Il vice di Juncker si lava le mani del problema: potremmo avviare procedure d'infrazione, ma è meglio se gli Stati si fanno pressione tra loro
Non solo perché il
flusso di aspiranti richiedenti asilo continua praticamente incontrastato. Ma
anche (e soprattutto) perché in ambito comunitario gli impegni presi non
vengono mantenuti e chi ha nelle mani il potere di farli mantenere preferisce
lavarsene la mani stesse.
Questo atteggiamento
non esattamente promettente da parte dell'Europa non sembra estraneo alla
denuncia fatta ieri pomeriggio dal ministro dell'Interno Marco Minniti davanti
alle Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato. «I migranti da
ricollocare in Europa erano 40mila in due anni, ad oggi ne sono stati
ricollocati solo 3.200. C'è un'evidente indisponibilità ad accoglierli», ha
detto il ministro. Minniti ha accompagnato il suo j'accuse ai partner europei
con cifre inequivocabili tratte dai dati Frontex per il 2016: «I flussi di
migranti dalla rotta balcanica occidentale sono diminuiti dell'84%, quelli
dalla rotta balcanica orientale sono calati del 72% mentre quelli dalla rotta
del Mediterraneo centrale sono cresciuti del 18%». Per questo - ha aggiunto il
ministro - «serve un cambiamento di approccio da parte dell'Europa ma anche una
forte iniziativa nazionale dell'Italia».
Minniti è
andato oltre. Da una parte ha lodato il recente accordo con il governo libico
guidato da Fayez el-Serraj, ricordando l'importanza di passare dalle parole ai
fatti e la necessità di «rimpatriare chi non rispetta le regole; dall'altra ha
chiesto una svolta nella gestione giudiziaria delle domande d'asilo in Italia:
«Nei due gradi di giudizio aspettano due anni, è troppo lungo - ha detto-.
Bisogna intervenire dal punto di vista legislativo, riducendo di un grado di
giudizio e con l'assunzione di personale qualificato».
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