecia e al suo patrimonio di poesia e di mito».

Lo stesso Quasimodo, nella piena consapevolezza di un’operazione tanto ardua quanto affascinante, ci dice: «Le parole dei cantori che abitarono le isole di fronte alla mia terra ritornarono lentamente nella mia voce, come contenuti eterni». Ma un esito insieme così pieno e sapientemente leggero nella sua alta efficacia poteva solo scaturire dal talento naturale di un autore sensibilissimo, come Quasimodo, alla più chiara musica della parola e del verso, passando dal «desiderio d’amore» o dai «celesti patimenti» di Saffo al raffinato edonismo bacchico di Anacreonte, nel quadro elegantissimo di una varietà lirica impareggiabile.

Αφροδίτη

Ποικιλόθρον᾽ ἀθάνατ᾽ ᾽Αφρόδιτα,
παῖ Διός, δολόπλοκε, λίσσομαί σε
μή μ᾽ ἄσαισι μήτ᾽ ὀνίαισι δάμνα,
πότνια, θῦμον.

ἀλλά τυίδ᾽ ἔλθ᾽, αἴποτα κἀτέρωτα
τᾶς ἔμας αὔδως αἴοισα πήλγι
ἔκλυες πάτρος δὲ δόμον λίποισα
χρύσιον ἦλθες

ἄρμ᾽ ὐποζεύξαια, κάλοι δέ σ᾽ ἆγον
ὤκεες στροῦθοι περὶ γᾶς μελαίνας
πύκνα δινεῦντες πτέῤ ἀπ᾽ ὠράνω αἴθε
ρος διὰ μέσσω.

αῖψα δ᾽ ἐξίκοντο, σὺ δ᾽, ὦ μάκαιρα
μειδιάσαισ᾽ ἀθανάτῳ προσώπῳ,
ἤρἐ ὄττι δηὖτε πέπονθα κὤττι
δηὖτε κάλημι

κὤττι μοι μάλιστα θέλω γένεσθαι
μαινόλᾳ θύμῳ, τίνα δηὖτε πείθω
μαῖς ἄγην ἐς σὰν φιλότατα τίς τ, ὦ
Ψάπφ᾽, ἀδίκηει;

καὶ γάρ αἰ φεύγει, ταχέως διώξει,
αἰ δὲ δῶρα μὴ δέκετ ἀλλά δώσει,
αἰ δὲ μὴ φίλει ταχέως φιλήσει,
κωὐκ ἐθέλοισα.

ἔλθε μοι καὶ νῦν, χαλεπᾶν δὲ λῦσον
ἐκ μερίμναν ὄσσα δέ μοι τέλεσσαι
θῦμος ἰμμέρρει τέλεσον, σὐ δ᾽ αὔτα
σύμμαχος ἔσσο.

Σαπφώ

Ad Afrodite

O mia Afrodite dal simulacro
colmo di fiori, tu che non hai morte,
figlia di Zeus, tu che intrecci inganni,
o dominatrice, ti supplico,
non forzare l’anima mia
con affanni né con dolore;

ma qui vieni. Altra volta la mia voce
udendo di lontano la preghiera
ascoltasti, e lasciata la casa del padre
sul carro d’oro venisti.

Leggiadri veloci uccelli
sulla nera terra ti portarono,
dense agitando le ali per l’aria celeste.

E subito giunsero. E tu, o beata,
sorridendo nell’immortale volto
chiedesti del mio nuovo patire,
e che cosa un’altra volta invocavo,

e che più desideravo
nell’inquieta anima mia.
“Chi vuoi che Péito spinga al tuo amore,
o Saffo? Chi ti offende?

Chi ora ti fugge, presto t’inseguirà,
chi non accetta doni, ne offrirà,
chi non ti ama, pure contro voglia,
presto ti amerà.”

Vieni a me anche ora;
liberami dai tormenti,
avvenga ciò che l’anima mia vuole:
aiutami, Afrodite.

Saffo

Traduzione di Salvatore Quasimodo


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